Tra qualche giorno, precisamente il 17 febbraio, si compirà il ventennale di “Tangentopoli”. Su quella stagione i giudizi sono contrastanti: c’è chi dice, ipocritamente, che erano i giorni del “Terrore” (per via delle carcerazioni), e c’è, invece, chi afferma che è stata una “rivoluzione”. Tra questi antipodi c’è spazio per una riflessione più articolata. Un punto però è acquisito: in quei giorni, crolla un sistema ormai esausto incapace di rinnovarsi. Di tutto questo parliamo con Marco Damilano, cronista politico di punta dell’Espresso, autore del libro, appena uscito in libreria, “Eutanasia di un potere. Storia politica d’Italia da Tangentopoli alla Seconda Repubblica” (Ed. Laterza, pagg. 328 € 18,00).
Damilano, innanzitutto, partiamo dal titolo: perché “eutanasia di un potere”?
«Per gli studiosi delle dinamiche del potere, e anche per i giornalisti come me che ne raccontano le manovre quotidiane, la fine della Prima Repubblica rappresenta un caso di straordinario interesse. Quasi una metafora, un dramma shakespeariano, sul sentimento di onnipotenza dei governanti che produce la loro rovina. Così erano i partiti di governo della Prima Repubblica fotografati all’inizio di Mani Pulite: avevano sconfitto il comunismo e si sentivano destinati all’eternità. E invece crollarono in pochi mesi, con una modalità cruenta più tipica dei regimi autoritari che delle democrazie occidentali».
Nel tuo libro esponi tutta la storia amarissima della fine della “Prima Repubblica”, che ha avuto il suo punto estremo nella vicenda di “Mani pulite”. Riporti alcuni giudizi di alcuni protagonisti : per qualcuno, quei giorni, erano giorni “del terrore” per altri è stata una “rivoluzione”. A leggere il libro è sembrata la vittoria del “Gattopardo” (Berlusconi). E’ così?
«Nei venti anni successivi abbiamo oscillato tra questi due estremi. Tangentopoli fu un golpe mediatico-giudiziario. Pensa quante volte l’ha ripetuto Berlusconi! No, si replica dalla parte opposta, Tangentopoli fu una liberazione. Io non ho dubbi da che parte stare: considero quella stagione positiva perché sbloccò un sistema politico ormai inefficiente e in gran parte corrotto. Ma devo anche prendere atto che il frutto politico di quella stagione è stato il berlusconismo. Colpa di chi, penso alla sinistra, non ha saputo costruire un’alternativa credibile al vecchio sistema dei partiti. Ma colpa, più in generale, di un bel pezzo di società italiana (la mitica società civile!) che ha utilizzato le inchieste per autoassolversi dalle sue responsabilità. Un bel lavacro collettivo e via a votare per Berlusconi. Va anche ricordato che il Cavaliere, l’uomo che ha gridato al golpe giudiziario, con le sue televisioni sostenne l’operato dei giudici. E non fu mai costretto a salire le scale della procura di Milano per tutto il 1992-93, a differenza dei vertici imprenditoriali del Paese. Eppure era di gran lunga l’imprenditore più legato al mondo della politica. Strano golpe, quello in cui a salvarsi è stato solo lui. E liberazione incompiuta, se dopo tanta ansia di rinnovamento ha preso il potere Berlusconi».
Tutto un sistema politico crollò. Dc e Psi ne fecero le spese maggiori. Nel libro parli dell’atteggiamento “antropologico” diverso, nei confronti di quegli avvenimenti, dei democristiani rispetto ai socialisti. Puoi specificare meglio?
«I democristiani non opposero nessuna resistenza alla loro caduta, come se nel profondo dell’inconscio attendessero il termine della loro lunga stagione di governo con un senso di sollievo. C’è la figura tragica di Martinazzoli, l’ultimo segretario della Dc, scomparso di recente, cui toccò il compito di chiudere con quella storia, lui che era il più pulito, il dc meno coinvolto negli scandali sul piano personale e politico. E c’è, non possiamo non ricordarlo in questi giorni, il presidente Scalfaro che si comportò da uomo di Stato: fece prevalere la Costituzione sull’interesse del suo partito, la Dc, quando per esempio rifiutò di firmare il decreto Conso che avrebbe cancellato il reato di violazione del finanziamento pubblico dei partiti, una vera amnistia, il colpo di spugna. Mentre Craxi si oppose ai giudici e incarnò la figura del politico che combatteva per fermare le inchieste, anche a costo di sfasciare le istituzioni: un modello successivamente ereditato da Berlusconi. Con qualche differenza: i reati di cui fu accusato Craxi erano legati alla politica, il segretario del Psi non capì però che non poteva più invocare una ragione politica per mettersi al di sopra della legge, mentre quelli di Berlusconi rappresentano bene questo ventennio di privatizzazione della res publica, la mescolanza di pubblico e privato che è l’altra faccia del conflitto di interessi. Anche per Craxi gli anni che precedono immediatamente Tangentopoli sono tormentati dai cattivi presagi: una malattia, il senso della morte incombente. Come se in fondo la fine se l’aspettasse anche lui».
Riporti la testimonianza di alcuni leader democristiani di allora. Chi ti ha colpito di più come capacità di autocritica?
«Bruno Tabacci fu l’unico politico, già all’epoca, ad ammettere in Parlamento la sua colpevolezza “politica”: «Sono innocente sul piano giudiziario, ma moralmente e politicamente riconosco la mia responsabilità…», disse alla Camera il 17 febbraio 1993. E forse è anche grazie a quella coraggiosa ammissione che oggi è uno dei protagonisti della politica italiana. Enzo Carra mi ha colpito per la sincerità della sua testimonianza, dolorosa anche in termini personali. E c’è il dimenticato Gianni Fontana, uno dei sette ministri del governo Amato che si dimisero in quel 1993, che racconta la sua “rinascita”. A distanza di vent’anni dimostrano che l’esigenza di rinnovamento non era affatto infondata. E che la colpa di quella classe politica, al di là dei processi, fu di essere rimasta sorda. Carra dice proprio così: la fine arriva quando c’è la sordità della politica. Mi sembra una bella lezione anche per l’oggi».
Colpisce la figura di Carlo De Benedetti, Il capo del gruppo Espresso Repubblica.Nel libro oltre a rievocare il conflitto tra Craxi, e quindi Berlusconi, e l’Ingegnere, riporti un pensiero di De Benedetti: “In quell’operazione (cioè “Mani Pulite” ndr) il Pci è stato protetto, perché sia Borrelli che D’Ambrosio volevano distruggere un sistema di potere, non tutti i partiti, non la politica”. Eppure sul Pds ci sono stati indagini da parte di magistrati come Nordio, andò davvero così?
«È un’affermazione che ha fatto e che farà molto discutere. Credo che il giudizio di De Benedetti non valga come un retroscena giornalistico, perché sul piano giudiziario le inchieste sul Pds ci furono, ma come un’analisi che arriva da una fonte molto autorevole. Senza dubbio i magistrati sentirono su di sé il peso di una supplenza politica, i più avvertiti tra loro, Borrelli e D’Ambrosio tra questi, sapevano che qualche partito avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di fare quello che loro, solo con le inchieste, non riuscivano a fare, cioè rinnovare in profondità le istituzioni e i comportamenti della politica. Ma la parte che doveva essere più interessata a questo discorso, al sinistra e la Quercia nata dalle ceneri del Pci, rimase inerte. E fu travolta dai “nuovi”: Berlusconi e la Lega».
Torniamo al Psi. Berlusconi prende l’eredità craxiana. Eppure lo stesso Berlusconi , con il suo apparato mediatico, sostiene “Mani pulite”. L’intreccio di interessi tra Craxi e Berlusconi è fortissimo. Chi dei due viene usato? Si può immaginare la storia della così detta II Repubblica come la ricerca spasmodica dei craxiani della rivincita nei confronti dei “nemici” di un tempo?
«Molti testimoni, penso a Massimo Pini, raccontano che già nel ’91 Craxi sospettava che Berlusconi volesse entrare in politica al suo posto. Lo stesso rivela De Benedetti: “Berlusconi mi disse”, racconta, “che con le sue tv e con il Milan poteva far fuori Craxi in cinque minuti”. Ma era una stagione in cui la politica era ancora molto forte ed era vero anche il contrario: se il Psi non avesse approvato la legge Mammì l’impero berlusconiano si sarebbe dissolto. Fino al 1992 era Berlusconi che dipendeva da Craxi, dopo le parti si sono invertite e da questo punto di vista Tangentopoli per Berlusconi è stata una magnifica occasione, altro che golpe! Dopo quasi tutti i socialisti craxiani si sono accasati in Forza Italia riconoscendo in Berlusconi il continuatore dell’opera di Bettino. Non tutti, per la verità: il figlio Bobo, per esempio, oggi ammette che Berlusconi ha tradito suo padre. E anche un craxiano inflessibile come Ugo Intini non si è mai confuso con la destra, a differenza di Brunetta e di Sacconi. Cicchitto è un caso a parte: in pochi lo ricordano, ma nel ’94 si candidò a sinistra, con la macchina da guerra di Occhetto. In Forza Italia è arrivato solo nel ’99, con uno zelo che serve a far dimenticare il ritardo…».
Con “Tangentopoli” non finì la corruzione, anzi . Oggi le “tangenti” sono le escort, gli appartamenti lussuosi, le vacanze in località esotiche, ecc. Trovi analogie con quel periodo? Un dato appare evidente: oggi come ieri assistiamo alla debacle della politica. Quando finirà l’eterna transizione italiana?
«L’ex procuratore Borrelli ha voluto addirittura chiedere scusa per le indagini: “se avessimo saputo cosa sarebbe arrivato dopo non le avremmo mai iniziate”, ha detto con un’ironia amarissima. Ieri c’erano politici che si trasformavano in affaristi, rubavano per il partito, come si diceva all’epoca, o anche per sé, ma nell’esercizio delle loro funzioni di politico. Oggi ci sono gli affaristi che si trasformano in politici: banchieri, lobbysti, piccoli e grandi imprenditori che entrano in un partito per accrescere il volume di affari. Il reato principe di Tangentopoli era la violazione del finanziamento pubblico dei partiti, il più politico dei reati, quello dei nostri giorni è la compravendita fasulla degli appartamenti, il più privato degli abusi. Identica a vent’anni fa, invece, è la situazione di debacle della politica. E il nodo è sempre lo stesso: il mancato rinnovamento della classe politica che vent’anni fa aprì la strada al populismo e oggi al governo dei tecnici. Con un ruolo di supplenza del Quirinale (ieri Scalfaro, oggi Napolitano) simile al 1992-93. Con una crisi economica internazionale che costringe la politica nazionale a fare un passo indietro. Con i professori al posto dei magistrati. Siamo al bivio, ancora una volta: o i partiti, ridotti in gran parte a un simulacro, trovano la forza di guidare il cambiamento, o saranno travolti».