Domani, nel pomeriggio, si svolgeranno nel Duomo di Brescia i funerali di Mino Martinazzoli. Ecco un ricordo del leader politico.
Caro Mino,
l’ultima volta che ci siamo incontrati è stato ad un convegno, non molto tempo fa, in ricordo della lezione politica di Aldo Moro. Tuo grande maestro di dottrina giuridica e tuo ispiratore di prassi politica. TU stesso ne parlavi con grande discrezione, quasi con “religioso” timore ti avvicinavi alle sue parole. Però tutti sanno, e riconoscono, che sei stato il migliore tra gli esegeti del pensiero moroteo. Un pensiero complesso, dialettico, ma per nulla sterile.
Ecco, caro Mino, ho voluto iniziare con il ricordo di Aldo Moro proprio per sottolineare questa tua capacità di affrontare l’avventura della politica. Fare memoria della tua lezione politica ed umana, è con tutta umiltà per me, un dovere cristiano, oltreché segno di amicizia.
Si proprio quel cristianesimo che ha alimentato la tua riflessione civile ci ricorda che il “buon seme” porta futuro. Nonostante la tua grande ironia, e spesso autoironia (ne ricordo una sull’”abbonamento alla disfatta” che fece scoppiare di ilarità la platea), ti desse il senso del limite della politica.
Ecco allora la politica! Quante volte affermavi nei tuoi interventi, memorabili davvero, densi e mai ripetitivi che la politica non è il regno dell’onnipotenza, quello che chiamavi il “troppo” della politica, che tanti guai aveva seminato nel novecento, la “politica – diceva Moro – non è lo scrigno della felicità – lascerà sempre insoddisfatti -ma l’arte del possibile”, e tu stesso ne affermavi il limite: “la politica conta ma la vita conta di più”.
Se questo era vero nel tempo del “troppo” della politica a maggior ragione lo è nel tempo del “niente” della politica. E anzitempo avevi previsto il vuoto della “videocrazia” , della politica urlata, delle candidature senza carattere, e denunciavi l trasformismo “eterno” della politica italiana (ma che proprio un bipolarismo infantile, secondo te, ne moltiplica gli effetti). Per questo motivo, cioè sul senso profondo della politica (ovvero l’attenzione al bene comune) che si pone il tuo pensiero in alternativa radicale al berlusconismo ( e lo ripetevi sempre, in ogni circostanza, che Forza Italia non c’entrava niente con la DC: “simil-democrazia cristiana, più dorotea che cristiana”).
La tua visione politica era una politica dalla visione “mite”, ma per nulla accondiscendente, una visione “moderata” della politica. Ma subito , ricordo bene quell’intervento del 23 luglio del 1993 a Roma assemblea costituente del Partito Popolare, specificavi, sulla scia di Sturzo, che la “moderazione”, se da un lato era un rifiuto di ogni “radicalismo”, è “esattamente il contrario del moderatismo, parola che descrive l’astuzia del potere, il “sopire e troncare” che alligna anche là dove, fino a ieri, si preferiva annientare e interdire “.
Dunque nessun “neutralismo” politico, anzi, per te, la “ragionevole speranza “ cristiana in politica aveva delle priorità molto chiare: l’uguaglianza, la solidarietà, la democrazia, l’unità dell’Italia e dell’Europa.. In questo eri in perfetta sintonia con il pensiero degasperiano e moroteo. Eri uomo del Nord e proprio per questo antileghista. “Io con la lega – affermavi – non prendo nemmeno il tram”, criticavi l’uso improprio che Bossi e la Lega fanno della parola “federalismo”: “il federalismo di Bossi e più un etnonazionalismo, come direbbe qualcuno che ha studiato, cioè il sogno di una nuova nazioni su basi etniche, che un federalismo alla Cattaneo”. E in questa mistura di egoismo e di ideologia “etnica” vedevi il pericolo leghista, e nella tua biografia invitavi i lombardi ad un riscatto: “Continuo a pensare che un giorno o l’altro accadrà che i lombardi torneranno a raccattare il loro senno andato sulla luna e cominceranno a pensare che quello gli tocca di fare, per garantire la loro qualità di vita, non è di pretendere di essere altro dall’Italia, ma invece di essere all’avanguardia dei doveri degli italiani”. C’è molto cattolicesimo lombardo in questa affermazione: da Rosmini a Manzoni.
Troppi sono i pensieri che vengono alla mente. Eri uomo politico, ma quello che emergeva più di tutto era la tua fede. Una fede vissuta nella grande storia della laicità del cattolicesimo democratico del novecento italiano e lombardo (da Lazzati a Marcora e alla tua Brescia, quella della famiglia Montini).
E rimandavi, sempre, alla dismisura. Sapendo che, nel tempo triste delle “fattucchiere del politichese”, ciò che conta per un cristiano è rimandare sempre alla misura umana della politica (ovvero a quel principio di non appagamento che Moro indicava per l’avventura politica: avere fame e sete di giustizia).
Ecco, caro Mino, questi sono i pensieri che sono tornati alla mente ripercorrendo, un poco, il tuo percorso. La nostra avventura continua, per noi non c’è che il tentare. Sapendo che “alla fine, quando renderemo i conti, scopriremo che quello che di meglio e di più vero rimane sono le nostre speranze. Dite pure i nostri sogni”.
Ciao Mino!