Sarà il Sinodo della Svolta? Intervista a Francesco Antonio Grana

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C’è grande attesa, nella Chiesa e nell’opinione pubblica, per il “secondo round” del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia che si aprirà domenica prossima in Vaticano. Come si Svilupperà? Quali sono i punti più controversi? Nel parliamo, in questa intervista, con Francesco Antonio Grana (vaticanista de ilfattoquotidiano.it) .

 

 

 

 

Grana, domenica prossima inizia il “secondo round” del Sinodo dei vescovi sulla “Famiglia”. La Chiesa è nel mondo ma non è del mondo (per usare un pensiero della lettera “A Diogneto”) ma non è neppure fuori dal mondo. E’ la chiesa estroversa di Papa Francesco: la Chiesa “ospedale da campo”.  Da qui la linea della “misericordia”. Questa linea pastorale è maggioritaria? Insomma come sono le “forze” in campo?

In quest’anno di maturazione tra il primo Sinodo dei vescovi sulla famiglia e il secondo che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre prossimi sicuramente si è irrobustita l’ala dei presuli che guardano con grande convinzione alle aperture proposte da Papa Francesco. Aperture chiare che Bergoglio ha sviluppato nel corso di un lungo ciclo di catechesi alle udienze generali del mercoledì sulla famiglia proprio in preparazione al dibattito sinodale. Su tutte credo che l’affermazione più forte del Papa sia stata quella che “i divorziati risposati non devono essere trattati da scomunicati perché non lo sono”. La Chiesa deve fare in modo che questa affermazione diventi concreta nella pastorale quotidiana.

 

Questo Sinodo, voluto da Papa  Francesco, è un Sinodo “pastorale”.  Come si è sviluppato il dibattito all’interno della Chiesa? Ha visto emergere una maggiore consapevolezza del “popolo di Dio” verso la “linea della misericordia” per le situazioni “difficili”?

Fortunatamente questo Sinodo tocca la carne viva di ogni uomo, al di là del suo credo religioso. Si parla di persone, di famiglie, di matrimonio, di amore, di sessualità. In una parola di vita. Non si esaminano dogmi o questioni dottrinali lontane dalle persone, ma la vita quotidiana di ogni uomo, le sfide che tutti noi ci troviamo ad affrontare ogni giorno. Da qui nasce l’enorme attenzione per questo importante evento nella vita della Chiesa e nel pontificato di Francesco. C’è attesa, c’è fiducia e c’è anche speranza da parte delle persone che affrontano situazioni difficili e che attendono da troppo tempo una parola chiara e non contraddittoria della Chiesa.

 

Alcuni esponenti della parte conservatrice usano lo spauracchio dello scisma, più o meno sommerso, per fermare la linea di apertura. E’ una minaccia reale?

Parlerei più di “scisma mentale” che di “scisma reale”, ovvero di cardinali e vescovi, per fortuna molto pochi, che si professano fedeli alla Chiesa di Gesù e al suo vicario sulla terra, il Papa appunto, e poi lo attaccano. Ma il timone è ben saldo nelle mani di Bergoglio, così come lo fu in quelle del beato Paolo VI durante il Concilio ecumenico Vaticano II.

 

Quali sono, secondo lei, i punti di maggiore convergenza e quali quelli che segnano una grande distanza?

Non si può non registrare convergenza totale sull’indissolubilità del matrimonio sacramentale. Più problematica è la soluzione dell’accesso alla comunione per i divorziati risposati. La chiusura netta, invece, è per le nozze gay, anche se c’è una minoranza che vorrebbe riconoscere dei diritti alle coppie omosessuali. Nel Sinodo precedente si era parlato anche della possibilità dell’adozione dei figli per queste coppie. Ipotesi poi abolita.

 

Questo Sinodo ha un valore strategico per Bergoglio.  Papa  Francesco davvero si gioca il “tutto per tutto”?

Il Sinodo, come lo ha voluto il beato Paolo VI 50 anni fa, non ha nessun potere decisionale. E forse non è un caso. L’ultima, ma anche l’unica parola valida, è quella del Papa. Stop. Francesco non deve far passare una legge e quindi, come invece in un Parlamento laico, non ha bisogno del voto di fiducia altrimenti crolla l’impalcatura del suo pontificato. Bergoglio chiede alla Chiesa di “prestare attenzione ai battiti del tempo presente”, come ha detto nella veglia del Sinodo dell’ottobre 2014. Interrogarsi sulle sfide attuali della famiglia e cercare le soluzioni per rispondere a questi problemi sono già dei grandi passi in avanti.

 

Ultima domanda: come si è preparata la Chiesa italiana all’Evento?

Spero bene! La Chiesa italiana, fin dall’elezione di Bergoglio, e non di Scola come auspicato in un frettoloso e imprudente telegramma di auguri della Cei al neo Papa, ha avuto grande difficoltà a sintonizzarsi sul pontificato di Francesco. Non so se ciò sia finalmente avvenuto. Se sì, speriamo che il Sinodo lo metta in luce.

“Così il Papa ha entusiasmato l’America”. Intervista a Massimo Faggioli

Massimo Faggioli (via Linkedin)

Massimo Faggioli (via Linkedin)

Papa Bergoglio sta concludendo il suo viaggio negli Stati Uniti, lascerà Philadelphia nella serata (alle 20 ora locale). Un viaggio che segnerà il Pontificato di Papa Francesco. Quali saranno le immediate conseguenze per la Chiesa cattolica? Facciamo con questa intervista a Massimo Faggioli, storico del Cristianesimo alla St. Thomas University, un primo bilancio del viaggio.

 

 

 

 

 

 

Professore, siamo alla fase finale del viaggio apostolico di Papa Francesco a Cuba e negli USA. Un viaggio che segna il Pontificato Bergoglio: la conferma, con il suo intervento all’Onu, della  sua leadership spirituale e “politica” a livello mondiale. E’  così?

Papa Francesco si e’ confermato nella sua identità teologica, spirituale e politica anche nel viaggio in America, che era il più’ difficile per la distanza tra la sua cultura di riferimento e gli estremi delle culture politiche e religiose americane. Il papa è oggi la autorità globale su povertà, giustizia sociale e ambiente. Ma è un altro discorso trasformare questa autorità in un cambio di rotta delle politiche sulle questioni concrete.

Il viaggio negli Stati Uniti, quello che pareva più “complicato”, è stato un successo. Quale è stata la “chiave” di questo successo?

La chiave è nello stile semplice e pastorale che lo caratterizza anche a Roma; una preparazione accurata del viaggio e dei discorsi; la scelta di incontrare la chiesa americana “dove essa e’”, senza pretendere che sia come quella italiana o sudamericana; allo stesso tempo la scelta di un messaggio che è diverso dalla retorica combattiva e rivendicativa dei vescovi americani, specialmente sulle questioni sensibili di matrimonio, famiglia, e omosessualità’.

Il ciclone Bergoglio ha investito la Chiesa americana. Una chiesa divisa. Cambierà la vita della Chiesa americana? 

Vedremo presto dai vescovi: da quelli americani che saranno al Sinodo che si apre la settimana prossima, e dalla prossima assemblea della conferenza episcopale americana. Bisognera’ attendere. Quello che e’ certo e’ che gli oppositori di Francesco appaiono un gruppo più sparuto e isolato oggi. Quella parte non piccola di vescovi americani che apprezza Francesco verra’ allo scoperto.

L’intervento  al Congresso Usa è stato un capolavoro politico. Come è stato vissuto dalla politica Usa? Avrà una influenza nella campagna presidenziale?

Non credo: la politica americana vive oggi in una bolla separata, anche a causa dei sistemi di finanziamento e di corruzione legale. Inoltre tutti e due i partiti oggi sono spaccati al loro interno, specialmente il partito più’ religioso, quello Repubblicano. Ma il discorso del papa al Congresso ha ricordato ai cattolici e specialmente ai politici cattolici una serie di questioni – non solo quelle di morale sessuale – che sono alla base dell’insegnamento morale e sociale della chiesa.

La minoranza “Hispanica” come ha vissuto la visita del Papa?

Come una benedizione e una conferma nel loro ruolo: e’ una minoranza forte che diventerà ben presto maggioranza, ma che è ancora largamente invisibile nelle stanze che contano della chiesa cattolica americana.

Quale è il messaggio che arriva a noi europei da questo viaggio?

Che la chiesa globale significa una chiesa anche post-europea e post-nordamericana. In questo Europa e Nordamerica sono in due situazioni simili (anche se l’Europa e’ più’ secolarizzata). Si tratta di riconoscere che non esiste più un monopolio culturale sul cattolicesimo globale da parte di una cultura sola.

Ultima domanda: l’altra sfida di Bergoglio sarà il Sinodo…vincerà la linea Bergoglio?

Nella visita in America il papa ha fatto capire il suo approccio non ideologico alle questioni del Sinodo. Resta da vedere tutto il resto. Credo che il Sinodo sarà una tappa importante nel corso di un processo che non si chiuderà il 25 ottobre.

 

“L’ora di lezione può cambiare la vita”. Un libro di Massimo Recalcati

 

Lo consigliamo a docenti e alunni. Vale la pena di leggerlo a scuola, offre molti spunti di riflessione sia per il docente e che per l’alunno.

Un libro intenso, pieno di pathos, questo libretto, “L’Ora di Lezione”, scritto da uno dei più noti psicanalisti italiani.

Il libro è un saggio ricco di analisi che tocca diversi livelli: dalla filosofia alla psicanalisi. Ma c’è anche un piccolo “tesoro”: sono le pagine dedicate alla sua esperienza di studente, uno studente cui “destino” pareva segnato dal fallimento: “Ero stato un bambino considerato idiota, fui bocciato in seconda elementare perché giudicato incapace di apprendere. Quando cerco di insegnare qualcosa, è a lui che mi riferisco.” “Andavo lento e ora mi rimproverano di andare veloce”.

Massimo Recalcati (Olycom)

Massimo Recalcati
(Olycom)

In quest’affermazione non c’è boria e trionfalismo. L’autore vuole sottolineare che era considerato una “vite storta”. E tutti siamo “vite storte”, la “stortura” può essere l’occasione di progredire nella conoscenza. Anzi è la condizione per conoscere la propria via. E’ la stortura, la nostra imperfezione, che accende il desiderio del sapere.

Ecco il punto, il tesoro del libro: in quel lontano 1977, gli anni del terrorismo, dell’esplosione della droga, in una classe dell’Istituto agrario, collocato alla periferia estrema di Milano, fa la sua apparizione una giovane e bella professoressa di lettere, Giulia, che incanta con la sua passione per la letteratura e la poesia il giovane studente annoiato dalla scuola. “Non esiste insegnamento senza amore. Ogni Maestro che sia degno di questo nome sa muovere l’amore, è profondamente erotico, è in grado di generare quel trasporto che in psicoanalisi chiamiamo transfert”. La parola diventa “corpo erotizzato”, accende il ionedesiderio. L’apprendimento, per Recalcati, non è pura ripetizione, plagio, sapere “morto” senza vita. L’insegnamento implica, per usare la metafora dell’amore, la trasformazione del soggetto che ascolta in soggetto attivo. Passare da “eromenos” a “erastes”. Ovvero passare al ruolo di “amante”.

La scuola come “sentinella dell’erotismo” del sapere, della possibilità del tuo futuro. Il luogo che mette in moto la vita che ti conduce all’altrove, verso mondi imprevisti.

Questo processo avviene nell’ora di lezione.

Ma oggi nel tempo della scuola “Narciso”, fatta di nozionismo pieno di efficienza fine a stessa, come se la mente degli studenti fosse da riempire con dei “file”, questo è assai complicato. Una scuola “narciso” che non contempla il fallimento, tutto è giocato sull’ansia della prestazione. Non è una bella evoluzione rispetto alla scuola, così viene definita dall’autore, “Edipo” (quella basata sull’Autorità). La proposta di Recalcati è quella di investire nella scuola lo spirito di “Telemaco”, ovvero dell’apertura al futuro delle possibilità.

La scuola come isola di anticonformismo sano, che rifiuta l’intruppamento, e ponga limiti all’indisciplina del godimento immediato.

La scuola come luogo della “legge della parola”. E senza legge non c’è desiderio.

Quindi come si trasforma un “libro in un corpo erotico”? ovvero come “tradurre ogni corpo che incontra in un libro da leggere”?

Per Recalcati gli autori di questa “magia” sono stati i suoi “maestri” :dalla splendida Giulia Terzaghi, “un corpo celeste che veniva da un altro universo”, la professoressa di lettere, ai grandi professori di Filosofia della Statale di Milano, “Heidegger e Sartre diventavano incredibilmente vivi, pulsanti, straripavano dalle loro cornici stabilite per entrarci dentro”.. Ecco perché – scrive Recalcati – “portare la parola è portare il suo fuoco”: è “il miracolo dell’insegnamento: mostrare che quel sapere che ritenevamo morto è vivo, è erotico, si muove, respira. In questo modo, il maestro, sempre, mentre insegna impara, ovvero ridà vita a tutto ciò che lo ha formato”. Ecco l’arte dell’insegnamento (che è un atto di amore).

E per ognuno di noi sicuramente c’è stato qualcuno che ha segnato il nostro destino, che ci ha aperto la via inesplorata o che ci ha consentito di “ripartire”. Ecco questi sono i “maestri” che ricorderemo a distanza di anni la voce, che è “espressione materiale e spirituale del desiderio di insegnare”. E’ Il desiderio d’insegnare che distingue il “maestro” dai replicanti. “Sei una presenza che insiste a vivere in me”, scrive della sua professoressa Recalcati. In-fine il sapere è, anche, un nome. L’amore è sempre, direbbe Lacan, l’amore per il nome. “Magia” dell’ora di lezione.

Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Ed. Einaudi, Torino 2014, pagg. 160, € 14,00

Il volto dell’Europa dei nazionalismi. Intervista a Eva Giovannini

 

Schermata 2015-09-20 alle 20.04.22La drammatica vicenda dei migranti ha fatto scoppiare una grave crisi del sogno Europeo. Egoismi e nazionalismi sono riemersi in maniera prepotente. Ci sono movimenti politici che soffiano contro l’ideale europeo. Chi sono e quale è il loro volto? Ne parliamo con Eva Giovannini, inviata del programma di Rai 3 “Ballarò”, autrice di un libro-inchiesta, uscito in questi giorni per i tipi di Marsilio, dal titolo: “Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi” (pagg. 208, € 16,00)

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In questi mesi del 2015 il sogno Europeo ha subito una grave battuta d’arresto: dalla crisi della Grecia alla vicenda tragica e drammatica dei migranti che fuggono dalle guerre e dalla fame. Insomma lo spirito europeista di Spinelli è tramontato?

Non so se sia tramontato, ma sicuramente non attraversa il suo periodo migliore. La “creazione di un solido Stato internazionale”, per usare le parole del Manifesto, non sembra mai essere stata così lontana. Eppure non dovremmo gettare la spugna, perchè è proprio nei momenti più drammatici che spesso avvengono i cambi di paradigma, come insegna la scienza. Questo anno di crisi per l’Unione Europea potrebbe anche essere l’anno della sua rinascita. Ma per costruire gli Stati Uniti d’Europa, per rinunciare a un pezzo importante della propria “sovranità” il progetto politico deve essere chiaro, omogeneo, lungimirante. Non possiamo condividere il pareggio di bilancio senza preoccuparci di condividere anche i valori, non possiamo essere una comunità monetaria e non anche umanitaria.

Nel suo libro analizza il panorama delle “nuove” destre europee (da Alba Dorata alla Lega di Salvini). “Nuove” per modo di dire, visto che nel loro “repertorio” c’è molto di antico (nazismo e fascismo). Le chiedo qual’è la radice della “rinascita” di questa “ideologia” estrema? Quanta responsabilità ha l’Unione Europea in questa rinascita?

Faccio subito una precisazione: nessun leader da me intervistato in questo libro accetta di essere definito come “di destra”. Tutti sfuggono a questa etichetta, da Matteo Salvini ai patrioti di Pegida, passando per Marine Le Pen, che non solo non si considera una donna di destra, ma arriva a dire che la destra oggi non esiste più, “perchè la divisione è tra mondialisti e nazionalisti”. Comunque, credo che la spinta verso queste nuove forme di nazionalismo sia da ricercare nella grave, e non ancora superata, crisi economica che ha attraversato il nostro continente. La paura diffusa di perdere il welfare, il lavoro, il proprio patromnio di valori, ha fatto da brodo di coltura ideale per la rinascita di questi “populismi patrimoniali” che, con declinazioni diverse, si pongono come nemici dell’euroburocrazia e difensori dei popoli sovrani contro i “migranti-invasori”. L’Unione Europea certamente ha alcune responsabilità in questo: ha avuto negli ultimi anni un atteggiamento molto sbilanciato, ha dato un peso eccessivo al rigore economico – che è importante, certamente – dimenticandosi però che una comunità di Stati deve avere anche una visione politica condivisa. La gestione della vicenda migranti, ad esempio, ha colto l’Unione impreparata, come se un asteroide fosse caduto dal cielo.

Secondo Lei qual’è la formazione politica, tra queste, più pericolosa?

Se devo dire la verità, in questo mio viaggio in sei paesi europei – Regno Unito, Francia, Germania, Ungheria e Grecia e Italia – sono due i movimenti che più mi hanno fatto paura. Alba Dorata in Grecia e gli ultranazionalisti di Jobbik in Ungheria. Jobbik in ungherese vuol dire “i migliori”, ma anche “più a destra”: hanno una struttura paramilitare e si richiamano alle croci frecciate delle milizie naziste, odiano gli immigrati e sono antisemiti. Alle ultime elezioni politiche hanno preso oltre il 20% e il loro astro nascente, un giovane deputato di nome Màrton Gyӧngyӧsi, nell’intervista che mi ha rilasciato, ha difeso la formazione di classi speciali per soli bambini rom e la necessità di stilare una lista di tutti gli ebrei nel parlamento ungherese. Orbàn fa politiche sempre più radicali per inseguire il loro elettorato.

Alcuni di questi leader guardano alla Russia di Vladimir Putin come ad un modello a cui ispirarsi. Che ruolo gioca la Russia nella rinascita di questa destra?

La Russia è la grande alleata di questi movimenti. Non so se ha ragione George Soros quando dice che l’obiettivo di Mosca è “destabilizzare l’Europa”, ma sicuramente Putin strizza l’occhio a tutti questi movimenti. Non ci dimentichiamo dei nove milioni di euro dati al Front National di Marine Le Pen da una banca di proprietà di un amico di Putin, dell’investimento di dieci miliardi di euro che Mosca ha fatto per allargare l’unico impianto nucleare ungherese, a Paks, o dei rapporti strettissimi tra la Russia e il piccolo partito nazionalista di Anel, alleato di governo di Tsipras. Ma anche, più banalmente, la simpatia verso i media russi tra i militanti di Pegida, i patrioti contro l’islamizzaione che hanno marciato decine di volte a Dresda: mentre tutti i giornalisti venivano allontanati al grido di “lugenpresse!” (giornalisti bugiardi!), i microfoni blu dell’emittente di Mosca Poccnr venivano accolti dalla folla con il sorriso. 

Parliamo della Lega di Salvini. Il consenso, stando agli ultimi sondaggi, è sul 14%. Le chiedo: pensa che la penetrazione “culturale” (inteso come modo di pensare) leghista sia destinato ad espandersi nella società italiana oppure no?

Non sono in grado di dare una risposta, dovrei avere una sfera di cristallo per vedere che direzione prenderà questo Paese da qui al 2020, almeno. Mi limito però a fare una considerazione, prendendo come esempio un episodio specifico: la famosa sparata della “ruspa” da parte di Matteo Salvini. Dopo che il segretario della Lega tirò fuori quel termine, nonostante il coro quasi unanime di sdegno e critiche, i sondaggi registrarono un boom di consensi, lanciando la Lega quasi al 16%. Ognuno tragga le sue conclusioni.

Ultima domanda: nel suo libro afferma che l’Europa ha bisogno di un nuovo “patto fondativo” per contrastare questa deriva nazionalistica. Su che basi fondare questo nuovo patto?

Credo che servano quanto prima misure più omogenee sul fronte fiscale, una politica estera che parli una lingua comune (ricordate Kissinger quando diceva “a chi devo telefonare per parlare con l’Europa?) e ridare centralità ai Parlamenti, e non solo al Consiglio europeo. In questo senso, la firma di una dichiarazione congiunta tra i presidenti del Parlamento italiano, tedesco e francesce, avvenuta a Roma lo scorso 14 settembre, è un passo importante verso la costruzione degli “Stati Uniti d’Europa”.

 

 

 

 

 

 

Nello Yemen “crimini di guerra” anche con bombe italiane

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www.amnesty.org/en/latest/news/2015/07/yemen-civilians-under-fire-in-pictures

Da più di cinque mesi in Yemen si sta consumando un conflitto con conseguenze pesantissime sulla popolazione civile. Le Nazioni Unite parlano di “catastrofe umanitaria” con 21 milioni di persone (più di tre quarti della popolazione) che necessitano di aiuti umanitari, oltre un milione di sfollati interni e migliaia di vittime, anche tra i civili, soprattutto bambini. Un confitto che si è acuito a seguito dell’intervento militare della coalizione guidata dall’Arabia Saudita (di cui fanno parte anche Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar e Egitto) che, per contrastare l’avanzata del movimento sciita zaydita Houthi, sta bombardando lo Yemen senza alcun mandato internazionale.

Conflitto che prosegue nell’indifferenza della comunità internazionale, anche dell’Italia. Nei giorni scorsi, l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Difesa e Sicurezza (OPAL) di Brescia, Amnesty International Italia e la Rete Italiana per il Disarmo hanno diramato un comunicato in cui chiedono al governo italiano di promuovere un’indagine dell’Onu sulle violazioni del diritto umanitario nel conflitto in Yemen e di fermare l’invio di bombe e sistemi militari anche ai paesi della coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Ne parliamo con Riccardo Noury (Portavoce di Amnesty International Italia), Giorgio Beretta (Analista Osservatorio OPAL di Brescia), Francesco Vignarca (Coordinatore della Rete italiana per il disarmo)

Amnesty International ha denunciato che nel conflitto in Yemen tra le milizie sciite zaydite houthi e la coalizione guidata dall’Arabia Saudita stanno avvenendo “gravi violazioni del diritto umanitario”. A cosa vi riferite?

Riccardo Noury (Portavoce di Amnesty International Italia)
Quello dello Yemen è un conflitto che si svolge nel completo disprezzo del diritto internazionale umanitario. In un rapporto diffuso il mese scorso, Amnesty International ha documentato le gravissime conseguenze dei bombardamenti della coalizione a guida saudita contro zone residenziali densamente abitate e degli attacchi da terra, indiscriminati e sproporzionati, compiuti dalle forze pro-houti e da quelle anti-houti. Riteniamo che queste azioni militari, che hanno fatto più di 4mila morti di cui circa la metà tra i civili, costituiscano dei crimini di guerra e per questo, insieme ad altre ventidue organizzazioni non governative per i diritti umani abbiamo sollecitato il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC) ad istituire, nella sua 30esima sessione in programma a settembre, una commissione d’inchiesta al fine di indagare, in modo indipendente e imparziale, sulle gravi violazioni del diritto umanitario commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto. Già ad aprile, l’Alto commissario Onu per i diritti umani aveva infatti espresso grande preoccupazione per “gli attacchi indiscriminati e sproporzionati contro zone densamente popolate” e aveva sollecitato “indagini urgenti”.

Azioni militari che si stanno svolgendo anche con armamenti italiani. L’Osservatorio Opal di Brescia insieme con l’agenzia Reported.ly, ha segnalato la presenza di materiale bellico italiano nel conflitto. Che tipo di armi sono?

Giorgio Beretta (Analista dell’Osservatorio OPAL di Brescia)
L’Italia negli ultimi anni ha inviato ai paesi del Medio Oriente numerosi sistemi militari e soprattutto a due paesi militarmente impegnati nel conflitto in Yemen, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Tra gli armamenti inviati alle forze armate della coalizione saudita figurano anche bombe aeronautiche: ho ricostruito queste esportazioni in dettaglio in uno studio per OPAL (si veda qui, in pdf). Si tratta di esportazioni per oltre 100 milioni di euro e particolarmente rilevante è un’autorizzazione all’esportazione dall’Italia nel 2013 relativa a 3.650 bombe da mille libbre MK83 attive della RWM Italia per un valore di oltre 62 milioni di euro per l’Arabia Saudita. Inoltre, lo scorso maggio sono state esportate dall’Italia agli Emirati Arabi Uniti “armi e munizioni” (tra cui bombe) per un valore di oltre 21 milioni di euro. Da diverse associazioni presenti in Yemen sappiano che ordigni inesplosi del tipo di quelli inviati dall’Italia all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, come le bombe MK84 e Blu109, sono stati ritrovati in varie città bombardate dalla coalizione saudita ed è quindi altamente probabile che questa coalizione stia impiegando anche bombe inviate dal nostro paese. Nonostante l’aggravarsi del conflitto in Yemen non ci risulta però che il governo italiano abbia sospeso l’invio di sistemi militari alla coalizione saudita.

Eppure la legge italiana vieterebbe l’esportazione di armi e sistemi militari “verso i Paesi in stato di conflitto armato”. Come è possibile che armamenti italiani finiscano in teatri di guerra?

Francesco Vignarca (Coordinatore della Rete italiana per il disarmo)
Innanzitutto va detto che la legge italiana n. 185 del 1990 sulle esportazioni di armamenti, nonostante sia tra le più restrittive, lascia al governo ampi spazi di discrezionalità e di valutazione su tutta questa materia. Inoltre, alcune recenti modifiche legislative hanno trasferito il coordinamento decisionale dalla Presidenza del Consiglio ad un ufficio del Ministero degli Esteri che fa parte della “Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese” (DGSP) evidenziando una tendenza a promuovere le esportazioni di sistemi militari anche se queste hanno come destinatari paesi governati da regimi autoritari o zone di forte conflitto: lo abbiamo segnalato in un una conferenza stampa alla Camera (qui il video, qui il comunicato stampa) e con uno specifica infografica curata dall’Osservatorio OPAL (qui in .pdf). Ma soprattutto va rilevata la progressiva erosione di informazioni ufficiali tanto che, a differenza di qualche anno fa, le ultime Relazioni governative non permettono più di conoscere le specifiche esportazioni dall’Italia di sistemi militari: per questo abbiamo chiesto al Governo Renzi di ripristinare la piena trasparenza e al Parlamento di riprendere ad esercitare i dovuti controlli su tutta questa materia.

Per quanto riguarda il conflitto in Yemen cosa chiedete al Governo e al Parlamento italiano?

Francesco Vignarca (Coordinatore della Rete italiana per il disarmo)
La nostra prima richiesta al Governo è quella di sostenere in sede internazionale la richiesta di Amnesty International perché venga presto istituita una commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto umanitario commesse nel conflitto in Yemen. Inoltre, considerati gli effetti devastanti sulla popolazione dei bombardamenti della coalizione saudita sulle aree civili, riteniamo che l’Italia debba subito sospendere l’invio di mezzi e munizionamento militare a tutte le forze armate attivamente impegnate nel conflitto in Yemen e di promuovere una simile iniziativa in sede europea. Abbiamo quindi chiesto a tutti i gruppi parlamentari di appoggiare queste nostre richieste con specifiche iniziative e interrogazioni parlamentari.