Forte è stata la polemica, nei giorni scorsi, tra il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e tutto il Sindacato Confederale (Cgil, Cisl e Uil) sulla “concertazione” e più in generale sul ruolo del sindacato. Su questa polemica abbiamo intervistato Raffaele Morese. Morese è stato per anni un protagonista del movimento sindacale italiano (prima, negli anni ‘80, come Segretario Nazionale della Fim-Cisl e, successivamente, negli ’90, come Segretario Generale Aggiunto della Cisl). Durante i governi D’Alema e Amato (1998-2001) ha ricoperto l’incarico di Sottosegretario al Lavoro.
Morese, nei giorni scorsi, durante il Congresso della Cgil, abbiamo assistito ad una fortissima polemica tra la Camusso, seguita a ruota da Bonanni e Angeletti, e Renzi sulla “concertazione”. Per Renzi la “musica è cambiata”, nel senso che per lui la “concertazione” è morta e sepolta: Lei che è stato, negli anni novanta, uno dei protagonisti della “concertazione” buona (con i governi Amato e Ciampi), qual è il suo giudizo su questo atteggiamento di Renzi? Non lo trova arrogante?
Quel “se il sindacato non è d’accordo, ce ne faremo una ragione” sa di sfida ed è irritante. Di converso, sostenere come fa Camusso che è espressione di “una torsione democratica” mi sembra altrettanto esagerato. Mi limito a dire che sulle questioni del lavoro una cosa è l’opinione via Internet di un pur ottimo impiegato dello Stato o di un intellettuale e un’altra è il pensiero del sindacato. La distinzione, anche nelle forme della consultazione, non può che essere diversificata. E tutto ciò senza scomodare la concertazione.
Lei è stato Segretario Generale della Fim-Cisl e successivamente Segretario generale aggiunto della Cisl, quindi ha una storia ricca nel Movimento Sindacale italiano. La Cisl, la sua antica “radice”, è il sindacato partecipativo e concertativo per eccellenza. La “concertazione” implica un “scambio politico” tra gli attori. Ora di fronte all’offensiva renziana non si riesce a cogliere bene però cosa contrappone Il Movimento sindacale italiano su questo punto.
E già. C’è una buona dose di confusione, piuttosto che un vero e proprio conflitto. Se fosse soltanto questo, non ci sarebbe da preoccuparsi. Il conflitto muove il progresso. Ma la confusione prevale e speriamo che non si trasformi in reciproca delegittimazione. Il dato fondamentale e importante è che il lavoro sta conquistando la prima fila nel dibattito politico e può ritornare di attualità il conflitto tra primato della politica e primato del sociale. Era dai tempi della scala mobile, dell’inflazione a due cifre, della stagflation che non si assisteva ad una avvisaglia di contrapposizione tra politica e sociale, come quella che si profila. Ma non è un replay di quella fase. Neanche una sua brutta copia. Non ci sono più né un Berlinguer che non accetta di essere scavalcato da un’intesa tra un Governo – specie se a guida Craxi – e i sindacati, né un Carniti e Benvenuto che in nome dell’autonomia, interrompono l’unità con Lama. Non c’è più né il tentativo di realizzare una politica dei redditi concertata, né la scelta di dare un’alternativa al contrattualismo conflittuale, che aveva contrassegnato gli anni 70 e 80 e che tuttora aleggia nelle dinamiche tra le parti sociali.
Ma il Paese ha bisogno di migliorare la propria produttività complessiva, pena un irreversibile degrado. Il Governo ne ha fatto la propria cifra. Forse definendo non brillantemente le priorità, forse facendo dell’irruenza una bandiera inusuale. Ma ha posto una questione cruciale e di difficile contestabilità. Per di più, lo ha fatto caricando la molla più sulle inefficienze esterne alla produzione (istituzioni più snelle ed efficaci, pubblica amministrazione meglio organizzata, trasparenza nella gestione) che sulla solita ricetta della spremitura del lavoro per assicurare competitività al sistema delle imprese. Anche le definitive soluzioni sul contratto a tempo determinato e sull’apprendistato non sono ascrivibili alla cattiva flessibilità, indipendentemente dallo scambio proposto con gli 80 euro di sgravio fiscale a chi lavora e guadagna poco.
Il sindacato confederale esca dal difensivismo. Non ragioni solo politicamente (“potere contro potere” fu slogan degli anni 70 dello scorso secolo). Non si faccia irretire da accuse strumentali di neolaburismo (sua presunta etero direzione di almeno una parte del partito guidato dal Presidente del Consiglio). Non si rinchiuda nel fortino corporativo, aspettando che passi il cadavere dell’antagonista. Vada a bucare il palloncino. Faccia il suo mestiere, coniugandolo con i tempi attuali. Da una parte c’è la necessità di stare in Europa con un’ autonomia propositiva molto coesa e dall’altra occorre dare risposte alle voci che reclamano, in modi sempre più perentori e rabbiosi, di ricomporre il mercato del lavoro. Ce n’è abbastanza per definire una strategia complessiva che convinca i propri iscritti e l’opinione pubblica. Una strategia che si collochi oltre il puro rivendicazionismo, oltre lo sterile opinionismo e sappia tenere insieme contrattazione e confronto istituzionale.
Il pendolo, finora è stato troppo esposto sul versante legislativo, risultato al dunque fragile e discutibile. Ci vuole una correzione più energica e innovativa verso la contrattazione, rivendicando ad essa il ruolo di primogenitura della ricomposizione del mondo del lavoro, in cambio di un sostegno senza riserve della crescita della produttività complessiva. Quindi, da una parte occorre accettare la sfida di ridurre le sacche di rendita politiche, burocratiche, professionali e finanziarie esistenti fuori dal sistema produttivo e dall’altra puntare a rappresentare tanto i “ben occupati”, quanto “i male occupati” e i senza lavoro, ma anche i più deboli sul piano sociale (pensionati poveri, famiglie numerose, immigrati da integrare). Fare cioè il sindacalismo degli interessi generali, come si diceva una volta.
Maurizio Landini, con toni molto polemici nei confronti della Camusso, si è posto come un “rottamatore” della oligarchia sindacale in nome della trasparenza e di un maggior protagonismo del sindacato. Dove ha ragione e dove ha torto il “conflittualismo” di Landini?
Non entro nel merito del conflitto interno alla CGIL sull’egemonia. Mi attengo ai fatti e da quel che emerge si può soltanto dedurre che quello di Landini non è un classico conflittualismo sindacale che presuppone che, se attivato, deve essere finalizzato ad un risultato contrattuale. Il suo è piuttosto un conflittualismo social politico, un po’ agitatorio che, nei limiti in cui non si traduce in una soluzione, rischia di trasformarsi in un puro e semplice “opinionismo”, legittimissimo, spesso applauditissimo ma sostanzialmente poco influente nella realtà dei fatti. Ovviamente, la FIOM firma anche accordi, anche importanti, come per ultimo quello alla Elettrolux, ma nell’insieme non favorisce un’azione incisiva del movimento sindacale, mette piombo nell’iniziativa della CGIL e ciò indebolisce oggettivamente la forza persuasiva del sindacato sia verso i lavoratori che verso le controparti imprenditoriali ed istituzionali.
Non sarebbe ora, per il Sindacato Confederale, di inaugurare una nuova stagione di unità mettendo da parte rendite di posizione ormai superate dalla storia?
Mi da fastidio la moda recente che tende ad associare il sindacato all’idea di conservazione. Al peggio, il sindacato negli ultimi tempi ha peccato di troppa rappresentanza dei propri iscritti, piuttosto che dell’insieme del variegato mercato del lavoro. Ma questo non è neanche corporativismo, figuriamoci se va iscritto nella casella conservazione. Detto questo, per il sindacato confederale c’è l’urgenza, come ho detto, di ricomporre il mercato del lavoro. Il decennio passato è stato quello di maggiore scomposizione del mercato del lavoro, senza incidere seriamente sul lavoro nero; con la conseguenza che la vertenzialità individuale giudiziaria ha registrato un boom senza precedenti, con i ringraziamenti del corpo forense.
Il risultato è che tutti sono insoddisfatti, dai cultori del diritto, agli osservatori economici, dai sindacati agli imprenditori ma soprattutto dalle persone che non riescono più a districarsi tra buona e cattiva flessibilità. Ora che si è trovato un punto di equilibrio (fragile) in Parlamento su contratto a termine e apprendistato, varrebbe la pena di fare il “tagliando” a tutta la regolamentazione del mercato del lavoro, con l’obiettivo della sua ricomposizione. Di conseguenza, la delega lavoro, presentata dal Governo, andrebbe ritirata o quanto meno congelata soprattutto per la parte relativa alla contrattualistica e rinviata ad una ampia discussione tra le forze sociali, professionali, economiche e culturali.
E’ in questo contesto che l’unità tra le centrali confederali può riprendere vitalità e prospettiva. Non è un problema di buona volontà dei gruppi dirigenti, ma di condivisione delle prospettive che si intendono perseguire e la fase ha bisogno di “visionari” piuttosto che di abili pattinatori nella congiuntura.
vogliamo parlare di filosofia?l’ economia va piuttosto male.chi ha accelerato i processi di produzione.chi ha voluto la globalizzazione?chi ha detto chi è ricco e chi povero?chi ha distrutto metà delle foreste mondiali in un secolo?si parla molto spesso di futuro,purchè appartenga alle generazioni che seguono.chi si è arrogato “la patria potestrà”del pianeta e cosa lascerà alle generazioni.nulla..e perchè?perchè chi nasce oggi è un disgraziato,e gli mancherà l’ acqua addirittura.perchè piove sempre meno,per i carburanti fossili,per la perdita di biodiversità.che è una vergogna,dal momento che molti animali e piante vengono distrutti.cosa ha detto il cervellotico marx?il plusvalore,il cervello sociale.e chi va a scuolaz psudorivoluzionario,in nome della “modernità”.modernità di cui anche niezthe fa parte.bisogna dare fuoco alle polveri della civiltà cristiana.civiltà cristiana che si era arrogate la patria potestà del pianeta.”noi siamo gli ebrei e i cattolici”dopo lungo tempo nemici,i veri Messia del giorno dèp” oggi,i veri”provvidi”amministratori del “giardino Terrestre”fatto di animali bruciati,di merendine al veleno di olio di palma,di soia trangenica che”dio” c’ ha dato per sfamare i poveri,con la corruzione e il colonialismo, per liberarli dalla schiavitù,dall’ economia della necessità per trasportarli con barconi nell’ eldorado delle luci e del futuro,perchè sono loro che hanno bisogno di noi,dell’ illuminismo e delle “nostre luci”fatte di sacrifici per i poveri affinchè non abbiano più bisogno delle banane naturali e dei pochi soldi che hanno.quanto all’ ambiente beh”gli affari sono affari”,ma in fondo con tutti è così.sì,in fondo,chi se ne frega,diamo retta a darwin,come hanno fatto i nazisti,sì,adesso chiamiamo pure quelli,ci servono,perisca il debole,siamo noi i “provvidi amministratori”,tanto lo aveva detto pure Niezthe.:chi se ne frega.o no?