Verso una destra europea? Intervista a Marco Damilano

Dopo la fiducia ottenuta dal governo la situazione politica si rimette in movimento. In particolare sul fronte del Centrodestra, dove la sconfitta politica di Berlusconi e dei falchi del PdL ad opera delle “colombe”,sta producendo un forte confronto tra lealisti e alfaniani. Ne parliamo con Marco Damilano, cronista parlamentare del settimanale l’Espresso.

Damilano, la settimana appena passata ha segnato, forse, la formazione dell’ “embrione” della “terza” repubblica (quella senza Silvio Berlusconi). Si stiamo incamminando davvero verso Questo approdo?
«È stato lo stesso presidente del Consiglio Enrico Letta a ripetere in un’intervista televisiva che il ventennio della Seconda Repubblica è finito. Negli interventi in Parlamento è stato più preciso: “la democrazia governante”, ha detto, “ahinoi è fallita. Abbiamo avuto in vent’anni 14 governi contro i tre della Germania”. Resta da vedere quali siano le ragioni del fallimento: per un’impossibilità per il sistema politico italiano di trasformarsi in una solida democrazia europea, per la presenza di Berlusconi, o per la resistenza di un blocco centrista, politico e economico, ostile alla competizione e alla concorrenza, sostenitore dell’eterno pareggio in cui non vince e non perde nessuno. Se così fosse, la Terza Repubblica assomiglierebbe alla coda della Prima, non alla sua stagione più virtuosa. Ma per ora l’approdo non è affatto chiaro».

A qualche osservatore il “patto” per il governo tra Letta e Alfano ha fatto balenare la “rinascita” della DC. Non è esagerato evocare lo scuso crociato?
«Esagerato come ogni paragone storico. La Dc affondava le sue radici nella società italiana, il patto di cui si parla oggi è soprattutto parlamentare, tra spezzoni di ceto politico. Esiste però nella società italiana una voglia di moderazione e di stabilità, un partito trasversale che comprende confindustriali, ciellini, cislini, vescovi e che è intervenuto con nettezza per bloccare Berlusconi sulla strada della crisi. Potrebbe essere il blocco sociale su cui ricostruire un partito di centrodestra post-berlusconiano, nel caso di mantenimento di un sistema bipolare. Oppure, ed è la speranza di molti, la base di riferimento di una coalizione Letta-Alfano, un’area di governo senza un’opposizione in grado di aspirare a sostituirla, con la sinistra del Pd in posizione residuale e i grillini a presidiare il fronte del no».

Alfano, per evitare scissioni, ha chiesto la testa dei falchi (Verdini, Santaché, Capezzoni, ecc). Eppure stanno ancora al loro posto…
«Alfano ha replicato duramente alle affermazioni di Letta sul superamento di Berlusconi. Vuole giocarsi la partita all’interno del Pdl, approfittando dello stato confusionale di Berlusconi. Il Cavaliere, in realtà, è ancora lucido: per tenere unito il suo partito in attesa di tempi migliori ha sacrificato i falchi. Ma se riesce a evitare una scissione tra qualche tempo, nonostante i guai giudiziari e l’interdizione, tornerà in gioco. Anche perché, è il punto di massima contraddizione e ambiguità, Alfano e i suoi non hanno mai strappato con Berlusconi, non hanno aperto nessun processo critico e auto-critico, si sono al più definiti “diversamente berlusconiani”. Troppo poco per fondare un nuovo progetto politico, anzi, decisamente imbarazzante».

C’è un dato di fatto: Sul piano culturale politico la destra italiana è troppo imbevuta di “berlusconismo”. Ci vorranno anni per una autentica emancipazione in senso europeo della destra italiana. E’ così?
«Berlusconi può finire, il berlusconismo continuerà. Non è stato un incidente della storia, una parentesi, un’invasione straniera, come affermava Benedetto Croce del fascismo (sbagliando). È un fenomeno radicato nella società e nell’antropologia italiana. Berlusconi ha dato voce a settori dell’elettorato radicalmente anti-statali, alieni alle regole, alle istituzioni, estranei più che ostili alla Costituzione repubblicana. Un elettorato di destra radicale, lontano dal moderatismo cattolico delle destre democristiane della Prima Repubblica. Un elettorato che cercherà forme di rappresentanza coerenti con il messaggio berlusconiano, che non accetterà di rifluire in un centro esangue e doroteo».

Quali saranno le conseguenze, in questa situazione, per il PD e per il suo Congresso?

«Il Pd è al bivio: o torna a proporre con forza un sistema bipolare, spiegando che le larghe intese sono un tempo breve e che serve una legge elettorale che dia un vincitore e uno sconfitto, o finirà risucchiato nel nuovo centro immobile come fogliolina di sinistra, irrilevante e rissosa. Come sono il Pasok in Grecia e l’Spd in Germania, come era il Psi nella prima metà degli anni Settanta, nella fase decadente del centrosinistra italiano».

Indubbiamente per Enrico Letta il voto del 2 ottobre è stato un grande successo politico. Per Matteo Renzi questo pone problemi di “agibilità” politica. Ovvero non c’è il rischio che per lui le cose si complichino…
«Renzi corre il rischio di doversi adattare a uno schema di gioco non suo, ma ha anche una grande opportunità. Resta l’unico difensore, anche per motivi generazionali, di quel sogno di democrazia governante che Enrico Letta dà invece per morto e sepolto. Il rinnovamento, la rottamazione, non bastano più. Oggi Renzi deve presentarsi come il ricostruttore di un sistema politico alternativo a quello fondato sulle larghe intese a vita. Larghe intese contro democrazia dell’alternanza, il primo fronte è largo e variegato, il secondo vedrà sempre più in Renzi il suo leader. E per Renzi la solitudine di oggi potrà diventare una risorsa, se saprà approfittarne alzando il livello del suo progetto».

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