Dove va il Capitalismo Italiano? Intervista a Giulio Sapelli

Il Capitalismo italiano sta vivendo un periodo di turbolenza. Ad esempio la tensione che sta vivendo ora il gruppo “Generali”, al suo interno, ne è la cifra, insieme alla vicenda di Parmalat (senza dimenticare Fiat ed altre ancora ), più eclatante. Tensioni dovute ad una “un’ offensiva – come afferma Giulio Sapelli in questa nostra intervista – per arginare dalla sua vocazione il più potente gruppo del capitalismo italiano” . Così siamo ad un passaggio delicatissimo per la Compagnia. Continua a leggere

I Professionisti del potere: l’Italia delle oligarchie

Un libro che sta facendo discutere l’opinione pubblica italiana questo di “Elio Rossi” (che è un  nome di fantasia), I professionisti del potere. Ecco come gli italiani sono comandati e da chi, Ed. Chiarelettere, Milano 2011, pagg. 196, € 14,00.

Si tratta di un ex giornalista, di buon livello, che ha lavorato per vent’anni nelle redazioni di importanti quotidiani italiani e negli uffici stampa di aziende importanti del nostro Paese.

“Appartengo ai forti – scrive di sé l’autore – eppure provo una sensazione di disagio. Dopo aver trascorso gli ultimi vent’anni nelle redazioni e negli uffici dei potenti, voglio raccontare come funziona il sistema che in Italia controlla la finanza e i mezzi di informazione”. Continua a leggere

“C’è un’Italia migliore” . Intervista a Nichi Vendola

Gli avvenimenti del Giappone e della Libia hanno, ciascuno a suo modo, certamente una  influenza sulla politica italiana. Ne parliamo con Nichi Vendola, Presidente della Regione Puglia e leader di Sinistra Ecologia e Libertà.

Presidente Vendola, Il drammatico terremoto in Giappone ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica italiana, per via della Centrale di Fukushima danneggiatea dal sisma, la questione nucleare. Qual è la sua posizione?

Credo che la tragedia giapponese debba suscitare in tutto il mondo una vera, e approfondita pausa di riflessione. L’impressione è che tutti i paesi più grandi, più industrializzati vivano il trauma della catastrofe nucleare nella centrale giapponese, davvero come un punto di cesura rispetto al passato. Noi abbiamo visto la lobby nuclearista affidarsi a dei  guru, diciamo così “scientifici”, che basavano la loro sicumera e la loro fede nuclearista sulla rievocazione del calcolo probabilistico; bene , in trentadue anni abbiamo avuto nel mondo tre incidenti rilevanti:  Three Mile Island nel 1979 negli Usa, nel 1986 a Chernobyl , in Ucraina e oggi a FukuShima in Giappone.  Siamo dinanzi ad un avventurismo pseudo scientifico figlio delle grandi lobbies economiche che si sono arricchite con il nucleare civile e militare (perché ricordo che il nucleare civile è imparentato al nucleare militare entrambi vivono di segreti , di militarizzazione del territorio e di omertà istituzionali) allora io penso che, mentre il mondo riflette sull’avventura nucleare, non è possibile che l’unico governo che dica “andiamo avanti” sia quello italiano con le parole veramente  indecenti del Ministro, per così dire, dell’ambiente Stefania Prestigiacomo e con la  svagatezza dei vertici dell’Enel che ci raccomanda di non lasciarsi prendere dall’emotività. Francamente se ci lasciassimo prendere dall’emotività avremmo reazioni, diciamo, ben più robuste di quelle dichiarazioni di rottura radicale su questo fronte. L’Italia non potrà mai accettare un ritorno al nucleare. Noi ci batteremo con ogni mezzo contro questa follia voluta da quella che oggi rischia di apparire soltanto una cricca criminale.

Ci sono altri avvenimenti importanti e drammatici: riguardano la sponda sud del Mediterraneo. Come giudica il comportamento dell’ Occidente nei confronti della  attuale situazione in Libia?

Noi abbiamo usato la Libia, diciamo, come il nostro docile servitore per i lavori sporchi. Abbiamo affidato alla Libia il compito di costruire dei campi di trattenimento, diciamo degli “universi “concentrazionari in cui tenere rinchiusi migranti, talvolta la sorte  di questi migranti la si giocava ai dadi nel deserto, abbiamo coccolato non solo il Rais di Tripoli  ma i dittatori di tutto il Nord  Africa perché ci faceva comodo questa modalità di esportazione della nostra economia e dei nostri commerci.  E’ qui è cascata un po’ l’ipocrisia dell’Occidente, come casca l’asino, perché altrove dovevamo esportare la libertà con i bombardieri e qui abbiamo preferito altro genere di esportazioni non occupandoci della soppressione delle libertà  fondamentali in tutti questi Paesi. Per fortuna una nuova generazione, quella che è cresciuta con Internet,  è diventata consapevole dei propri diritti ed ha aperto un percorso rivoluzionario in tutto il Mediterraneo, purtroppo questo percorso meriterebbe dall’altra parte del Mediterraneo interlocutori credibili e maturi e non un’Europa esitante tremebonda e un’Italia scopertamente compromessa con gli affari di alcuni di questi dittatori.

Parliamo delle vicende di casa nostra. Secondo lei l’Italia è ancora sotto l’ipnosi berlusconiana?

L’Italia vive dentro un clima di censura insopportabile, ed è difficile far vivere la contesa politica quando c’è una specie di falsificazione delle cose che accadono, c’è  una manipolazione delle verità, c’è una disinformazione di regime. Se posso fare un esempio le carte della procura di Milano sulla ‘ndrangheta in Lombardia, sulla ‘ndrangheta pesante che controlla il territorio con modalità assai simili alle modalità con cui controlla la Calabria, la n’drangheta che agisce in ospedali importanti come se fosse in Aspromonte o nella Locride, l’a ‘ndrangheta che non viene minimamente contrastata da un apparato di potere che finge di non vedere ciò che tutti possono vedere già da anni, costituisce un grande scandalo nazionale. Se un boss mafioso in un qualunque ospedale pugliese avesse potuto fare le proprie riunioni e scandire i propri ordini, credo che tutta la classe dirigente pugliese sarebbe stata portata presso la “Corte di Cassazione” del Tg1, delle trasmissioni televisive, e invece nulla, un silenzio e un’omertà istituzionale che impressiona. Ecco in questo clima è difficile, diciamo così, costruire una  positiva interlocuzione con dei falsari. Siamo, quindi, dentro una fase in cui il berlusconismo che ha perso credibilità e consenso si muove come un animale ferito dando colpi di coda che stanno ferendo l’assetto democratico del Paese, speriamo che si possa riparare il danno, stanno uccidendo la cultura, la scuola pubblica, stanno uccidendo l’anima del Paese.

Cosa manca al Centrosinistra per diventare egemone nella società italiana?

Manca la volontà di fare una grande battaglia politico-culturale, di uscire fuori dai propri accampamenti, dalla gestione dei piccoli sistemi di potere. Il centrosinistra deve sentirsi sfidato dalla crisi che è soprattutto una crisi di prospettiva per le giovani generazioni.E piuttosto che inseguire l’alleato impossibile, quello che da un momento all’altro lascerà il campo berlusconiano e verrà a rafforzare il nostro campo, dovrebbe occuparsi dei soggetti sociali che hanno bisogno di essere rappresentati e che sono il blocco sociale del cambiamento: gli studenti, il lavoro dipendente, la piccola e media impresa, il mondo della cultura, il mondo delle donne. Sono questi i soggetti fondamentali della rivoluzione democratica di cui l’Italia ha bisogno.

Leggendo il suo Manifesto, “C’è un’Italia migliore”, onestamente  non trovo molta distanza tra Lei e i valori del PD. Perché non la convince quel partito?

Quel partito talvolta non colpisce i suoi militanti e i suoi dirigenti. Il dibattito sulla natura incerta del PD è aperto dentro al PD. Personalmente il problema non è, diciamo, una condivisione sui temi politico-emozionali, siamo tutti quanti per l’accoglienza degli esseri umani, siamo tutti quanti per il diritto al lavoro, ecc. Il problema è di capire quali sono le politiche di lotta contro leggi che hanno rappresentato un regresso civile, sociale, sono quelle che io vorrei che il centrosinistra avesse nel proprio cantiere. Se il PD avesse questa agenda di propostae probabilmente saremmo nel PD, se siamo in Sinistra Ecologia e Libertà è perché vi è stata una deriva moderata del Partito Democratico.

In una recente intervista ha affermato che, per lei, Rosy Bindi potrebbe essere la candidata  a premier per il Centrosinistra.  E’ ancora di quell’idea?

Io  dicevo, nella misura in cui il centrosinistra si riconosce nella denuncia di una crisi democratica, che è meritevole di essere affrontata da una coalizione democratica la più larga possibile, a quel punto io dico che non si discuta di una figura premiership legata alle virtù della tecnocrazia, perché se la crisi è democratica, non è tecnocratica, non c’è bisogno di un tecnocrate, ma c’è bisogno per una fase transitoria limitata ad alcune riforme come quella della legge elettorale, per il conflitto di interessi, di una figura fortemente caratterizzata in termini politici e democratici. Da quel punto di vista Rosy Bindi, in quella situazione, è stata la mia proposta. Non è incompatibile con il tema prioritario per dare un’anima al centrosinistra delle primarie.

Ultima domanda: A 150 anni dall’Unità possiamo ancora emozionarci per quell’evento?

Devo dire che abbiamo rispolverato il Risorgimento, l’avevamo per decenni messo sotto naftalina e oggi il Risorgimento torna come una questione della nostra attualità, perché abbiamo il sentimento diffuso di un processo di fuoriuscita dall’Unità del Paese, sentiamo la minaccia della cultura leghista, sentiamo l’avanzata di un federalismo che non è solidale, ma è la fotografia dell’egoismo sociale di una parte del Paese e sappiamo che i fenomeni di disgregazione nazionale possono essere molto più rapidi di quanto non si immagini e sono sempre alimentati dalle sottoculture del localismo e delle identità etnoterritoriali.

Parole sull’Italia. Intervista a Marco Travaglio

In Consiglio dei Ministri sarà presentato dal ministro Alfano un progetto di riforma della giustizia, definito da Berlusconi, enfaticamente, come “epocale”. Un progetto che sta suscitando reazioni critiche molto forti. Poi nelle prossime settimane riprenderanno anche i processi a Milano a carico del Presidente del Consiglio. Di tutto questo parliamo con Marco Travaglio Vice-direttore de “il Fatto Quotidiano”.

Travaglio iniziamo dalla così detta “Riforma epocale” della giustizia. Stando alle anticipazioni di stampa in realtà è qualcosa di “antico”. Per Lei è una “controriforma”, perché?

E’ una controriforma perché porta il sistema, porta l’Italia a una dittatura, a un modello fascista quello in cui è il governo a controllare l’azione penale, a dare le direttive alle procure su quali reati perseguire e quali tralasciare. Il fatto poi che sia pure un governo presieduto da un plurimputato per reati gravissimi aggiunge un tocco di surrealismo alla situazione già drammatica. La separazione delle carriere e la sottoposizione di fatto delle procure al governo è una idea che aveva portato avanti la P2, peraltro in un famoso piano di “Rinascita democratica” che Gelli aveva scritto, ma che non aveva mai pubblicato, lo teneva ben nascosto e ben segreto. Adesso invece tutto è pubblico, dichiarato. Lo scopo è evidente: evitare che le procure e la polizia giudiziaria indaghino sui reati dei membri del governo e i loro amici. Non a caso viene staccata dal pubblico ministero la polizia giudiziaria, cosìcché venga riportato tutto sotto l’egida del governo e si eviti così qualche indagine sui reati commessi da chi fa parte del governo e della cerchia più o meno larga di chi gira intorno. E’ quanto di più pericoloso, di più autoritario e di meno democratico si possa immaginare. Tant’è che mentre tutto il mondo tende ad aumentare l’indipendenza degli organi di garanzia, noi che potremmo vantare questo modello d’indipendenza della magistratura lo stiamo buttando a mare.

Guardiamo ai processi di Berlusconi. Perché, secondo lei, ha cambiato strategia, ovvero ha deciso di presentarsi ai processi? Lei ci crede?

Il fatto che si presenti ai processi credo che sia vero, lo ha annunciato insieme ai suoi avvocati. sarebbe una ben magra figura se cambiasse idea, è vero che lui cambia idea continuamente. Io credo che almeno qualche udienza lo vedrà presente e questo per una ragione molto semplice: perché questa volta il processo è talmente rapido nello svolgersi, grazie alla formula del giudizio immediato, che i magistrati hanno tolto il tempo per riflettere e per mettere insieme qualche legge che neutralizzasse il processo, quindi non riuscendo, questa volta, a difendersi dal processo ecco che è costretto a difendersi nel processo. La materia poi è una materia che non ha più quella complicatezza che avevano i reati finanziari, corruzioni, falsi in bilancio, frodi fiscali, fondi neri. Questa volta lo capisce anche l’uomo della strada di cosa è accusato di aver fatto Berlusconi, e cioè di aver avuto rapporti illeciti con una minorenne e di averla fatta liberare ricorrendo a una bugia clamorosa quando era stata fermata in questura per un furto senza documenti. Credo che questo tipo di comportamenti faccia incazzare parecchio gli elettori della Lega innanzitutto, che almeno sui reati degli extracomunitari sono piuttosto severi, ma anche credo un po’ di elettori suoi, che magari si erano fidati della propaganda sui sacri valori della famiglia ecc. Credo che i rapporti con le minorenni non siano un bel biglietto da visita per uno che sfilava al family-day.

Quello che esce fuori dal “Rubygate” è uno spaccato di società desolante. In cui perfino le madri delle ragazze incitano le proprie figlie a lucrare più soldi che si può dai presunti incontri con il Cavaliere. Come spiega questo degrado?

E’ un’Italia poco conosciuta che è venuta avanti in questi anni un po’ sottotraccia. E’ un sottobosco che somiglia molto al modello culturale, anzi inculturale, portato avanti da Berlusconi. E cioè: farsi gli affari propri, lucrare tutti i privilegi possibili dalla vicinanza con uomini potenti, approfittare del momento, battere il ferro finché è caldo e soprattutto guadagnarsi da vivere senza lavorare, senza sapere fare nulla. Con le conoscenze giuste prendendo le scorciatoie, saltare la fila a ogni costo, anche a costo di prostituirsi.

Parliamo del Cavaliere. Siamo alla fase finale del “berlusconismo”? Oppure riuscirà a sopravvivere ancora una volta?

Io credo che siamo alla fase finale di Berlusconi. Il berlusconismo è una cosa che con altri nomi esisteva già prima in una parte dell’Italia che lui ha avuto la straordinaria e luciferina capacità di sdoganare e di presentare come una cosa buona da rivendicare non più una cosa di cui vergognarsi. Temo che se non ci sarà qualcuno che sia in grado con la stessa capacità di sollecitare l’immaginario collettivo di ribaltare questa scala di valori e di portarne avanti un’altra alternativa, il rischio è che il berlusconismo duri molto di più di Berlusconi e sopravviva per parecchio tempo. In fondo, ha lasciato in giro tanti di quei danni, tante di quelle scorie che poi rischiano di continuare ad emanare radiazioni cancerogene per molto più tempo rispetto alla sua aspettativa di vita.

Esiste una alternativa credibile al berlusconismo? Se si dove si colloca?

Per il momento non la si vede, la si può immaginare. Sarebbe una classe politica giovane, credibile, competente, sobria, una destra che ritorni al merito, rigore, legalità e una sinistra che ritorni ai suoi valori di solidarietà, riformismo. Non è difficile immaginare come potrebbe essere l’alternativa, è difficile vederla perché mancano le persone, almeno nel mondo politico attuale, che incarnino queste due visioni.

Una parola sulla Lega. Quanto durerà il favore della base leghista ai suoi leader?

La Lega è molto concreta, ha un obiettivo il federalismo che peraltro io trovo dannosissimo penso che questo Paese, se si allentano le mani dello Stato centrale, si disfa, visto che non è mai stato uno Stato è una Nazione. Dopodiché lo perseguono con le unghie e i denti, chiunque glielo da loro gli fanno passare tutto. Il problema è che per far passare il federalismo hanno dovuto annacquarlo moltissimo rispetto al loro progetto originario: il progetto Calderoli è una caricatura del federalismo, non è nemmeno più federalismo, è municipalismo, anche piuttosto blando. Ma la Lega credo che una volta che avrà incassato questo aborto di federalismo potrà sventolarlo come una vittoria e quindi faranno un bilancio del loro impegno governativo, dopodiché decideranno se il gioco vale ancora la candela. Perché sia che lo incassino questo federalismo sia che non lo incassino, un minuto dopo non avranno più nessuna ragione al mondo per restare appiccicati a Berlusconi nel momento del suo declino. Penso che se cadrà prima della fine della legislatura Berlusconi cadrà per mano della Lega come nel ’94.

In un libro interessante, pubblicato da “Chiarelettere”, I Professionisti del potere, l’anonimo autore afferma che in Italia non esiste il quarto potere. “Dappertutto vedo servi felici: uomini e donne che vivono contenti dei privilegi ottenuti servendo i potenti che comandano l’Italia. Sono servi perché hanno barattato la libertà in cambio di privilegi e sono felici perché non si rendono conto di ciò che hanno sacrificato”. E’ davvero così la situazione italiana?

Credo che si avvicini molto alla realtà. Del resto basta un dato: la guerra in Iraq ha portato al disastro elettorale di tutti coloro che l’avevano fatta. Bush è stato spazzato via dalle bugie che aveva raccontato sulla guerra in Iraq (oggi è un nome impronunciabile anche in campo repubblicano), Blair è stato spazzato via dalle bugie raccontate sulla guerra in Iraq, Aznar una elezione a causa di un attentato dovuto proprio alla partecipazione della Spagna alla guerra in Iraq. L’unico premier che non ha pagato un microscopico pedaggio alle bugie raccontate per la guerra in Iraq è Berlusconi, che guarda caso è l’unico premier al mondo che possiede televisioni e giornali. Ci sarà pure un motivo. La stampa italiana è talmente asservita ai poteri forti, in parte al governo e al suo proprietario e in parte a una serie di imprenditori con le pezze al culo che hanno bisogno dei favori dei partiti e del governo e che quindi sono ricattati politicamente o tramite la pubblicità dal governo e dai suoi amici. Oggi i giornali che vogliono parlare male del governo sanno poi quali conseguenze patiscono, infatti non esistono. Non esistono trasmissioni, tranne un paio, non esistono giornali tranne due o tre che oggi parlano male del governo, e quelle che lo fanno lo pagano con rappresaglie dal punto di vista pubblicitario e non solo.

Lei si definisce un “liberalmontanelliano”. Che direbbe il grande Indro sul 150° dell’Unità d’Italia?

Direbbe che l’Unità d’Italia è stata una grande idea portata avanti da personaggi di grandi ideali che purtroppo però ha fallito il suo compito. D’altra parte è l’unica grande idea che ha saputo partorire la piccola elite di questo Paese negli ultimi due secoli, altre non se ne sono viste.

Un militante per la giustizia: Ramon Sugranyes de Franch

Alla vigilia del suo centesimo compleanno Ramon Sugranyes de Franch è morto a Barcellona lo scorso 27 febbraio. Per i più in Italia, forse, questo nome non dice nulla. In realtà è stato un vero protagonista del movimento cattolico internazionale e della storia culturale europea del novecento.

La sua vita si può leggere in una bella intervista pubblicata dalla casa editrice Rubbettino (Ramon Sugranyes de Franch, “Dalla guerra di Spagna al Concilio. Memorie di un protagonista del XX secolo”. (Intervista a cura di P. Hilari Raguer), Ed. Rubbettino, pagg. 247. € 15,00).

Nato nel 1911 in Catalogna da una famiglia borghese, Il padre, architetto, è stato stretto collaboratore di Gaudì, il genio che progettò la Cattedrale della Sagrada Familia a Barcellona.
Si trasferì, da esule, a causa della guerra civile (o incivile) spagnola, a Friburgo in Svizzera (dove è stato professore di Letteratura Iberica) divenne nella seconda metà del ‘900 presidente di Pax Romana (l’organizzazione internazionale degli e degli intellettuali cattolici) che gli consentì di partecipare, come uditore laico, al Concilio Vaticano II (è stato uno dei protagonisti, insieme ai teologi francesi, nella redazione della Gaudium et Spes). Così tra questi due eventi, ma anche successivamente, si svolge la testimonianza di questo limpido “militante per la giustizia” (questo è il titolo originale, in lingua catalana, del libro).

Questo “catalano universale”, non solo per la sua attività di Presidente di Pax Romana – poi dell’Istituto Internazionale “Jacques Maritain” – ma anche per il suo magistero intellettuale all’Università di Friburgo, è un rappresentante esemplare degli uomini di quella “terza Spagna” che durante il conflitto fratricida «non trovarono – come scrive lo storico benedettino Raguer – il loro posto nelle ‘due Spagne’ caine e che, oltretutto, agirono come ‘pompieri’». Ovvero a quelli che non restarono indifferenti o inattivi di fronte alla tragedia, ma che rischiarono la loro vita, e qualcuno di loro la perse, sforzandosi in primo luogo di evitare la guerra e, una volta scoppiata, di favorire una mediazione internazionale per una pace negoziata. Sono state importanti, anche, le azioni umanitarie per salvare persone minacciate oppure che erano ingiustamente imprigionate.

Quindi è nel dramma della guerra che il giovane Sugranyes compie la scelta decisiva della sua vita. Scappato, come sappiamo, da Barcellona nell’agosto del 1936 si rifugiò in Svizzera. Qui andò a confessarsi da un prete catalano, il quale gli disse che non l’avrebbe assolto se non gli prometteva di tornare in Spagna a combattere con la milicia franchista.

La confessione con il prete franchista
Ecco come Sugranyes ricorda quel dialogo con quel prete franchista :
“Quanti anni hai?”
“Mi scusi, ma io vengo a confessare i miei peccati, non a dichiarare il mio stato civile”.
“Non hai forse l’età militare? Perché non vai a lottare per Cristo Re?”
“Non sono venuto qui per parlare degli avvenimenti del nostro paese, bensì dei miei peccati”.
“Se non vai a combattere per Cristo Re non posso darti l’assoluzione”.
“Allora mi perdoni, ma io me ne vado”.
Ramon esce e va allora a consigliarsi da un altro sacerdote, il futuro cardinale Charles Journet: “Mi incoraggiò ad agire secondo la mia coscienza senza lasciarmi influenzare da condizionamenti esterni. Non è con la forza delle armi che il regno di Cristo verrà sulla terra”.

Il grande teologo, amico di Montini, gli disse anche  di rivolgersi a Don Luigi Sturzo. Ecco la splendida risposta di Sturzo alla lettera di Sugranyes de Franch :
«La Chiesa di Spagna, che avrebbe dovuto fare opera di pace», scriveva Sturzo al giovane spagnolo, «si è per lo più allineata con una delle parti, fino a definire la guerra una crociata o guerra santa. Da quella stessa parte si trovano i latifondisti, gli industriali, la classe ricca, coloro che hanno la maggiore responsabilità nell’abbandono della classe lavoratrice nelle mani dei sovversivi, perché si sono opposti a tutte le riforme sociali tentate nel nome del cristianesimo, degli insegnamenti di Leone XIII e del movimento della democrazia cristiana. La sostanza della guerra civile è sociale, non religiosa; lo spagnolo è cattolico a modo suo, perfino quando brucia le chiese per protesta: fa come il carrettiere blasfemo, che se la prende con Dio perché il suo cavallo recalcitra… Secondo me, solo i cattolici e i preti che si saranno tenuti fuori dal conflitto potranno fare opera di pacificazione. Per questo soffro nel vedere che molti giornali e riviste cattolici stranieri sono così benevolmente a favore di Franco, senza pensare che in tal modo danno agli avversari nuovi motivi di credere che tutta la Chiesa cattolica, perfino il Papa, è nemica del popolo operaio spagnolo, nemica degli stessi baschi che difendono la loro identità e autonomia». Parole profetiche, guardando anche la Spagna di oggi.

Quindi la sua non fu una comoda evasione “bensì un compromesso per la pace e la giustizia”.
Difficile racchiudere in un periodo determinato della sua vita le sue attività. Ma sicuramente è in Pax Romana che svolse il suo ruolo di leader cattolico internazionale. I suoi “grandi amici”, per riprendere un termine di Raissà Maritain, sono stati i grandi del cattolicesimo europeo del XX secolo: Jacques Maritain, G.B. Montini (divenuto poi Papa Paolo VI), l’abbé Charles Journet, Vittorino Veronese (diventato poi Direttore Generale dell’Unesco), Padre Loewe e diversi altri. Così attraverso Pax Romana e la Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) conobbe diversi futuri esponenti della classe dirigente italiana, europea e sudamericana (Edoardo Frei, T. Mazowieski, e tanti altri tra cui anche il cardinale Wojtyla).

Forse le parole del filosofo francese Etienne Gilson aiutano a trovare il senso della testimonianza di Sugranyes de Franch: “La finalità propria di Pax Romana è quella di organizzare attraverso il mondo la fraternità degli spiriti che mettono l’intelligenza al servizio di Dio”.