Il dramma della Fincantieri. Intervista ad Alberto Monticco.

Sono giorni di grande tensione per gli operai della Fincantieri. “La forza della rivolta al sud è stata accompagnata da una violenza che è il simbolo di una rabbia che c’è nel cuore della gente e che non è più contenibile, Quanto sta avvenendo è come la mano di Dio che ci avverte: prepariamoci alla collera dei poveri”. Così monsignor Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro e arcivescovo di Campobasso, commenta con parole forti, riprendendo le parole di Paolo VI, la vicenda Fincantieri e la protesta degli operai. La CEI ha voluto così testimoniare la “grande preoccupazione” dei vescovi per quanto sta avvenendo sul piano sociale e il loro “rammarico per la decisione” dei vertici di Fincantieri “‘di licenziare un numero così alto di lavoratori”( sono 2551, secondo il piano dell’azienda). Una preoccupazione condivisa da tutta la società italiana. Della vicenda parliamo con Alberto Monticco, Segretario Nazionale della Fim-Cisl. Triestino, 46 anni, è stato anche lui un tecnico di Fincantieri. Segue per la sua organizzazione tutta la delicatissima partita della cantieristica.

Esplode la collera dei poveri” così mons. Bregantini, presidente della commissione per i problemi del lavoro della CEI, ha commentato le tensioni di questi giorni sulla vicenda Fincantieri. Eppure la crisi della azienda era prevedibile. Ancora una volta la politica arriva in ritardo. L’impressione che si ha è che sia troppo tardi. E’ così?

È un’analisi condivisibile nel senso che Fincantieri ha fatto un piano a nostro dire rinunciatario, quindi, prendendo atto di una crisi di mercato che ha colpito pesantemente il settore della cantieristica; però, siccome su questa crisi c’erano già avvisaglie da tempo, sicuramente ci sono delle grosse responsabilità della politica sia in campo strategico sia nell’ottica che Fincantieri è un patrimonio dello Stato italiano. Per cui direi che l’analisi è assolutamente condivisibile.

Se la politica è arrivata tardi però da parte del movimento sindacale, forse, non vi è stata sufficiente capacità di mobilitazione per segnalare all’opinione pubblica il dramma di quest’azienda. Ha da fare autocritica il Sindacato?

Allora, su questo punto sono parzialmente d’accordo, nel senso che il sindacato ha fatto quanto era in suo potere, andando anche unitariamente in un momento in cui l’unitarietà non è assolutamente scontata: è stata fatta una manifestazione lo scorso fine anno unitaria, proprio per sollevare tutti i problemi di tutta la cantieristica, non soltanto di Fincantieri. Sono state fatte lettere di sollecito al Ministro Romani per cercare di porre non soltanto un problema di commesse, che è la cosa più banale, ma proprio un discorso strutturale di investimenti, in sinergia con i territori interessati e di ampio respiro su sviluppo e ricerca e su altri problemi come quello della tassa sulle esportazioni, come la Sace, per cercare di dare la possibilità all’azienda di aggredire fette di mercato che oggi non riusciva a colmare.

Il Sindacato fa l’autocritica o non la fa? Ritiene sufficiente ciò che è stato fatto?

Fino ad ora per cercare di contrastare la crisi è stato fatto quello che era possibile fare, oggi cercheremo di mettere in piedi tutti gli strumenti necessari per garantire la strutturalità di Fincantieri perché, siccome siamo in una situazione di scarico di lavoro, possiamo agire sul discorso di flessibilità ed efficienza interna, ma non possiamo pregiudicare la struttura strategica di Fincantieri e quindi dobbiamo tutelare e garantire i siti produttivi.

Parliamo dell’azienda ha perso, in tre anni, il 55% degli ordinativi (molto di più che nell’ambito europeo, dove il calo, anche qui consistente, è stato del 30%). Insomma, dicono gli esperti, non ha retto alla concorrenza asiatica (cinese e coreana in particolare). Com’è possibile che un’azienda che rappresenta, speriamo che continui ad esserlo, l’eccellenza italiana non sia stata capace di diversificare la produzione in ambito navale?

Questa penso sia una domanda su cui il sindacato si è interrogato, anche nel corso di numerosi accordi integrativi, che sono stati fatti all’interno di Fincantieri, ma credo su cui l’azienda non abbia avuto la capacità di diversificare, in modo funzionale alle proprie possibilità, la struttura della propria fisionomia aziendale. C’è un problema europeo, perché, da questo punto di vista, è chiaro che parlare di produzione europea significa parlare di produzione di Fincantieri, dal momento che Fincantieri detiene praticamente più del 90% del pacchetto navi europeo. Però è una ricetta che da questo punto di vista si sarebbe dovuta forse cercare nel momento in cui c’erano le vacche grasse e non adesso.


Per qualcuno la soluzione di un cambio di mentalità passava per la quotazione in Borsa, dove si sarebbero potute trovare le risorse necessarie per differenziare le linee produttive. Era questa una possibilità positiva?

Dal nostro punto di vista quella era una possibilità positiva e che non abbiamo avuto la possibilità come sindacato,questo si, di cogliere anche se non c’è stata soltanto una responsabilità del sindacato, ma anche sia dell’azienda che della politica, nel non saper cogliere un treno che avrebbe potuto portare delle risorse in un momento non di scarico, che avrebbero potuto dare la possibilità di diversificare oggi alcuni tipi di produzione, soprattutto di avere dei punti di appoggio esteri, esterni che avrebbero incrementato il fatturato e garantito da questo puto di vista più respiro all’azienda anche in senso globale.

Il 3 giugno prossimo v’incontrerete con il governo. L’Azienda ha detto che le linee del piano non sono da intendersi come “un prendere o lasciare”. Quale sarà la proposta del sindacato?

Noi l’abbiamo già fatta capire all’azienda in sede di chiusura d’ interventi nell’incontro del 23. Proprio perché l’analisi che fa l’azienda è l’analisi che parte da uno scarico produttivo, riteniamo che ci sia, e su questo abbiamo chiesto e lo ribadiremo anche in sede governativa tutti gli interventi atti a tutelare i cantieri di Fincantieri perché soltanto partendo da ciò che noi oggi abbiamo ci sono le possibilità di rilanciare il mondo della cantieristica e quindi di aggredire quelle fette di mercato che la cantieristica oggi non riesce a cogliere. Questa è la base di partenza che serve a completare un piano che può avere una base di analisi condivisibile, ma che, a nostro avviso, è rinunciatario proprio nel tema di proposta su come aggredire una crisi, che sta attanagliando tutto il mondo produttivo in questo caso anche la cantieristica.

Quale sarebbe, secondo lei, il nuovo prodotto strategico che potrebbe far ripartire Fincantieri nel medio periodo?

Noi abbiamo una partita che è quella delle rottamazioni per cercare a livello europeo di far dismettere le navi oggi obsolete; quindi il discorso della rottamazione e della creazione di nuovo naviglio, anche con delle compatibilità ecologiche tali da poter risultare competitive rispetto ad altri settori. C’è un discorso anche dell’utilizzo in alcuni porti del combustibile a gas: ci sono una serie di cose su cui abbiamo alcune idee che però devono trovare un appoggio del governo. Ricordo che quando si è insediato il Ministro Romani disse che avrebbe messo il suo massimo impegno affinché si potesse risolvere in modo positivo la problematica di Fincantieri e della cantieristica, sono passati sette mesi e il ministro lo vedremo i primi di giugno.

Commenti

  1. L’esplosione di Fincantieri è un ulteriore detonatore che non potrà che aggraverà la situazione in termine di disoccupazione che pesa nel nostro paese. Non possiamo consolarci guardando a chi sta peggio. Grecia, Portogallo e Spagna. Il nostro paese ha si superato egregiamente la crisi economica finanziaria, e questo lo si deve alla Politica, ma al nostro modo di essere. Se è vero che banche italiane prudenti nell’investire in prodotti che si sono rilevati spazzatura, la fortuna vera è stata che gli italiani, con i loro, pochi o tanti risparmi che siano hanno sorretto il sistema. Basti pensare se il nostro mondo bancario avesse attraversato quello che ha subito la Germania e Inghilterra saremmo falliti. Semplicemente perché lo stato non sarebbe stato in grado di aiutare le banche.
    Ritornando all’occupazione, è inconfutabile che da noi l’occupazione e la disoccupazione sono disomogeni perché essere giovane o meno, vivere al nord o al centro-sud fa ancora differenza, come è differente essere uomo o donna. Questo è il dramma. La Politica non è riucita a dare quelle risposte necessarie che il Paese, la gente, i giovani il nostro futuro richiede. In altri paesi, la politica lavora, e si sforza a creare quei presupposti per affrontare in modo adeguato le sfide del domani. Fincantieri è la conferma del nostro ritardo. La crisi ha colpito solo in un secondo momento la nautica. Questo lo si sapeva. E appunto per questo, che il governo e il mangement di Fincantieri dovevano adottare strumenti in grado di agire in modo adeguato al fine di portare quelle soluzioni condivisi. Investimenti su infrastrutture, finanziamenti ad hoc per innovare e razionalizzare i cantieri, creare dei veri poli di eccelenza, con missioni specifiche, accompagnati da percorsi formativi e su turn over. Il tempo c’era. E questa non è una variabile indipendente in una economia globalizzata.

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