Lunedì scorso si è svolto a Todi, in provincia di Perugia, l’importante Forum dell’associazionismo cattolico impegnato nel mondo del lavoro. Un evento che ha fatto e fa discutere l’opinione pubblica laica e cattolica. Su questo evento abbiamo intervistato Giuseppe Vacca, storico delle Dottrine Politiche, Presidente della Fondazione Gramsci di Roma. E’ tra i maggiori intellettuali della Sinistra italiana ed europea.
A Todi si è assistito ad una rinnovata volontà d’impegno del laicato cattolico per una “buona politica”. Qual è il suo giudizio?
Il mio giudizio è molto positivo, perché il Convegno di Todi manifesta,o comunque giunge a conclusione di un periodo, relativamente breve, di ripresa della funzione nazionale del cattolicesimo politico, o detto in linguaggio più semplice, per il destino della nazione italiana da parte della Chiesa. Basti pensare a come la Chiesa italiana, e non solo italiana, il Papa hanno affrontato, trattato l’occasione del 150° della storia d’Italia. Quindi una ripresa d’impegno civile del laicato cattolico,di quella parte del mondo cattolico che anima l’idea di “popolo di Dio”, come viene definita dal Concilio Vaticano II, sicuramente costituisce una ricchezza messa a disposizione del Paese nella complessità dei suoi attori, forze politiche, culturali, di chi dedica la sua attenzione ai legami della società, degli strati meno protetti.
L’intervento del cardinale Angelo Bagnasco, al Forum di Todi, ha sottolineato, tra l’altro, la sfida “della metamorfosi antropologica” dell’uomo contemporaneo. Ribadendo così, ancora una volta, i “valori non negoziabili”. In che misura questo pone un limite al confronto tra laici e cattolici? Oppure, al contrario, invece questa posizione può essere una ricchezza per il dialogo?
Il punto di maggiore interesse è esattamente la riaffermazione del ruolo specifico e autonomo del laicato rispetto a quelli che il magistero della Chiesa definisce “valori non negoziabili”,partendo da una messa a tema, ormai ampiamente condivisa da credenti e non credenti, di una percezione dell’umanità definita in termini di emergenza antropologica. Questo è un ulteriore passaggio che consente di definire, in termini più innovativi che in passato, le possibilità di collaborazione tra, credenti e non credenti, laici, cioè nella dimensione della laicità o di una nuova laicità, che non è più definita una volta per tutte dalla distinzione tra Stato e Chiesa, diciamo così. Sia pure nelle forme di una forma concordataria di interessi reciproci e dei vecchi conflitti come è stata nell’Italia del novecento, a partire dal 1929.
Uno snodo fondamentale per una “buona politica” è la “nuova laicità”. In un documento sottoscritto da Lei, Barcellona, Tronti e Sorbi ritenete che la “nuova laicità” è il terreno comune per laici e cattolici. Come si declina la “nuova laicità”?
Esattamente partendo dalla affermazione per parte cattolica (è un tema fortemente presente nel pensiero, diciamo pure nella teologia, il Papa Benedetto XVI già da molto tempo, nel modo in cui ha ripensato il Concilio, l’ha rielaborato anche in chiave teologica), di una visione della modernità come permeata da una tensione ma anche di una alleanza tra Fede e Ragione, tra scienza e religione. Questa è una visione che lascia da parte ogni vecchio timore della Chiesa cattolica di sentirsi solo sfidata dalla modernità e quindi è un terreno per distinguere bene tra modernità e secolarizzazione e derive nichilistiche possibili nella secolarizzazione. Da parte dei non credenti laici la “nuova laicità” è un ritorno alla consapevolezza, il fatto che la religione, il fattore religioso è elemento costitutivo, positivo della comunità, mai riducibile alla pura sfera della coscienza interiore dell’individuo considerato come singolo nella forma più esasperatamente solitaria. Questo è il terreno comune per cercare di definire di volta in volta i temi della mediazione laica al di là delle vecchie distinzioni fra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio distinto dalla affermazione dello Stato nazionale moderno che si è costruito in Europa partendo dalle guerre di religione.
Tornando ai valori “non negoziabili”. Quello a cui si assiste, oggi in Italia, è una sorta di bipolarismo etico. Come superarlo?
Il bipolarismo etico negli ultimi venti anni è stata la conseguenza di una caduta della cultura della mediazione, di un impoverimento delle culture politiche per cui, da una parte è venuta crescendo una posizione opportunistica rispetto a quelli che la Chiesa ha declinato come valori non negoziabili, quasi che la funzione della politica per ragioni opportunistiche fosse quella di tradurre in normative conseguenti quelli che invece nella dottrina della Chiesa sono valori, ovvero criteri di coerenza del comportamento, validi sia per credenti e non credenti che poi affidano alla mediazione di laici la loro traduzione nella cultura della mediazione appunto, che è il fondamento di ogni ordinamento democratico. La democrazia si regge nella misura in cui di volta in volta i propri fondamenti attraverso la mediazione fra pluralità di fedi, culture. Dall’altra parte c’è stata una deriva radicale della cultura laica, quella che i credenti definiscono laicista, che ha pensato soltanto in termini d contrasto e di intrusione, invasione della propria sfera la predicazione e lì affermazione di valori non negoziabili. La definizione di valori non negoziabili è una definizione di valori non solo per i credenti ma anche per i non credenti che definisce la sfera dei principi che chiede, come dire, coerenza nel rapporto tra un’ispirazione etica, o religiosa che sia, e comportamenti. Come tale non è barriera per nessuno a condizione che non si voglia praticare una politica opportunistica verso i valori religiosi in un paese dove c’è la più alta autorità spirituale della Chiesa: c’è il Vaticano, c’è il Papato, e dall’altra parte verso una regressione, che ci porta persino molto più indietro del Concordato. Considerare la laicità come la definizione di una autonomia della politica a prescindere da qualunque fondamento di valore è una definizione assai povera della democrazia, anzi è qualcosa che non riesce a sostenerla, a stabilizzarla e a renderla felice.
Esiste ancora un “pensiero forte” di sinistra?
Devo dire con franchezza che la parola sinistra come la parola destra sono parole molto povere per definire la soggettività in campo nella loro ricchezza, nella loro pluralità e nei loro fondamenti. Io interpreto la domanda così: esiste nel pensiero moderno e contemporaneo, esistono filoni, autori classici, correnti ancora fertili, vitali per progettare fra credenti e non credenti insieme la comunità del futuro? Ma certo che esistono. Si può leggere il mondo di questa crisi, e non parlo della crisi degli ultimi tre o quattro anni, ma insomma questa enorme trasformazione che comincia negli anni sessanta e continua con mutamenti sempre più sorprendenti, si può arrivare a capirla nella prospettiva storica rinunciando per esempio a un pensatore come Marx o ad un pensatore come Gramsci? Io penso proprio di no. Se da questo poi si possa ricavare una nuova catechesi o ricettario per forze politiche, vecchie e nuove che si vogliono costituire sulla base di una dottrina, questa è altra questione, non più proponibile nei termini in cui è stata lungamente vissuta tra ‘800 e ‘900.
Ultima domanda: Il PD è all’altezza di tutte queste sfide?
La mia opinione, che qui si fa molto più di parte, è che il PD è l’unico progetto ideale, etico, politico concepito con una apertura verso il futuro e quindi con ricchezza di fondamenti possibili nella situazione italiana degli ultimi anni. Che possa dar vita o dar seguito alla crescita e allo sviluppo di un soggetto compiuto che sia coerente o all’altezza delle aspettative su cui il progetto è stato concepito, io credo che ci voglia molta buona volontà, il concorso di molte forze, più di quante finora non siano in campo e ci voglia, come sempre nella storia di soggetti collettivi organizzati, capaci di radici nella storia nazionale, un bel po’ di tempo.