La Chiesa della fraternità e della liberazione. Un libro di Arturo Paoli

Arturo_PaoliA quasi un anno dall’elezione di Papa Francesco, imprevista e spiazzante per l’intera comunità ecclesiale, leggere questo bellissimo libro di Fratel Arturo Paolo, religioso dei Piccoli Fratelli del Vangelo (un ramo della famiglia spirituale di Charles de Focault), Cent’anni di Fraternità, pubblicato recentemente dalla Casa Editrice “Chiare Lettere” (pagg. 164, € 12,00), ci porta alle radici della profezia cristiana. Radici che stanno molto a cuore a Papa Francesco

Arturo Paoli, ha compiuto 101 anni il novembre scorso, ha attraversato le grandi temperie del novecento: la lotta al nazifascismo (per la sua opera di salvezza di cittadini ebrei dai campi di sterminio, lo Stato d’Israele, nel 1999, gli conferisce l’alto lliberazione in America Latina (Argentina, Venezuela e Brasile in particolare). La sua testimonianza di vita e di fede hanno permeato in profondità le comunità ecclesiali di base dell’America Latina. Tanto da essere considerato un precursore, e splendido testimone della “teologia della liberazione” (uno dei frutti più belli e significativi del post-concilio).

Maestro spirituale, e profeta mite, Paoli è un uomo “tellurico”, un uomo unitario, come tutti i profeti “non può da una parte pensare e dall’altra vivere” e tutta la sua vita è costellata dall’unità di pensiero e vita. La sua testimonianza è la sintesi di quel pensiero del teologo francese Teilhard de Chardin: amorizer le monde. Ecco segnato il compito della fede: non vivere astratta dal mondo, ma, al contrario, “alleggerire la terra” con opere di giustizia a partire dagli ultimi (i dannati della terra).

Tutto il libro è un inno alla liberazione integrale dell’uomo.

Due sono i piani dove si gioca la credibilità del cristianesimo: la prima liberazione tocca la liberazione dei poveri e degli sfruttati. Per Paoli, infatti, tutto il Vangelo “è una denuncia contro coloro che stanno sopra”, e qui è in gioco la stessa “immagine” di Dio: perché “Dio si trasforma in un’immagine tirannica se l’uomo non lo raggiunge per il cammino della relazione con gli altri”. E per Arturo Paoli sta qui, in questa “nuova arca “ della salvezza, cioè nella capacità della Fede di costruire nuove relazioni umane che si gioca il futuro dell’umanità. Quindi se è vero che esiste una realtà più profonda dell’economico l’’essere umano fa i conti nella realtà con l’economico e il politico. Per cui, per l’autore, “rinunziare a guardare in faccia l’economico è come svuotare la croce di Cristo”.E la rivoluzione evangelica, come ci ricordano le “Beatitudini” è fatta da quelli che hanno fame e sete della giustizia. Che altro è se non mettere in discussione l’antiregno dell’attuale sistema capitalistico?

Il secondo piano della liberazione riguarda proprio il cristianesimo. Ovvero è la battaglia contro la riduzione della fede a ideologia che difende i privilegi e diventa strumento di oppressione della lotta per la giustizia, come è avvenuto nell’Argentina di Videla. Questa ideologia ha “portato i Vescovi dell’Argentina ad aderire con un tacito assenso alla furia diabolica dei militari (…) con la complicità della Nunziatura apostolica, dunque del Vaticano”. Così In nome della così detta “civiltà cristiana” sono stati commessi enormi crimini contro l’umanità, non è un caso afferma Paoli che, nella storia, le “nazioni cristiane sono quelle che hanno creato più guerre”. Le parole di Paoli sono dure, sono le parole di un profeta di questo nostro tempo affaticato. Sono le parole, come le definisce il premio Nobel per la pace Perez Esquivel, di un “anticonformista resistente”. Parole che interpellano, motivano e cercano di scuotere le coscienze”.

Pochi giorni fa Fratel Arturo Paoli è stato ricevuto in Vaticano da Papa Francesco. L’incontro e’ durato circa 40 minuti ed e’ stato all’insegna della piu’ cordiale sintonia. “Forse – ipotizza il teologo Vito Mancuso – sta nascendo un Magistero della liberazione! Adelante Francisco!”.

Così rinasce la speranza cristiana.

Le “sfumature” del Segreto.
Un libro di Claudio Magris

Claudio Magris
UN LIBRO intenso, un piccolo “trattato” sulla fenomenologia di un tema antico e affascinante: il segreto. Ecco, in poco più di 50 paginette, lo scrittore e grande intellettuale triestino, Claudio Magris, dal titolo sobrio Segreti e No (Bompiani Editore, Milano 2013, pagg. 58. € 7,00) analizza le “sfumature” o, per meglio dire, le profondità e le ambiguità del segreto.

L’analisi parte dal sogno adolescenziale di un cugino, più giovane dell’autore di dieci anni, che desiderava ardentemente un distintivo di “agente segreto”. Il sogno comune (l’ “Essere segreti”), in una certa epoca, che tocca la vanità dei ragazzini, è un desiderio presente, in profondità, negli adulti. Una presenza che in ciascuno di noi esprime il desiderio di avere un’identità nascosta, e dunque più ricca e profonda. “Essere segreti per gli altri addolora e insieme conforta”.

“Addolora – scrive l’autore –perché ci sente in un qualche modo incompresi, anche (..) dalle persone più vicine e amate. Conforta perché aiuta ad attraversare la solitudine dell’esistenza e a resistere alle incomprensioni altrui grazie al sentimento di possedere una nascosta verità, di non essere soltanto ciò che sembriamo agli altri; conforta con l’idea di una irriducibile peculiarità, che gli altri non possono conoscere perché non potrebbero capirla”.

Il segreto vive della dinamica, contraddittoria, dell’essere custodito e dell’essere violato. Impulsi, li definisce Magris, “ambiguamente intrecciati”. E’ l’ambiguo fascino del segreto.

Ora l’analisi di Magris tocca il connubio segreto e potere. Ovvero gli “arcana imperii”.

Più il potere è totalitario e più aumenta il segreto: che proprio per essere più forte non solo si riveste di segreto ma estende il segreto, l’arcano, alla rea eltà e alla vita intera. Tale da fare aumentare la mitologia sul despota sanguinario. Gli esempi nella storia sono tanti, nel secolo sappiamo quanta è stata grande la mitologia su Hitler e Stalin. Di quest’ultimi, infatti, era nota la lugubre aura . essenziali del pere. Secretare, coprire, cancellare, rendere irreperibile la verità”. La vita politica è costellata di segreti, la cui verità viene occultata e confusa. E l’Itala contemporanea ne ha conosciuti episodi di mistero. occultamento della verità (vedi le stagioni delle stragi nel periodo della “strategia della tensione”). Ma anche nell’ambito “arcana imperi” il “segreto” può essere svelato, per Magris questo avviene “quando non ha più nessuna importanza nella lotta politica. Quando non ha più alcun effetto. Il segreto viene rivelato quando è divenuto inoffensivo”.

C’è anche il segreto più volgare, quello del gossip. Dove è facile la manipolazione informativa, dove le abilità manipolatorie servono a sfruttare l’occasione per fini sporchi.

Anche nel tempo dell’ipersecolarizzazione vi è il culto dei misteri che spesso cadono in quella cialtroneria che è l’occultismo, l’irrazionale alimenta la credulità fantasiosa per carpire il segreto del mistero. L’occultismo presente nella società secolarizzata alimenta la cultura irrazionale per esempio della “nuova destra” e in genere del fascismo, alimentando anche l’antisemitismo. Nelle grandi religioni, rispetto alle fumisterie irrazionali, il Mistero è chiaro, visibile. La parola di Gesù in questo senso è chiara : “io ho parlato chiaramente , non ho mai parlato di nascosto, ma sempre in pubblico, in mezzo alla gente”.

Ma in questo tempo del “nudismo psicologico e della registrazione di massa”, si pone il problema della intimità violata che le nuove tecnologie mettono a rischio. Fatti di cronaca recenti ne hanno testimoniato la portata devastante. Allora La custodia del segreto è quella “umanissima protezione della nostra libertà”, e di quella nostra identità più profonda. Talmente segreta da essere ignota a noi stessi. E questo non è psicologismo di bassa lega, tocca, invece, gli abissi dell’uomo. Quegli “abissi” che custodiscono il “segreto” più grande: quello sul senso della vita. Il mistero della vita ci sfiderà sempre.

La Sfida della Fiom.
Intervista a Maurizio Landini

maurizio-landiniE’ partito il Congresso della Cgil. In questi giorni si sta sviluppando una polemica molto aspra tra Maurizio Landini, Segretario Generale della Fiom, e Susanna Camusso, Segretario Generale della Cgil. Il punto di contrasto tra i due è l’accordo sulla “rappresentanza sindacale” firmato anche dagli altri sindacati confederali (Cisl e Uil). E’ un punto strategico di dissenso fondamentale questo per la Fiom. Così partendo dal suo libro Forza Lavoro, pubblicato dalla Casa Editrice Feltrinelli, prendiamo spunto per una riflessione più generale sul Sindacato.

Landini, il suo libro è un vero proprio atto d’accusa contro un sistema “neoliberista”, ovvero il “pensiero unico” di questi ultimi 20 anni. Un sistema che, lo stiamo sperimentando tutti, ha reso precaria la vita di milioni di persone. Il mondo del lavoro è stato il più colpito. Le chiedo qual è la “ricetta” culturale e “politica” della Fiom per riportare al centro il Lavoro?

Il lavoro in questi ultimi 30 anni è stato ridotto a semplice merce, questa è una delle caratteristiche della “rivoluzione” liberista. Ciò è potuto accadere perché è stata oscurata la sua condizione nello sposare le leggi del mercato e quelle delle imprese, riducendo i lavoratori a voci di bilancio e i cittadini a semplici consumatori; decretata la sua “fine” nell’annunciare un mondo in cui non ce n’era più bisogno; abbandonato il suo ruolo generale nell’allontanarsi della politica dal mondo reale delle persone in carne e ossa. Una deriva costituita da elaborazioni ideologiche, comunicazione e informazioni a senso unico, accordi internazionali e leggi che hanno prodotto l’era della precarietà. Una situazione che va rovesciata ridando al lavoro la dignità culturale affermata dalla nostra Costituzione fin dal suo primo articolo, riconquistando il diritto a un lavoro che non sia solo legato al bisogno ma anche fonte di realizzazione e gratificazione, occasione di emancipazione personale e collettiva. Quindi rimettendolo al centro dell’attenzione e dell’azione politica a partire da scelte economiche incentrate sulla piena occupazione e sulla garanzia di un reddito dignitoso.

Nel suo libro c’è anche una forte critica al comportamento del Sindacato Confederale di questi ultimi anni. Qual è stato il “peccato” più grave commesso dal Sindacato italiano?

Il sindacato confederale, almeno una sua larga parte, ha subito e persino partecipato al processo di svalorizzazione culturale e politica del lavoro dipendente, finendo per considerarne i destini come un semplice derivato delle condizioni delle imprese, accettando la logica delle compatibilità sia a livello aziendale che nazionale e, infine, europeo nel fare dei vincoli di bilancio quasi una religione. E’ stata nella “ritirata” degli anni ’80, di fronte ai processi di ristrutturazione delle imprese che hanno segnato quel decennio, che molti sindacalisti hanno accettato una logica di progressiva riduzione dei diritti e dei redditi dei lavoratori in cambio per rispondere alle esigenze delle imprese. Nel farlo è anche regredita la qualità democratica del sindacato e la partecipazione dei lavoratori, perché le ragioni di carattere generale che andavano perseguite erano sempre più “indiscutibili” e calate dall’alto come una sorta di nuovo stato di natura.

Ci sono due parole che ricorrono spesso nel suo libro: “democrazia” e “partecipazione”. Landini, mi perdoni il luogo comune, vuole “rottamare” la classe dirigente della Cgil?

Rottamazione è una parola orribile e orribile, oltre che sbagliata, è anche l’idea che i problemi si risolvano con le epurazioni, le emarginazioni o magari prepensionando anticipatamente una classe dirigente. Il problema del sindacato – come della politica – non è anagrafico ma di contenuti e pratiche. La democrazia non è una formula astratta o una parolina magica dietro cui celare movimenti di palazzo; la democrazia e la partecipazione si costruiscono nella condivisione dei contenuti e delle azioni: così si costruisce o si rinnova una classe dirigente, le cui principali caratteristiche – soprattutto per un sindacato confederale – sono la capacità d’ascolto e lo spirito di servizio rispetto ai propri rappresentati.

Veniamo alla stretta attualità. Partiamo dall’accordo sulla Rappresentanza sindacale, firmato qualche giorno fa dai Segretari generali di Cgil-Cisl-Uil. La sua organizzazione lo ha criticato duramente affermando: che nell’accordo “compaiono elementi che configurano una concezione proprietaria dei diritti sindacali”. Una affermazione durissima. Insomma la sua organizzazione, in questi anni, ha fatto una battaglia durissima a favore della partecipazione e della rappresentanza nelle fabbriche e adesso che c’è uno strumento che garantisce questo vi tirate fuori. Qual è, per Lei, il punto critico?

Il nostro dissenso rispetto all’accordo del 10 gennaio riguarda il metodo quanto il merito. Il metodo perché mai come in questo caso esso è anche sostanza, visto che è stata sottoscritta un’intesa senza coinvolgere – discutere e decidere, a proposito di democrazia – né i lavoratori né i delegati né i sindacalisti che quell’intesa coinvolge. Parlo dei lavoratori, dei delegati e dei sindacalisti dell’industria. In questo modo il vertice della Cgil ha preso una decisione per conto d’altri, senza nemmeno informarli se non a cose fatte, e violando così lo spirito – ma credo anche lo statuto – confederale (confederale sginifica alla lettera insieme di federazioni…). Nel merito i punti più delicati sono noti quanto importanti, perché non si tratta – a differenza di quanto è stato detto – di un regolamento attuativo ma di un testo unico che cambia radicalmente la pratica sindacale: dal potere di derogare persino sui contratti nazionali che viene offerta al 51% dei una Rsu all’assenza del vincolo del referendum per gli accordi sottoscritti, dalle sanzioni che limitano “in premessa” la libertà dei lavoratori, dei delegati e del sindacato all’arbitrato che cancella l’autonomia delle categorie e cambia la natura stessa della nostra confederazione. Non è un caso che la Cgil ha sempre rifiutato sanzioni e averli accettati costituisce una vera e propria svolta di 180 gradi della sua storia.

La politica italiana non è molto esaltante. Il governo soffre e molto probabilmente si andrà al “rimpasto” o a un “Letta bis” . Per lei la stabilità è un valore oppure, visto l’inconcludenza governativa(frutto di tanti fattori), è meglio tornare, una volta approvata la legge elettorale, al voto?

Per un sindacalista il rapporto con un governo deve essere fondato sul merito. Nella nostra recente storia, ad esempio, la logica del “governo amico” ha prodotto parecchi disastri, producendo subalternità e contribuendo alla crisi della rappresentanza, all’allontanamento dei lavoratori e dei cittadini dalla politica e dallo stesso sindacato. da questo punto di vista attraverso i continui richiami alla stabilità si sostengono scelte legate alle politiche d’austerità, in continuità con le pratiche liberiste dei governi precedenti o si giustificano non scelte che impediscono di affrontare e risolvere le drammatiche crisi occupazionali e sociali di questi mesi – penso all’Electrolux, che è solo l’ultima di una serie – allora è meglio andare a votare al più presto, appena varata una legge elettorale che sostituisca il Porcellum. E mi sembra che questo sia il quadro odierno, anche se devo aggiungere che la riforma elettorale che sta maturando non è proprio un fulgido esempio di rappresentanza democratica.

Il suo rapporto con Matteo Renzi è sicuramente una novità nel panorama politico sindacale italiano. Eppure su molti temi pareri opposti, cosa si aspetta da Renzi?

Io parlo con Matteo Renzi esattamente come parlavo prima con il suo predecessore, è il segretario del principale partito italiano e a lui – coem a tutti gli altri – abbiamo chiesto alcune cose precise contenute nel nostro documento programmatico, da un legge per la democrazia sui posti di lavoro a una nuova politica economica e industriale che creino lavoro, garantiscano un reddito minimo ai cittadini, rilancino l’intervento pubblico sui nodi strategici di un paese, dai servizi alla tutela ambientale. Lo giudicheremo sui fatti, per ora mi aspetto soprattutto che ci ascolti e non abbia paura ad affrontare i nodi che secondo noi sono cruciali. Poi ci potremo confrontare, concordare o litigare: se lo farà in modo trasparente ed esplicito sarà meglio per tutti.

La Cigl è sotto congresso. La sua rottura con Camusso sicuramente avrà un peso nel Congresso, non rischia di marginalizzare la Fiom?

La Fiom si marginalizza se cessa di ascoltare e confrontarsi con chi intende rappresentare; questo deve evitare soprattutto e da questo vengono le nostre prese di posizione, a partire da quella del nostro ultimo Comitato centrale. Non state assistendo a uno scontro personale, né è in discussione l’internità della Fiom alla Cgil. Quello che è in discussione è la natura dell’intera Confederazione, la sua strategia e il suo futuro.

LA RIVOLTA DEL CORRENTISTA.
Come difendersi dalle banche e non farsi fregare

SeriesBAW06Scriveva, nell’Ottocento, il socialista utopista Pierre-Joseph Proudhon che la “La distinzione tra banchiere e usuraio è puramente nominale.” E , a ben considerare, anche oggi, in questi tempi durissimi di crisi, è ancora attualissima questa definizione di Proudhon. Ne sanno qualcosa le famiglie e gli impreditori . In questo libro, uscito oggi per Chiarelettere, Mario Bortoletto racconta brutta avventura con le banche. Scrive il giornalista Riccardo Iacona : “Quella raccontata da Mario Bortoletto è una storia di straordinaria resistenza personale. Bortoletto, da solo, è riuscito a mettere in luce i meccanismi nascosti con i quali le banche lucrano sui conti correnti dei cittadini. E ha aperto un mondo, prima sconosciuto.”

L’AUTORE
Imprenditore edile di Padova, Mario Bortoletto ha avviato una serie di contenziosi con diversi istituti bancari. Ha ricevuto risarcimenti per migliaia di euro. Dal 2013 è vicepresidente nazionale del movimento “Delitto di usura”, che tutela le vittime di usura ed estorsione bancaria.

Per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto del libro

Siamo in guerra
Un giorno ti svegli e non hai più niente. Tutto quello che avevi ottenuto con i sacrifici di una vita diventa proprietà della banca. Disperazione e notti insonni, non ti rimane altro, nemmeno l’età per ricominciare. Ti prendono tutto, anche quello che in realtà non gli è dovuto. Molte persone credono di essere debitrici nei confronti della banca mentre in realtà sono creditrici. Mi auguro che questo libro possa aiutarle ad avere giustizia, così che il «non dovuto» che gli è stato sottratto venga loro restituito.
Questa è la mia storia. La storia di un imprenditore del Nordest a cui le banche hanno rovinato prima il lavoro e poi la vita. O meglio, ci hanno provato, perché la guerra che loro mi hanno dichiarato alla fine l’ho vinta io. Battaglia dopo battaglia sono riuscito a sconfiggere il cancro che
divora le imprese italiane.
Dal 2008 a oggi ho combattuto da solo contro cinque istituti di credito che soltanto a sentirne il nome ti spaventi. Ma sono giganti di argilla, con evidenti punti deboli, pronti a piegarsi di fronte all’ultimo dei correntisti. La sesta banca ha preferito chiudere in fretta il contenzioso senza andare davanti al giudice. Ha capito l’antifona e si è sbrigata a trovare un accordo che mi facesse stare buono. Uno dei dirigenti mi ha cercato e mi ha invitato a parlarne, mi ha detto di non volere lo scontro. Mi ha pregato, addirittura, di mettere una mano sulla coscienza, vista la scarsa liquidità a loro disposizione. «Se avete bisogno di soldi, vendete gli immobili di proprietà…» gli ho risposto. E lui: «Signor Bortoletto, l’abbiamo già fatto…», con un’espressione da cane bastonato. Alla fine ho accettato la loro offerta, una pratica in meno da portare avanti.
Sebbene solo tra le mura di un ufficio e non davanti a un giudice, anche loro hanno ammesso il torto e questo mi basta: naturalmente mi sono ripreso i soldi che nel corso degli anni mi avevano fregato. Chissà quante volte quel dirigente si sarà trovato dall’altra parte, con un cliente che lo implorava di pazientare ancora un po’ per il rientro o che chiedeva invano un credito per salvare la sua azienda. In quei casi il funzionario diventa un mastino, affronta il correntista fino a sfiancarlo, lasciandolo a terra senza forze. Probabilmente è il ruolo che gli riesce meglio, quello in cui si sente più a suo agio.
Negli ultimi anni ho avviato otto cause, ho ottenuto due vittorie con relativi risarcimenti e ho una buona probabilità di spuntarla su tutte le altre. Ma non mi fermo, ho ancora molte battaglie da combattere. Ho già pronta la documentazione che dimostra come anche altri istituti di credito mi abbiano truffato applicando tassi a usura sui miei conti correnti: oltre trent’anni di lavoro significano tantissimi prestiti, mutui, leasing. Il marcio c’è ovunque e più spulcio tra i miei conti più trovo gli inganni. In tanti mi chiedono come abbia fatto. Mi scrivono per conoscere il mio segreto. Non c’è nessun segreto, nessun antidoto magico, solo qualche accortezza e tanta caparbietà. Sono testardo come un mulo, nulla di diverso da molti altri imprenditori italiani. D’altronde quello dell’imprenditore è un mestiere pieno di rischi, dove è necessario osare, credere fino in fondo in ciò che si vuole. Soprattutto, bisogna vederci chiaro. Questo stesso atteggiamento è importante averlo con le banche, che fanno solo i propri interessi e non, come recitano molti spot pubblicitari, quelli del correntista.
Mi torna spesso in mente una frase di Giulio Andreotti: «A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca». È proprio così. L’ho capito dopo aver preso delle fregature colossali. Anni fa, mai avrei avuto il minimo dubbio sul corretto comportamento delle banche con cui avevo a che fare. Erano i miei angeli custodi. Oggi mi sono accorto che sono lupi travestiti da agnelli. Ho scritto questo libro perché vorrei che la mia storia diventasse la storia di tanti cittadini italiani, di quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese, quelli che hanno perso il lavoro e forse anche la casa, gli imprenditori o i commercianti che sono stati costretti a chiudere le loro attività, i giovani precari che non possono chiedere nemmeno un mutuo per costruirsi una vera vita indipendente, una famiglia con dei figli. La mia generazione ce l’ha fatta perché è cresciuta in un mondo in cui lavorare era ancora un diritto e una possibilità concreta mentre per i giovani di oggi questa possibilità si è trasformata in una chimera.

“Il delirio di onnipotenza di Grillo danneggia i 5 Stelle”. Intervista a Federico Mello

imagesNegli ultimi giorni il Movimento 5 Stelle è stato, sulla scena politica italiana, un protagonista molto discutibile. Gli eventi hanno dimostrato, drammaticamente, gli elementi di forte criticità del Movimento.  Ne parliamo con  Federico Mello, giornalista della redazione di “Servizio Pubblico”. Mello ha scritto il primo libro nel 2007: L’Italia spiegata a mio nonno, uscito primo online sul suo blog e poi pubblicato da Mondadori nella collana Strade Blu. Dopo aver seguito per il Fatto l’esperienza del Popolo Viola, ha scritto “Viola”, un saggio sui meriti e i limiti dell’attivismo politico online. Nel 2011 è uscito il suo terzo libro “Steve Jobs – Affamati e folli” mentre nel febbraio 2013, due settimane prima delle elezioni politiche, è arrivato in libreria il suo quarto libro: “Il lato oscuro delle stelle”, un’inchiesta su Beppe Grillo e il Movimento 5Stelle.

 

Le azioni di questi ultimi giorni dei “5 Stelle” fanno impressione: contestazioni violente alla Camera, insulti alle alte cariche dello Stato (Napolitano e Boldrini), insulti e minacce a giornalisti e avversari politici. Insomma definirlo inguardabile è davvero poco, alcuni l’hanno definito “eversivo”. E’ esagerato definirlo in questo modo?

 

Di certo il Movimento 5Stelle non è una forza eversiva. Certo, alla Camera ci sono stati degli atti di “squadrismo”. Mi riferisco in particolare alla violenza con cui Alessandro Di Battista ha interrotto la conferenza stampa del collega pd Speranza. Lo squadrismo era esattamente questo: imporre agli altri la propria volontà impedendo (con violenza) di esprimere la proprio opinione.

 

 

Ormai è quasi un anno che sono in Parlamento. Come giudica il loro operato?

 

Come quello degli altri partiti, con chiari e scuri. Ma il problema secondo me non risiede nel lavoro parlamentari grillini. Sono nuovi e inesperti, ma la maggior parte ci sta provando a fare del bene a questo Paese. Il problema è in alto: il duo Grillo-Casaleggio. Come possono i parlamentari 5Stelle a fare “bene” politica, in maniera efficace, se non sono del tutto liberi, se in qualsiasi momento può arrivare una scomunica via blog? Come si fa a dare spazio alle proprie idee quando il gruppo comunicazione pagato dai cittadini e comandato da Casaleggio ti segue con il fiato sul collo per verificare il tuo grado di ortodossia rispetto al sacro verbo del blog?

 

Grillo sta imponendo al Movimento una linea politica “radicalpopulista”. Ovvero una sintesi di antieuropeismo, antimmigrazione, ecologismo radicale, culto idolatrico della “rete” ecc. Un “ideologismo” trasversale a Destra e Sinistra. Lei pensa che, nei prossimi mesi, in vista delle elezioni europee possa accentuarsi questo populismo estremo? Farà concorrenza alla Lega Nord?

 

Grillo di certo andrà dritto su questa strada, anche se non credo che si abbasserà al livello – questo sì fascista – della Lega Nord e di Fratelli d’Italia. Il problema è la crisi economica: da sempre queste fasi arano terre sconfinate nelle quali può attecchire l’odio per il capro espiatorio. E l’Euro, come capro espiatorio, è perfetto. Va detto comunque che la critica all’Europa parte da due prospettive: una di destra che di fatto vuole un ritorno al nazionalismo, e una di sinistra che chiede un’Europa più solidale e multipolare. Grillo come al solito mischia i due piani per “vendere” il suo prodotto al maggior pubblico possibile. Ma credo che la sua base e i suoi parlamentari, in gran parte, facciano proprie le critiche “di sinistra” a questa Europa.

 

L’Istituto di ricerca SWG, in una indagine recente, ha delineato l’identitik dell’elettore grillino, essenzialmente sono: giovani, poveri e contrari all’immigrazione. L’ambito quindi è quello del “ribellismo” : più c’è crisi, più lo votano. E’ questa la spiegazione dell’ancora consistente, stando ai sondaggi (superiore al 20 %), consenso?

Queste definizioni non sono sovrapponibili. Ovvero Grillo parla sia ai giovani che ai poveri che a quelli contrari all’immigrazione, non ai cittadini con tutte e tre questa caratteristiche insieme. È sacrosanto, a mio avviso, che qualcuno si occupi dei giovani e dei poveri. Ma Beppe non vuole risolvere i problemi di questi persone, vuole solo vendere dvd e poltrone ai suoi spettacoli. Dovrebbe scegliere: o fa una cosa o l’altra.

 

Renzi fa davvero paura a Grillo?

Certamente sì. Grillo è proliferato nella crisi di una politica in grado di fare assolutamente nulla. Se la settimana prossima Renzi porta a casa l’Italicum (per quanto solo alla Camera) sarà evidente come Grillo e Casaleggio hanno sbagliato strategia: il Parlamento ha approvato una nuova legge e loro devono ancora capire quale proposta fare. Dovrebbero fare autocritica i due capi del blog: sono nati con il Vday contro il Porcellum e, ad un anno dalle elezioni, non hanno ancora una loro proposta. Hanno tergiversato, perso tempo, lanciato la consultazione quando i giochi erano già fatti. Se il M5S fosse un partito e non un marchio registrato, l’opposizione interna avrebbe già chiesto le dimissioni del duo.

 

Alcuni deputati e senatori dei “5 stelle” hanno espresso dissenso sui comportamenti di questi giorni. Ci sarà una scissione?

È una strada alla lunga inevitabile, e salutare. Grillo e Casaleggio non riusciranno a contenere a lungo le voglia di “fare” e cambiare le cose dei loro eletti. Non riusciranno per sempre ad imbrigliare l’energia di chi crede nel Movimento e non ha voglia di aspettare ogni volta la sparata dei due padri-padroni per decidere.

 

Ultima domanda: Quanto durerà la linea “isolazionista” del Movimento?

Fino a quando non butteranno a mare i due leader. Guardi che il Movimento 5Stelle parla davvero di temi del futuro, di questioni che riguardano tutti. Perché su questa deve decidere solo Grillo? Provare a proteggere il cambiamento registrandone il marchio – come fatto dalla Casaleggio – e come provare a fermare il mare con le mani. Solo un despota che non accetto di invecchiare, affetto dal delirio di onnipotenza tipico di chi è diventato qualcuno con la televisione, può pensarlo. Ma i tempi sono cambiati caro Beppe, e quelle Cinque Stelle, secondo me, appartengono a tutti. Soprattutto alla sinistra di questo Paese.