E’ partito il Congresso della Cgil. In questi giorni si sta sviluppando una polemica molto aspra tra Maurizio Landini, Segretario Generale della Fiom, e Susanna Camusso, Segretario Generale della Cgil. Il punto di contrasto tra i due è l’accordo sulla “rappresentanza sindacale” firmato anche dagli altri sindacati confederali (Cisl e Uil). E’ un punto strategico di dissenso fondamentale questo per la Fiom. Così partendo dal suo libro Forza Lavoro, pubblicato dalla Casa Editrice Feltrinelli, prendiamo spunto per una riflessione più generale sul Sindacato.
Landini, il suo libro è un vero proprio atto d’accusa contro un sistema “neoliberista”, ovvero il “pensiero unico” di questi ultimi 20 anni. Un sistema che, lo stiamo sperimentando tutti, ha reso precaria la vita di milioni di persone. Il mondo del lavoro è stato il più colpito. Le chiedo qual è la “ricetta” culturale e “politica” della Fiom per riportare al centro il Lavoro?
Il lavoro in questi ultimi 30 anni è stato ridotto a semplice merce, questa è una delle caratteristiche della “rivoluzione” liberista. Ciò è potuto accadere perché è stata oscurata la sua condizione nello sposare le leggi del mercato e quelle delle imprese, riducendo i lavoratori a voci di bilancio e i cittadini a semplici consumatori; decretata la sua “fine” nell’annunciare un mondo in cui non ce n’era più bisogno; abbandonato il suo ruolo generale nell’allontanarsi della politica dal mondo reale delle persone in carne e ossa. Una deriva costituita da elaborazioni ideologiche, comunicazione e informazioni a senso unico, accordi internazionali e leggi che hanno prodotto l’era della precarietà. Una situazione che va rovesciata ridando al lavoro la dignità culturale affermata dalla nostra Costituzione fin dal suo primo articolo, riconquistando il diritto a un lavoro che non sia solo legato al bisogno ma anche fonte di realizzazione e gratificazione, occasione di emancipazione personale e collettiva. Quindi rimettendolo al centro dell’attenzione e dell’azione politica a partire da scelte economiche incentrate sulla piena occupazione e sulla garanzia di un reddito dignitoso.
Nel suo libro c’è anche una forte critica al comportamento del Sindacato Confederale di questi ultimi anni. Qual è stato il “peccato” più grave commesso dal Sindacato italiano?
Il sindacato confederale, almeno una sua larga parte, ha subito e persino partecipato al processo di svalorizzazione culturale e politica del lavoro dipendente, finendo per considerarne i destini come un semplice derivato delle condizioni delle imprese, accettando la logica delle compatibilità sia a livello aziendale che nazionale e, infine, europeo nel fare dei vincoli di bilancio quasi una religione. E’ stata nella “ritirata” degli anni ’80, di fronte ai processi di ristrutturazione delle imprese che hanno segnato quel decennio, che molti sindacalisti hanno accettato una logica di progressiva riduzione dei diritti e dei redditi dei lavoratori in cambio per rispondere alle esigenze delle imprese. Nel farlo è anche regredita la qualità democratica del sindacato e la partecipazione dei lavoratori, perché le ragioni di carattere generale che andavano perseguite erano sempre più “indiscutibili” e calate dall’alto come una sorta di nuovo stato di natura.
Ci sono due parole che ricorrono spesso nel suo libro: “democrazia” e “partecipazione”. Landini, mi perdoni il luogo comune, vuole “rottamare” la classe dirigente della Cgil?
Rottamazione è una parola orribile e orribile, oltre che sbagliata, è anche l’idea che i problemi si risolvano con le epurazioni, le emarginazioni o magari prepensionando anticipatamente una classe dirigente. Il problema del sindacato – come della politica – non è anagrafico ma di contenuti e pratiche. La democrazia non è una formula astratta o una parolina magica dietro cui celare movimenti di palazzo; la democrazia e la partecipazione si costruiscono nella condivisione dei contenuti e delle azioni: così si costruisce o si rinnova una classe dirigente, le cui principali caratteristiche – soprattutto per un sindacato confederale – sono la capacità d’ascolto e lo spirito di servizio rispetto ai propri rappresentati.
Veniamo alla stretta attualità. Partiamo dall’accordo sulla Rappresentanza sindacale, firmato qualche giorno fa dai Segretari generali di Cgil-Cisl-Uil. La sua organizzazione lo ha criticato duramente affermando: che nell’accordo “compaiono elementi che configurano una concezione proprietaria dei diritti sindacali”. Una affermazione durissima. Insomma la sua organizzazione, in questi anni, ha fatto una battaglia durissima a favore della partecipazione e della rappresentanza nelle fabbriche e adesso che c’è uno strumento che garantisce questo vi tirate fuori. Qual è, per Lei, il punto critico?
Il nostro dissenso rispetto all’accordo del 10 gennaio riguarda il metodo quanto il merito. Il metodo perché mai come in questo caso esso è anche sostanza, visto che è stata sottoscritta un’intesa senza coinvolgere – discutere e decidere, a proposito di democrazia – né i lavoratori né i delegati né i sindacalisti che quell’intesa coinvolge. Parlo dei lavoratori, dei delegati e dei sindacalisti dell’industria. In questo modo il vertice della Cgil ha preso una decisione per conto d’altri, senza nemmeno informarli se non a cose fatte, e violando così lo spirito – ma credo anche lo statuto – confederale (confederale sginifica alla lettera insieme di federazioni…). Nel merito i punti più delicati sono noti quanto importanti, perché non si tratta – a differenza di quanto è stato detto – di un regolamento attuativo ma di un testo unico che cambia radicalmente la pratica sindacale: dal potere di derogare persino sui contratti nazionali che viene offerta al 51% dei una Rsu all’assenza del vincolo del referendum per gli accordi sottoscritti, dalle sanzioni che limitano “in premessa” la libertà dei lavoratori, dei delegati e del sindacato all’arbitrato che cancella l’autonomia delle categorie e cambia la natura stessa della nostra confederazione. Non è un caso che la Cgil ha sempre rifiutato sanzioni e averli accettati costituisce una vera e propria svolta di 180 gradi della sua storia.
La politica italiana non è molto esaltante. Il governo soffre e molto probabilmente si andrà al “rimpasto” o a un “Letta bis” . Per lei la stabilità è un valore oppure, visto l’inconcludenza governativa(frutto di tanti fattori), è meglio tornare, una volta approvata la legge elettorale, al voto?
Per un sindacalista il rapporto con un governo deve essere fondato sul merito. Nella nostra recente storia, ad esempio, la logica del “governo amico” ha prodotto parecchi disastri, producendo subalternità e contribuendo alla crisi della rappresentanza, all’allontanamento dei lavoratori e dei cittadini dalla politica e dallo stesso sindacato. da questo punto di vista attraverso i continui richiami alla stabilità si sostengono scelte legate alle politiche d’austerità, in continuità con le pratiche liberiste dei governi precedenti o si giustificano non scelte che impediscono di affrontare e risolvere le drammatiche crisi occupazionali e sociali di questi mesi – penso all’Electrolux, che è solo l’ultima di una serie – allora è meglio andare a votare al più presto, appena varata una legge elettorale che sostituisca il Porcellum. E mi sembra che questo sia il quadro odierno, anche se devo aggiungere che la riforma elettorale che sta maturando non è proprio un fulgido esempio di rappresentanza democratica.
Il suo rapporto con Matteo Renzi è sicuramente una novità nel panorama politico sindacale italiano. Eppure su molti temi pareri opposti, cosa si aspetta da Renzi?
Io parlo con Matteo Renzi esattamente come parlavo prima con il suo predecessore, è il segretario del principale partito italiano e a lui – coem a tutti gli altri – abbiamo chiesto alcune cose precise contenute nel nostro documento programmatico, da un legge per la democrazia sui posti di lavoro a una nuova politica economica e industriale che creino lavoro, garantiscano un reddito minimo ai cittadini, rilancino l’intervento pubblico sui nodi strategici di un paese, dai servizi alla tutela ambientale. Lo giudicheremo sui fatti, per ora mi aspetto soprattutto che ci ascolti e non abbia paura ad affrontare i nodi che secondo noi sono cruciali. Poi ci potremo confrontare, concordare o litigare: se lo farà in modo trasparente ed esplicito sarà meglio per tutti.
La Cigl è sotto congresso. La sua rottura con Camusso sicuramente avrà un peso nel Congresso, non rischia di marginalizzare la Fiom?
La Fiom si marginalizza se cessa di ascoltare e confrontarsi con chi intende rappresentare; questo deve evitare soprattutto e da questo vengono le nostre prese di posizione, a partire da quella del nostro ultimo Comitato centrale. Non state assistendo a uno scontro personale, né è in discussione l’internità della Fiom alla Cgil. Quello che è in discussione è la natura dell’intera Confederazione, la sua strategia e il suo futuro.
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