Le radici di “Occupy Wall Street”

Poche settimane fa “Occupy Wall Street” ha “festeggiato” i suoi sei mesi di vita. Il movimento nato a New York con l’occupazione di Zuccoti Park.

Loro sono la continuazione americana di quel grande movimento globale degli indignados che, nel 2011, ha portato sulla scena planetaria la contestazione dei giovani, e non solo, nei confronti delle grandi ingiustizie economiche e politiche.

Il 2011 è stato l’anno della grande recessione. Così come all’inizio del secolo scorso, il ’29, Wall Street è stato l’epicentro della crisi. Ed è proprio nel cuore dell’impero della speculazione mondiale che nasce il movimento di contestazione al “grande freddo” della crisi. Riccardo Staglianò, un bravo giornalista di Repubblica, con questo reportage, frutto di una settimana vissuta all’interno del movimento, ci porta a rivivere le azioni, veri e propri blitz, i valori di Occupy Wall Street. Pubblicato dalla casa editrice Chiarelettere sono 150 intense pagine che si leggono di un fiato.

“Noi paghiamo il prezzo dei loro misfatti. Viviamo in un sistema che socializza le perdite e privatizza i guadagni. Questo non è capitalismo. E’ economia distorta. “. Così il premio Nobel per l’economia Joseph Stigliz, uno dei punti di riferimento del movimento, pone la dinamica centrale del sistema “distorto”. Contro questa distorsione, forse però non si tratta solo di una “distorsione”, si scagliano le azioni, tutte non violente, del movimento. Ed ecco che i suoi “happening” colpiscono per l’efficacia comunicativa. Divertente come quella degli aereoplanini di carta e i palloncini davanti alle sedi delle grandi banche d’affari come Goldman Sachs e Morgan Stanley.

Si configura come un movimento senza leader e senza una stabile organizzazione ,tra i suoi “inventori” troviamo gente come Vlad Teichberg, un trader passato dalla parte degli “indignados” americani, creatore di Revolution Tv,l’antropologo David Graeber, Marina Sitrin, avvocato “ideologa” della democrazia diretta (tutte le azioni del movimento sono prese all’unanimità, per loro il “consenso” deve essere “generale”). Ed altri ancora. Molti vengono dalla “middle class” sempre più impoverita, dagli studenti che hanno fatto mutui per pagarsi gli studi (il mutuo per l’università ti costa come quattro Bmw e non ti porta da nessuna parte: “una zavorra mortale”), intellettuali della sinistra americana, pastori e preti ecc. Come ogni movimento americano c’è una alta dose di pragmatismo insieme a forti radicalismi. Insomma quello che appare è, come scrive Giancarlo Bosetti, una “ideologia open source”. Proprio come il software informatico si arricchisce di molti contributi, una apertura massima a chi ha qualcosa di intelligente da dire ma, soprattutto, da proporre come azione collettiva.

“La cosa che ci rende speciali non quello contro cui lottiamo, ma quello di cui siamo a favore: uguaglianza, unità, rispetto reciproco. Elementi fondamentali del nuovo sistema umano che vogliamo costruire” così Vlad Teicheberg esponeva il principio base di “Occupy Wall Street”. Ed è la chiave globale che propone il movimento: “Siamo ad un bivio simile a quello che si presentò all’impero romano. Con sempre meno risorse vogliamo farci la guerra per accaparrarcele o vogliamo trovare il modo di avere una conversazione su come spartirle? Il movimento tratta di questo, del mutuo rispetto. Se anche l’umanità l’adotterà, eviterà il peggio. Si può discutere se l’assemblea generale sia gestita bene o male, ma l’idea di una conversazione tra eguali è indubitabile. L’empatia, l’onestà, il desiderio di provarlo a farlo è ciò che unisce tutti”. Utopia? No è realismo! Intanto questo movimento detterà l’agenda alle prossime elezioni presidenziali americane, lo stesso Obama ha lanciato messaggi di attenzione verso “Occupy”. E’ questo è importante per l’America. Per questo “non potete sfrattare l’idea in cui il tempo è arrivato”, lo slogan su cui scommette per il suo futuro “Occupy Wall Street” e chissà se davvero non ci riserverà piacevoli sorprese.

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