La caccia al tesoro dei paradisi fiscali. Intervista a Nunzia Penelope

cop.aspxIn questi giorni il governo italiano ha concluso degli accordi per lo scambio di informazioni finanziarie e fiscali con paesi come: Svizzera, Liechtenstein, Principato di Monaco. Paesi definiti come “paradisi fiscali”. Tutto questo per garantire maggiore trasparenza. E’ la fine del segreto bancario? E’ davvero così? Nunzia Penelope, giornalista, ci spiega come stanno realmente le cose. Nunzia Penelope ha scritto un documentatissimo saggio su questo tema: Caccia al tesoro, uscito per la casa editrice “Ponte alle Grazie”. Il volume verrà presentato a Roma, all’Auditorium, il 14 marzo.

Incominciamo a dare un quadro riassuntivo del colossale furto planetario, il buco nero dell’economia mondiale, rappresentato dall’immenso flusso di denaro sfuggito ai controlli fisco. Secondo stime attendibili, a quanto ammonta? Quali le proporzioni di questo furto?

Piu’ o meno 30 mila miliardi di dollari: e’ questa la cifra a cui sono arrivata incrociando le stime di istituzioni e centri ricerca internazionali, dal FMI alla Banca Mondiale. In pratica, stiamo parlando di oltre un terzo dell’intera economia globale. Per fare un paragone piu’ semplice e dare l’idea delle proporzioni: 30 mila miliardi equivale al doppio della ricchezza prodotta ogni anno negli Usa o in Europa, e venti volte quella prodotta in Italia.

A chi appartiene questa enorme massa di denaro?
I paradisi fiscali sono un buco nero, e dentro c’e’ di tutto: i profitti esentasse delle multinazionali, i capitali degli evasori, il business del crimine, le tangenti della corruzione, e via dicendo. Ma il fatto e’ che dietro questa massa di denaro si muove una sorta di nuova elite globale, piu’ potente di qualunque governo, perché dispone di risorse finanziarie praticamente illimitate. E con risorse illimitate, e’ facile pagare eserciti di lobbisti che operino nei parlamenti di mezzo mondo, impedendo l’approvazione di leggi contro i paradisi fiscali. Un esempio banalissimo: quando in Italia nel 2013 si tento’ di approvare una legge contro l’elusione fiscale di Google, la stessa Google lancio’ attraverso LinkedIn una ricerca di lobbisti italiani da spedire nel nostro parlamento per bloccare la legge. Che infatti non ha mai visto la luce.

Che rapporto c’è tra la crescita dell’economia offshore e la crisi economia reale mondiale?
Vanno di pari passo: il boom dei paradisi fiscali coincide con la crisi mondiale del 2007, ne e’ nello stesso tempo causa ed effetto. La sottrazione di entrate fiscali per gli Stati di tutto il mondo e’ colossale. Gli Stati Uniti perdono 700 miliardi di tasse ogni anno, a causa del sistema offshore. In Ue, secondo dati Ocse, le tasse sottratte dalle multinazionali grazie ai paradisi fiscali ammontano a 1.000 miliardi annui, piu’ di tutta la spesa sanitaria europea, che e’ di 800 miliardi. Se queste risorse rientrassero nelle casse degli Stati, probabilmente la crisi economica sarebbe gia’ finita da un pezzo.

Quali sono le varie tipologie di “Paradisi Fiscali”. Com’è la situazione in Europa?
L’Europa e’ sostanzialmente un grande ‘’paradiso’’. Non solo Svizzera, Lussemburgo o Lichtenstein, ma anche Olanda, Irlanda, Gran Bretagna, e per certi versi la stessa Germania, o l’Austria, sono paesi fiscalmente molto ‘’tolleranti’’. Infatti, le grandi multinazionali americane hanno scelto paesi europei come sede fiscale. Il senato americano ha scoperto che la Apple, grazie a un accordo con l’Irlanda, paga appena lo 0,5 sugli utili, sottraendo al governo Usa un milione di dollari l’ora di tasse. E l’Italia non e’ da meno: praticamente tutte le nostre grandi banche e aziende hanno una sede in Lussemburgo, sempre per via dell’accoglienza fiscale. La stessa Fiat ha spostato la sede fiscale a Londra, allo stesso scopo. Poi, certo, tutti i governi ripetono periodicamente che vogliono la fine dei paradisi: ma nessun paese e’ ‘’innocente’’.

Il “private banking” è il principale motore dell’offshore. Come funziona?
Il private banking e’ quella sezione di ogni banca che ha il compito di gestire in modo riservato grandi patrimoni dei ricchi di tutto il mondo. E ovviamente, lo fanno appoggiandosi ad altre filiali aperte appositamente in paradisi fiscali. Basta fare una visita al sito internet di un qualunque istituto di credito per verificare quante sedi offshore hanno, e dove. Alcune li pubblicizzano apertamente: ‘’gestiremo in maniera riservata il vostro patrimonio’’. Ma riservata da che, se non dal fisco?

Parliamo dell’Italia. Quanto può essere stimato, in miliardi di euro, il capitale italiano nei paradisi fiscali? E dove sono maggiormente presenti?
Secondo la Banca d’Italia, quasi due terzi dei capitali italiani scappati oltre confine sta in Svizzera, il resto e’ piazzato in altri paesi europei, principalmente in Lussemburgo. Pochissimi invece nelle isole tropicali tipo Cayman: non c’e’ bisogno di andare troppo lontano per trovare ottimi ‘’paradisi fiscali’’, li abbiamo a due passi da casa. Quanto alle cifre, sempre secondo Banca d’Italia nel 2014 i capitali italiani scappati in Svizzera ammontavano a circa 200 miliardi. Se calcoliamo che con lo scudo fiscale del 2010 teoricamente ne erano rientrati 100, e’ evidente che la fuga dei capitali tricolori e’ piuttosto un esodo biblico. Infatti, alcuni dati parlano di un tesoro da mille miliardi, accumulato nella sola Svizzera nell’arco di vent’anni. Se fossero rimasti in Italia, dichiarati al fisco o investiti in attivita’ produttive, il nostro paese non soffrirebbe la costante mancanza di crescita economica che ben conosciamo.

Veniamo agli accordi, conclusi in questi giorni, con Svizzera, Liechtenstein, Principato di Monaco. Sono accordi importanti. Però se si guarda a quello importantissimo con la Svizzera vi sono dei limiti, quali?
Quando sento dire ‘’fine del segreto bancario’’, vado sempre a leggere le clausole scritte in piccolo negli accordi: per esempio, in quelli firmati recentemente e’ scritto che non saranno operativi prima di un paio di anni. Il che significa che ci sara’ tutto il tempo per traslocare i capitali neri altrove. Fondamentalmente, questi accordi hanno uno scopo non dichiarato ma molto preciso: far si’ che gli evasori italiani che decideranno di aderire alla nuova legge sul rientro dei capitali con autodenuncia, la cosiddetta Voluntary Disclosure, possano pagare sanzioni molto piu’ lievi. In qualche modo e’ anche giusto: il governo cosi’ si assicura una maggiore adesione alla sanatoria, e maggiori entrate. Pero’ appunto, dire che e’ finita l’epoca del segreto bancario, e’ quanto meno eccessivo e fuorviante.

Per quali ragioni molti capitali in “nero”, in Svizzera, prenderanno la via per l’Austria?
L’Austria, secondo i magistrati e gli esperti dell’antiriciclaggio, e’ attualmente uno dei paesi meno collaborativi col fisco e con le autorità giudiziarie italiane, e dispone di un segreto bancario blindato come e piu’ di quello svizzero. Come dicevo, i paradisi sono dove meno te li aspetti!

Sicuramente il merito di aver iniziato questa guerra ai “paradisi fiscali” va agli Usa, anche se poi hanno lo Stato del Delaware che è un “paradiso fiscale”. Le chiedo qual è, secondo
Lei, il livello di consapevolezza del nostro Paese rispetto agli altri paesi europei?

L’Italia sta scoprendo solo adesso il furto organizzato dei paradisi fiscali. Basti dire che quando l’anno scorso ho pubblicato la mia inchiesta “Caccia al tesoro”, era il primo libro italiano sull’argomento. Negli altri paesi i cittadini hanno maggiore consapevolezza, anche grazie al lavoro delle Ong e di molti centri di studio che divulgano costantemente informazioni sul tema, fruibili anche ai non addetti ai lavori. Da noi, invece, i media sono piu’ distratti: questo tipo di informazioni si trova solo sulle pagine tecniche dei giornali specializzati, o al massimo, ci si concentra su qualche ‘’scandalo’’ che colpisce volti noti dello sport o dello spettacolo. Ma questo, purtroppo, ha impedito fin qui di vedere il quadro completo. Ci scandalizziamo per il barista che non rilascia lo scontrino, ma non ‘’vediamo’’ la grande impresa che sfugge al fisco per milioni di euro, grazie a un paradiso fiscale.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti: com’e’ noto sono severissimi dal punto di vista fiscale, ma non sono mai riusciti nemmeno loro a vincerla contro i paradisi e le multinazionali. Il primo a iniziare questa guerra era stato John Kennedy nel 1962, con un durissimo discorso al Congresso, col quale diceva esplicitamente ‘’basta’’ ai paradisi. Compresi quelli in casa, come Delaware, Nevada, Wyoming. Ma come e’ finita lo sappiamo: JFK e’ morto un anno dopo a Dallas, mentre i paradisi sono ancora tutti qui, e aumentano di numero ogni anno.

La politica nell’epoca dei trasformismi. Intervista a Pippo Civati

Trasmissione televisiva BallaròPippo Civati, deputato del PD, uno dei leader della minoranza interna del PD, ha pubblicato un saggio appena uscito nelle  librerie, dal titolo assai eloquente: “Il trasformista. La politica nell’epoca della metamorfosi”. Un’analisi sulle dinamiche del trasformismo in politica. In questa intervista, oltreché del libro, si parla anche della situazione interna al PD.

 

Civati, partiamo dal suo saggio, dal titolo volutamente polemico. Lei definisce il trasformista , in origine è così, come un “teatrante”, un “illusionista”,  un “vecchio” che si traveste da “nuovo”. Insomma, la sua analisi è realista e pessimista insieme: lei vede l’attuale fase politica italiana come il trionfo del trasformismo. Una malattia che lei vede annidarsi nella Sinistra. Allora le chiedo: per lei il “campione” attuale del trasformismo è Matteo Renzi?

 

Credo che in realtà si tratti di un fenomeno più grande di quello che possa riguardare una singola persona.  E’ uno schema politico, quello trasformistico, che conosciamo: è uno schema che prevede che ci siano larghe intese ,scambi di posizione, grandi accrocchi, soluzioni che all’inizio sono  fuori dal parlamento prima di tutto con il governo Monti che però era un governo di emergenza. Poi si è ripetuto nella scelta di formare un governo trasversale come quello di Enrico Letta che poi si è compiuto nel campione di disinvoltura politica che è stato Matteo Renzi nell’assumere la posizione di premier senza passare dalle elezioni scalzando proprio Enrico Letta.

Tutti meccanismi che poi vengono valutati soltanto sulla base del successo elettorale o del consenso che ottengono nella popolazione a posteriori che si basano su uno schema trasformistico che poi la politica intende estendere anche a livello locale. Conosciamo le vicende della Liguria della Sicilia e di altre  situazioni in cui si va verso un modello in cui ci sia un grande partito al centro in cui rientrano più o meno tutti e che poi dispone delle scelte dei cittadini che l’hanno votato.

 

Dove si manifesta il “trasformismo” Renzi?

 

Ma ripeto fosse da solo sarebbe  colpa sua. La responsabilità è molto più larga , si manifesta per esempio nelle scelte di un partito come quello di cui faccio parte che ha ribaltato la propria linea sul lavoro, che in questi giorni parla di sostegno alle scuole private, che ha cambiato anche il profilo sulle politiche ambientali scegliendo la strada del ministro Lupi. Anche in questo caso si vede come un fattore estraneo alla politica del centrosinistra si sia inoculato di fatto nelle proposte politiche del governo, quindi è uno schema molto più complesso non banale anche se sicuramente la rappresentazione è quella intorno al leader a cui attribuire tutti i meriti e tutte le colpe. Io cerco di fare un ragionamento un pò più profondo, non è del resto come già sottolineava lei non è la prima volta che ci sia in  Italia una sinistra che si trasforma in destra,  un tema che ci ha riguardato spesso, insomma una sinistra che deve abbandonare se stessa per diventare qualcosa di diverso.

A questo punto è legittimo chiedersi se sia ancora sinistra o se sia qualcosa di diverso.

 

 

Veniamo al PD. Per lei, come per altri, si sta trasformando nel “partito della nazione”, definizione assai ambigua, rischiando così di perdere i connotati di un partito di centrosinistra. Le chiedo, sinceramente, può essere una alternativa credibile di governo il “neo-frontismo popolare” (o coalizione sociale) di Landini, Revelli e altri?

 

Io credo che il problema sia quello di contrapporre dentro e fuori del Pd il progetto di un governo diverso che si basi su un manifesto condiviso con gli elettori, con i corpi sociali, con i corpi intermedi. Fanno bene Landini e Rodotà a richiamarci all’aspetto sociale; il problema però è dove finalizziamo questa sfida politica. Non deve essere soltanto una sfida di piazza, una sfida di numeri ma deve essere anche la soluzione per dare al Paese un governo diverso sulla base di una riflessione culturale che non scivoli via, sulla base di scelte chiare, di valori riconoscibili. E’ un lavoro che dobbiamo fare meglio  e che sicuramente non può non riguardare anche un pezzo di Pd perché non voglio credere che tutti si consegnino a questo destino.

Si tenga conto che c’è anche il caso di Milano per cui si dice che dopo Pisapia bisogna guardaci attorno, lo ha detto ieri il vicesegretario Guerini, dovremo guardarci intorno magari allearci con la destra o con un  pezzo di destra anche a Milano.

Insomma è abbastanza forte come soluzione, non credo che tutti la vogliano accettare.

 

Veniamo alla “minoranza” del PD. La galassia “renziana” si arricchisce ogni giorno di nuove “componenti”: l’ultima nata è quella dei “renziani di sinistra”. Vi stanno fagocitando? Come pensate di reagire?

 

Ma non lo so questi sono schemi interni di corrente, io sto parlando di qualcosa di diverso, il destino e la vocazione di un partito e il senso della nostra azione politica. Che ci sia una riorganizzazione nelle stanze del Nazareno è normale non mi piace neanche bollarla immediatamente come soluzioni che non mi interessano, però è chiaro che il problema è un pò più grande. Cioè  queste correnti  in quale direzione cambieranno il profilo del Pd, sapranno intervenire sulle politiche di Renzi, offriranno elementi di innovazione di cambiamento vero? Queste sono le domande.

 

Guardiamo fuori dal PD. La manifestazione di sabato della Lega ci mostra una destra sempre più aggressiva. La preoccupa Matteo Salvini?

 

Preoccupa più che altro per le cose che dice non tanto per il consenso elettorale.

Visto che c’è un dibattito molto forte è chiaro che a destra si pongano le stesse questioni che ci poniamo noi, con parole diverse e opposte alle nostre.

Anche per loro il destino sarà quello di arrivare ad un unico partito di centro. Chi è più di destra, a costo di imbarcare anche forme  fascisteggianti come quelle di Casa Pound, si chiede se sia il caso di costruire una destra che abbia valori di rifiuto completo ma che qualcuno vede come posizioni che devono essere rappresentate.

 

Ultima domanda: Lei crede ancora nel PD? Oppure pensa che ormai è arrivato il tempo di una scissione?

 

A me la parola scissione non piace, non credo che si tratti di questo anche perché sono uno dei pochi a porsi il problema di quanto si possa rimanere in uno schema che non si sente proprio, altri sono molto più sereni, comunque non considerano neanche l’ipotesi.

Il problema vero glielo pongo in questi termini: se i miei elettori quelli delle primarie, quelli che mi vogliono bene, che mi vogliono più bene, forse, e mi vogliono ancora bene, speriamo, se non votano più il partito democratico a me si pone un problema direi quasi “ontologico” e quindi io non sto a fare operazioni politiche o tatticismi. Sono rimproverato di essere incerto.

In realtà mi si pone un problema epocale, lasciare un partito così considerandolo perduto  non è una cosa banale perché dispiace, io ci credevo, io vengo dall’Ulivo, non certo della sinistra rivoluzionaria.

Vorrei una sinistra di governo e la domanda che mi pongo tutte le sere prima di addormentarmi è: come si fa ? Quando trovo la soluzione sarete i primi a saperlo però non è facile e chi lo bolla come mancanza di coraggio o come incertezza esistenziale secondo me fa un gioco divertente perché la satira il sarcasmo quando non sono troppo cattive a me piacciono anche, i politici se lo meritano. Però la questione non è di facile soluzione, a me piacerebbe un contesto grande in cui far vivere quei valori di cui le dicevo, di fare una battaglia minoritaria non mi interessa o si riesce a costruire una sinistra di governo con il Pd, io sarei felicissimo, senza il Pd è più complicato farlo ma forse diventa sempre più urgente.