L’Era di Mattarella. Intervista a Giorgio Tonini

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Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo.

Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani:

il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi. 

i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti.

Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto.

Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi. 

Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri.

Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto.

Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose.

Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace”.

Questa è la parte finale del discorso inaugurale del settennato, tenuto oggi alla Camera, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un discorso molto applaudito. L’intervento ci offre l’impianto che assumerà il suo impegno presidenziale. Per capire i possibili sviluppi abbiamo intervistato Giorgio Tonini, vicepresidente dei Senatori del PD e membro della Segreteria Nazionale del partito.

 

Senatore Tonini, oggi è iniziato il settennato di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Partiamo dal discorso alla Camera. Un intervento pacato ma molto fermo nei principi, e determinato nel prendersi le difficoltà quotidiane degli italiani, specie degli ultimi. Sembra che la cifra, la linea maestra, della sua presidenza sarà molto sociale. E’ così?

Penso di si. Il presidente Mattarella è un fine studioso e un uomo delle istituzioni. Ma la sua formazione e la sua lunga esperienza politica, vissuta in particolare nella sua Sicilia, hanno fatto maturare in lui una forte sensibilità sociale. A cominciare dalla questione sociale per antonomasia, la questione meridionale, con l’inestricabile intreccio tra sottosviluppo, criminalità organizzata e corruzione politica che la caratterizzano. Una questione nazionale, non solo per il peso delle regioni meridionali, ma anche per la pervasività di quell’intreccio perverso, che ormai affligge anche regioni che un tempo ne erano immuni. Penso che il richiamo su questi temi caratterizzerà il suo settennato, anche se non avremo da lui nessun cedimento a tentazioni demagogiche o populistiche, purtroppo tanto frequenti nel dibattito pubblico, quanto controproducenti.

 

Dunque la lotta alla mafia e alla corruzione viste come priorità. Anche questo è uno stimolo molto impegnativo per il governo…

Certo. Il governo Renzi ha avviato un lavoro importante in questa direzione, che ha già dato i primi frutti. Basti pensare alla istituzione dell’autorità anticorruzione e della nomina a presiederla di un magistrato esperto e appassionato come Raffaele Cantone. Ma molto è ancora da fare o almeno da completare. E il presidente della Repubblica sarà uno stimolo instancabile a fare di più e meglio.

 

Veniamo all’aspetto istituzionale-costituzionale. Riconosce l’esigenza di fare le riforme ma ha rimarcato il rispetto delle prerogative del Parlamento.  Per il premier questo è sicuramente un monito.  Per lei?

Mattarella ha sottolineato l’urgenza delle riforme, a cominciare da quelle costituzionali ed elettorali. Lo ha fatto con toni molto diversi da quelli che fu costretto ad usare, due anni fa, con voce rotta dall’emozione, Giorgio Napolitano. Ma allora, il presidente della Repubblica aveva dinanzi un parlamento che non era riuscito a fare nulla nella legislatura precedente e prometteva di non far nulla nemmeno nella presente. Oggi, il nuovo presidente si trova dinanzi ad un cantiere aperto, che ha portato l’opera ad uno stadio molto avanzato di realizzazione. Dunque Mattarella ha potuto limitarsi ad un incoraggiamento e alla precisazione che le riforme sono affidate alla sovranità del parlamento, come a voler rispedire al mittente l’invito, trasmessogli da più parti, a entrare nel gioco e a bloccare o a correggere questo o quell’aspetto delle riforme in fieri. Quanto ai rapporti tra governo e parlamento, le parole di Mattarella mi hanno fatto ricordare un celebre intervento di De Gasperi alla Camera dei deputati, durante il dibattito sulla cosiddetta “legge truffa”. De Gasperi ricordava come il procedimento “normale” fosse quello che garantiva all’opposizione tutto lo spazio per esporre le sue ragioni e alla maggioranza la possibilità di decidere in tempi certi. Ma se il procedimento normale viene stravolto dall’ostruzionismo da parte delle minoranze, osservava De Gasperi, è inevitabile che anche la maggioranza finisca per utilizzare gli strumenti offerti dal regolamento per arrivare ad una decisione, a cominciare dall’apposizione della questione di fiducia. Giustamente Mattarella ha ricordato che l’arbitro ha bisogno della collaborazione dei giocatori. E dunque della disponibilità del governo a limitare decretazione d’urgenza e fiducia solo ai casi di effettiva necessità, ma anche alla speculare disponibilità da parte delle opposizioni a non indulgere a forme di ostruzionismo.

 

Un Presidente che auspica la “correttezza” del gioco politico implica un salto di qualità delle forze politiche. Al di là della facciata, non trova che ancora vi siamo troppi rancori?

Questa legislatura si è aperta all’insegna della incomunicabilità tra i tre principali partiti nei quali si era diviso il corpo elettorale: Pd, Forza Italia, Cinque Stelle. È stato merito di Giorgio Napolitano convincere e anche un po’ costringere i primi due a dialogare e anche collaborare tra loro, se non per il governo, almeno per le riforme. Mattarella ha rilanciato questa costante della presidenza di Napolitano, anche con il non scontato invito a Berlusconi per la cerimonia al Quirinale, ma estendendola ai giovani parlamentari di Cinque Stelle, che pare abbiano molto apprezzato l’apertura nei loro confronti. Del resto, la concezione inclusiva della politica democratica e parlamentare è uno dei tratti più caratteristici della cultura politica dei cattolici democratici, da De Gasperi, a Moro, fino al Mattarella di oggi.

 

Veniamo al PD. Indubbiamente l’elezione di Sergio Mattarella è stato un bel colpo per Matteo Renzi e per il PD. Reggerà quest’unità? Oppure vede nuvole all’orizzonte?

Nel 2013 il Pd si era clamorosamente spaccato al suo interno, aveva fallito l’obiettivo di eleggere un nuovo presidente della Repubblica e si era presentato agli occhi degli italiani come una parte del problema, anzi l’epicentro della crisi politica del paese. Stavolta, grazie in particolare a Renzi, il Pd è riuscito a proporsi credibilmente come parte, la parte fondamentale, della soluzione. Renzi e il Pd hanno così brillantemente superato un importante e difficile esame di maturità. Penso che nessuno vorrà ora prendersi la responsabilità di disperdere questo grande patrimonio di credibilità e affidabilità. Un grande partito democratico può vivere e crescere solo se dimostra di saper sia discutere che decidere. È stato ampiamente ricordato, in questi giorni, l’episodio che vide protagonista Mattarella nel 1990, con le dimissioni da ministro, insieme ad altri tre colleghi della sinistra dc, per il decreto sulle tv. Pochi ricordano che i ministri dimissionari, da deputati, votarono comunque la fiducia al governo su quello stesso provvedimento che aveva provocato le loro dimissioni. La disciplina di partito valeva ancora: e parliamo della Dc alla vigilia della sua crisi finale, non del Pci degli anni ’50. Sarebbe bene meditare su quei passaggi, a mio avviso utili anche oggi per capire come si possa stare in un partito, discutendo e anche dissentendo nel modo più radicale nella discussione pubblica, ma poi uniformandosi nel voto in parlamento alla linea risultata democraticamente maggioritaria.

 

Veniamo al “Patto del Nazareno”:  Il centrodestra è un mucchio di macerie, non esprime più una leadership credibile. Come pensate di andare avanti?

L’elezione di Sergio Mattarella, su proposta di Matteo Renzi, dimostra che era vero che il cosiddetto patto del Nazareno non conteneva clausole o codicilli nascosti, ma era quel che diceva di essere: un accordo tra Pd e Forza Italia per le riforme, costituzionali ed elettorali, in nome del principio che le regole si fanno o si cambiano insieme, tra avversari. Io penso che il patto arriverà a portare fino in fondo i suoi frutti, del resto quasi maturi: sia la riforma costituzionale, sia quella elettorale sono vicine alla conclusione del loro iter parlamentare. Più complesso e delicato il discorso sul Nuovo centrodestra di Alfano, che si trova nella non facile condizione di dover spiegare come può stare al governo nazionale con Renzi e schierarsi alle elezioni regionali e locali con Berlusconi. La difficoltà di questo passaggio provoca una fibrillazione interna che deve essere rispettata. Ma anche gli amici del Nuovo Centrodestra, come noi del Pd, hanno la responsabilità di evitare che la loro dialettica interna finisca per rallentare il cammino del governo e delle riforme. La vita interna dei partiti è importante, ma guai se viene considerata più importante dei problemi del paese.

La cyberwar contro l’ISIS. Intervista a Antonella Colonna Villasi

Nei giorni scorsi alcuni hacker legati al “Califatto” (I “Cybercaliphate”) hanno violato l’account del “Comando Centrale delle Forze Armate statunitensi” (CentCom), inserendo slogan inneggianti alla Jihad. Un salto di qualità preoccupante per gli Stati occidentali. Per parlare di Cyberwar e intelligence, per capire quali sono le forze che combattono questa guerra strategica contro l’ ISIS abbiamo intervistato la professoressa Antonella Colonna Villasi, docente di “Intellingence” in diverse Università. Ha pubblicato numerose pubblicazioni di storia dei Servizi Segreti, tra i più noti una “Storia del Mossad”.

Professoressa, ci troviamo di fronte ad un terrorismo di tipo nuovo che fa uso di mezzi sofisticati come la “Cyberwar”. E’ così?

Molti affiliati del Califfato sono giovani cresciuti in Occidente, non è escluso che abbiano la capacità di portare avanti operazioni del genere. Inoltre è ormai chiaro come l’Isis conosca molto bene il funzionamento dei social media e della rete, usata sia per fare propaganda, sia per reclutare. Sicuramente è stata un’altra vittoria mediatica per lo Stato islamico ed i suoi fiancheggiatori, capaci di inserirsi in uno dei sistemi più protetti del mondo. Questa dimensione totale del conflitto sarebbe stata impensabile ed ingestibile per un gruppo terroristico fino a qualche anno fa, l’ISIS però ha fatto un salto di qualità notevole. Alcuni messaggi di propaganda firmati dall’ISIS con la sigla “Cybercaliphate”sono stati inseriti da alcuni hacker nell’ account Twitter e YouTube del Comando centrale delle Forze armate statunitensi (CENTCOM), inserendo frasi e video inneggianti al Califfato. Ed è la prima volta che una formazione jihadista utilizza tattiche di cyberwar contro account legati ad uno Stato. Se l’Isis possiede una squadra specializzata di hacker la sua connotazione di gruppo jihadista supera e deborda la sua essenza ed assume quella di “esercito”. Questo attacco cibernetico è stato sferrato dall’ ISIS pochi giorni dopo la strage di Charlie Hebdo, ma soprattutto mentre negli USA il presidente Obama annunciava il rafforzamento dei sistemi di sicurezza informatici. Gli hacker del Califfato hanno anche pubblicato documenti e piani militari statunitensi su Cina e Corea del Nord, tuttavia non di natura riservata. L’Fbi sta investigando sull’hackeraggio di alcuni account Twitter di giornali e tv private. Si tratta di operazioni di “deface”, ossia di modifica delle pagine e del contenuto dei profili social, sui quali sono comparsi l’immagine di un uomo a volto coperto e la scritta “I love you Isis”. Alcuni esperti ritengono che alcuni gruppi affermino di agire nel nome del jihad ma non siano assolutamente collegati con lo Stato Islamico. 


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Lei è una esperta di intelligence e di strategia. Come si può definire una “CyberWar”?
L’insieme delle attività di preparazione e conduzione delle operazioni militari eseguite nel rispetto dei principi bellici condizionati dall’informazione. Si traduce nell’alterazione e addirittura nella distruzione dell’informazione e dei sistemi di comunicazioni nemici. La guerra cibernetica si caratterizza per l’uso di tecnologie elettroniche, informatiche e dei sistemi di telecomunicazione.
Gli attacchi informatici contro Paesi e le loro aziende stanno aumentando ultimamente in modo esponenziale.
Le regole base della guerra cibernetica sono:
minimizzare la spesa di capitali e di energie produttive e operative;
sfruttare appieno le tecnologie che agevolino le attività investigative e di acquisizione di dati, l’elaborazione di questi ultimi e la successiva distribuzione dei risultati ai comandanti delle unità operative;
ottimizzare al massimo le comunicazioni tattiche, i sistemi di posizionamento e l’identificazione amico-nemico .
Ricordo il worm Stuxnet, un attacco informatico agli impianti nucleari iraniani che è stato attuato nel 2010, utilizzato da Israele e Stati Uniti, per danneggiare le centrifughe nucleari iraniane.

Ci sono 140 Paesi, così in un rapporto di una agenzia d’Intelligence occidentale, che hanno creato unità speciali per la “CyberWar”. Il più importante è il “Cyber Command Usa”. Da chi è composto?

Il CyberCommand (USCYBERCOM) statunitense è un  comando delle forze armate americane subordinato al Comando Strategico degli Stati Uniti . Il comando si trova a Fort Meade, nel Maryland , e centralizza tutte le operazioni di comando in materia di cyberspazio, gestisce le risorse informatiche esistenti e sincronizza le reti statunitensi di difesa militari. Il Cyber Command è composto da diverse strutture, le unità militari:
Army Cyber Command / Second Army ( Esercito )
Army Network Enterprise Technology Command / 9 ° Army Signal Command( NETCOM / 9thSC (A) )
United States Army Intelligence and Security Command
, sotto il controllo operativo del ARCYBER per le azioni cyber-correlate. 
1 ° Information Operations Command (Esercito)
780 Military Intelligence Brigade 
(Cyber);

Fleet Cyber Command / Decima Flotta  Navale
Naval Network Warfare Command

Navy Cyber Defense Command Operations
Comandi operativi Informazioni navali
Combined Task Forces
Air Forces Cyber / Ventiquattresima Air Force ( Aviazione )
67th Cyberspazio Operations Wing
688 Cyberspazio Operations Wing
624 Operations Center
5 ° Combat Communications Group
Marine Corps Cyberspace Command ( Marines )

Quale ruolo assume l’ NSA, in questa guerra?

La NSA negli ultimi anni ha dichiarato guerra aperta alla cyber war. La NATO ultimamente ha inserito gli atti di cyberwar, cioè le aggressioni ad una nazione tramite attacchi informatici, come riconducibili ad atti di guerra in conformità all’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico. Secondo le stime fatte dal Center for Strategic and International Studies di Washington la cyber war fa girare tanti soldi quanti riesce a metterne in circolo il traffico internazionale di droga. Secondo i dati dello studio americano l’Italia, a causa degli attacchi hacker, ha subito perdite per 875 milioni di dollari l’anno. Gli Stati Uniti, la Germania e la Cina da soli sono stati sottoposti a incursioni da parte di hacker per un valore complessivo di 200 miliardi di dollari nel 2013. Gran parte degli attacchi informatici sono dovuti al furto di proprietà intellettuali e allo spionaggio economico attuato dagli stessi governi. La Cina, ad esempio, è stata accusata dagli Stati Uniti di essere uno dei principali “ladri” di informazioni e brevetti ai danni delle imprese Usa. Anche le infrastrutture degli Stati Uniti sono costantemente sotto attacco informatico, anche da parte di paesi come la Cina che ha un fortissimo esercito di cybersoldati e che lavorano per creare disservizi, e perdita di informazioni. La logica del terrorismo applicata al cyberspace potrebbe produrre scenari catastrofici: virus informatici potrebbero neutralizzare i sistemi di difesa di una nazione, mandare in tilt acquedotti e sistemi elettrici. Gli Usa nel ruolo di superpotenza continua a muoversi in direzione di una proiezione del potere militare nello spazio cibernetico, definito come ‘nuovo teatro di operazioni’ dalla National Security Strategy elaborata dal Dipartimento della Difesa già nel 2005. Il dominio del cyberspace consentirà una gestione del potere che, intervenendo con azioni di disturbo (jamming) e attacchi mirati, potrebbe risparmiare molte vite di militari. Nel giugno 2014, il Pentagono ha nominato l’ammiraglio di squadra navale Michael Rogers comandante della cyber security della Us Navy, a capo della National Security Agency ed al comando delle unità contro i cyber attacchi. Rogers, esperto di codici, sostituisce il generale di squadra aerea Keith Alexander e costituisce la prima mossa del presidente Barack Obama per il nuovo corso della NSA coinvolta nelle critiche per il caso Datagate, scatenato dalle rivelazioni dell’ex analista Edward Snowden.

Sappiamo che in Estonia, è operativo dal 2004, c’è il Centro Nato di “Cyber Defense”. E’ rivolto a controllare la Russia? Oppure ha altri compiti?

Il Centro di Cooperazione Cyber Defence NATO di eccellenza ( Estonian : K5 o NATO küberkaitsekoostöö keskus) è uno dei Centri di Eccellenza  della Nato e si trova a Tallinn , Estonia . Il Centro è stato creato il 14 maggio 2008, ha ricevuto pieno riconoscimento da parte della NATO e ha raggiunto lo status di organizzazione militare internazionale il 28 ottobre 2008. Il Centro svolge attività di ricerca e formazione in materia di sicurezza informatica e comprende uno staff di circa 40 persone. Il Centro di Tallinn è uno dei 18 accreditati (COE), per la formazione su aspetti delle operazioni della NATO ad alto livello tecnico. E’ finanziato a livello nazionale e multi-nazionale.

Compito della struttura è quello di:
migliorare l’inter-operabilità della difesa contro attacchi cibernetici all’interno del Network Enabled Capability NATO ( NNEC ),
migliorare la sicurezza delle informazioni e potenziare l’educazione ad una cultura della difesa cibernetica,
fornire il supporto per la sperimentazione (anche on-site),
analizzare gli aspetti legali della difesa informatica.

Il centro ha anche altri compiti:
contribuire allo sviluppo delle politiche di sicurezza della NATO in materia di cyber-difesa e la definizione del campo di applicazione, realizzazione di progetti di formazione, campagne di sensibilizzazione, workshop e corsi.

Ultima domanda: Nella “CyberWar” la nostra privacy è a rischio. Dobbiamo rassegnarci ad essere controllati?

Si. Siamo in piena cyberwar che rischia di mandare in frantumi la privacy di persone, società e nazioni. Il cyber terrorismo rappresenta una sfida alla stabilità, alla prosperità e alla sicurezza di tutte le nazioni, e le azioni di attacco possono essere originate da entità statali, da terroristi, da gruppi criminali o da individui dediti alla ricerca d’informazioni o alla distruzione e al danneggiamento dei sistemi informatici e dei dati in essi contenuti. La Nato, nel prossimo decennio, ha intenzione di assumere sempre più un ruolo di difesa collettiva perché le sfide del futuro sono sempre più la cyberwar e gli attentati alla libertà di navigazione sul web.