La notizia è di questi giorni: dopo trentanove anni dalla sua morte, ucciso dai militari criminali del regime dittatoriale di Videla, la Santa Sede ha concesso il nulla osta (Ex parte Sancta Sedis nihil obstat) alla causa di Beatificazione di Monsignor Enrique Angelelli, vescovo martire della diocesi argentina La Rioja . La richiesta formale era stata appena tre mesi fa dall’attuale vescovo di La Rioja, Marcel Daniel Colombo. La causa è per martirio in odium fidei.
Monsignor Angelelli venne ucciso, non, come la versione “ufficiale” (quella del regime e accettata, per complicità, anche dalla gerarchia cattolica argentina) ha tentato di far credere per quasi quarant’anni, da un “tragico incidente stradale”, ma, come ha stabilito il processo, che ha condannato i mandanti dell’omicidio, Luciano Menéndez e Luis Fernando Estrella (entrambi alti ufficiali della Forze Armate del regime di Videla), quell’ “incidente” fu “conseguenza di un’azione premeditata ed eseguita nel quadro del terrorismo di Stato”.
Questa verità è stata raggiunta anche grazie alle “Carte” giunte dal Vaticano, su richiesta dell’attuale Vescovo della diocesi.
Fra le tante testimonianze (le riprendiamo dall’Agenzia di stampa Adista) contro i due imputati, due scritti a firma di Angelelli, a pochi giorni dalla morte. Innanzitutto una lettera del 5 luglio 1976 indirizzata all’allora nunzio apostolico in Argentina, card. Pio Laghi (scomparso nel 2009), nella quale scriveva: «Mi hanno consigliato di dirglielo: sono stato di nuovo minacciato di morte» da alcuni membri dell’organizzazione cattolica di ultradestra “I crociati della Fede della Costa”, proprietari terrieri che attaccavano pubblicamente il vescovo (fino a cacciarlo a pietrate, nel 1973, da Anillaco, in provincia di La Rioja) e che sulle pagine del quotidiano El Sol, lo chiamavano «il vescovo rosso», «comunista», «satanelli». Angelelli documenta tutto a Laghi allegando le pagine del giornale. Ed inoltre enumera in dettaglio la crescente ostilità che dovevano sopportare lui e i suoi preti da parte di Osvaldo Bataglia, capo del Battaglione del Genio civile.Il secondo documento è una memoria puntuale e particolareggiata degli eventi che precedettero – e “motivarono” – l’omicidio di Longueville e Murias. Entrambi i documenti erano custoditi in Vaticano e sono stati prontamente consegnati da papa Francesco su sollecitazione, come già scritto, dell’attuale vescovo di La Rioja, mons. Marcelo Daniel Colombo, al quale il sacerdote francescano Miguel Ángel López aveva raccontato di aver consegnato personalmente in Vaticano a luglio del ‘76 il dossier confidenziale di Angelelli.
Documenti effettivamente ricevuti dato che portano il numero di protocollo in italiano e, come data di archiviazione, quella del 30 luglio 1976. Laghi fu ripetutamente accusato dalle Madri di piazza di Maggio di complicità con la dittatura. “Non sapevo”, fu l’eterno refrain del cardinale (v. fra gli altri, Adista n. 7/99). «Le carte provano la mendacia di Pio Laghi, che si sottrasse alle sue responsabilità rasentando la copertura», ha dichiarato a Infojus Noticias Bernardo Lobo Bugeau, avvocato della Segreteria argentina dei Diritti Umani, uno dei soggetti querelanti. «Nel 2000, in un’intervista alla giornalista Olga Wornat, Laghi – ha aggiunto – si scandalizzò perché lo si accusava di simili delitti. Ora sappiamo che era perfettamente a conoscenza di quanto stava succedendo».
Alla vigilia della sentenza, il 3 luglio dello scorso anno, nella cattedrale di La Rioja mons. Marcelo Colombo ha officiato una messa «in omaggio a mons. Enrique Angelelli». «Trentotto anni fa, in questi stessi giorni – ha ricordato nella sua vibrante omelia – Angelelli soffriva per gli attacchi e le ingiuste accuse e perché gli veniva impedito [dagli uomini della dittatura] il libero esercizio del suo ministero pastorale. Non poteva accettare il “suggerimento” di mantenersi distante, di fare attenzione alla sua pelle, di lasciare il suo gregge. Presentiva i pericoli che si addensavano sulla sua testa, ma agiva mosso dal Vangelo di Gesù Cristo nel suo impegno personale irrinunciabile a favore degli esseri umani. Intravide che le morti di Gabriel Longueville e Carlos Murias e del laico Wenceslao Pedernera preannunciavano la sua. Ma continuò a rimanere sulla breccia, a sostenere fino alla fine il bastone del buon pastore».
«Come Chiesa di La Rioja – ha detto ancora – vogliamo portare avanti la missione di Gesù fra gli esseri umani e percorrere senza titubanze quei cammini che mons. Angelelli ha risolutamente proposto: il rinnovamento ecclesiale come compito di ognuno di noi; il servizio come contenuto e metodo del nostro agire pastorale», «l’opzione preferenziale per i poveri e gli esclusi, la conversione pastorale delle nostre istituzioni, la ricerca della volontà di Dio per la sua Chiesa. Questi aspetti di importanza sostanziale che la vita e la dedizione fino alla morte di mons Angelelli hanno proclamato profeticamente costituiscono per noi una eredità sacra fermamente radicata in Gesù Cristo».
Così, dopo ben 40 anni, questo “martire proibito” dell’America Latina, come lo chiamava il vescovo brasiliano Dom Pedro Casaldaliga, fa la sua irruzione nella grande storia contemporanea della Chiesa dell’America Latina. Con Monsignor Romero, Ignacio Ellacuria, e i tanti martiri (preti e laici) che rendono luminoso la testimonianza cristiana per la liberazione integrale dei poveri nell’Immenso continente Latinoamericano.
“Con un oido en el pueblo y otro en el evangelio” (con un orecchio al Popolo e l’altro nel Vangelo). Ecco questa era la prassi evangelica e storica liberatrice di Enrique Angelelli. Figlio di emigrati italiani, figlio della Chiesa del Vaticano II e della Conferenza di Medellin (la Chiesa estroversa che fa sua integralmente l’opzione per i poveri), figlio dell’America Latina e del suo sogno di liberazione e giustizia, figlio della “teologia del popolo” (una corrente della più ampia teologia della liberazione).
Angelilli, quindi, incarna alla perfezione quell’ ideale storico concreto, proposto da Papa Francesco, “del pastore che ha l’odore delle pecore”. Infatti, come scrive il pontefice nella Evangelii Gaudium,“l predicatore deve anche porsi in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo”.
Così è stata la vita del Vescovo martire Enrique Angelelli.