“Il mio mondo è mia sorella ricoverata in questo schifo di ospedale. Cosa dovevo votare? Leave! Così invece di versare 350 milioni di sterline alla settimana a Bruxelles, daremo letti e coperte decenti a chi deve farsi curare.” Vanessa Stevenson, cittadina di Hillingdon, ovest di Londra, dopo il referendum che ha deciso l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
“Chi immagina un’Europa guarita e in piena salute non può far finta di niente nei confronti degli eurosprechi.”
Roberto Ippolito
Come sempre documentatissimo, Roberto Ippolito, nel suo ultimo libro, fa venire alla luce e rende di dominio pubblico sprechi miliardari spaventosi dell’Unione Europea: autostrade con poche auto nonostante immani investimenti, aeroporti nuovi eppure deserti, tonno pagato sei volte di più, dipendenti gratificati da un’indennità extra anche se malati, la proliferazione di enti perfino con nomi simili, la media di un immobile su cinque al mondo non adoperato. E poi errori che inficiano il 4,4 per cento di tutti i pagamenti. Eurosprechi mette nero su bianco che, così com’è, l’Unione non funziona, è un sogno rovinato. Fa rabbia che la casa comune, creata per assicurare una vita migliore ai suoi cittadini, butti via con i soldi se stessa. Dagli innumerevoli episodi raccontati dettagliatamente emerge un’Europa che annaspa nelle piccole convenienze quotidiane con grandi costi. Ci sono sperperi senza fine che nessuno potrebbe mai neanche immaginare. Con un paradosso: il deficit di bilancio balza al 4,8 per cento, molto oltre il tetto di Maastricht. Chi crede nell’Unione Europea non può chiudere gli occhi, non deve: gli eurosprechi sono troppi e troppo abbondanti. Gli europeisti sono davvero impegnati per togliere pretesti all’azione disgregatrice? L’Unione può superare le resistenze e crescere se, oltre a ritrovare la forza dello slancio ideale e una visione solidale, affronta adeguatamente la questione dei soldi. Gli eurosprechi sono un macigno sulla strada di chi vuole gridare ancora: “Viva l’Europa”.
L’Autore
Roberto Ippolito, scrittore e giornalista, ha pubblicato con Chiarelettere i libri di successo “Ignoranti” (2013) e “Abusivi” (2014). In precedenza ha firmato “Evasori” (Bompiani 2008) e “Il Bel Paese maltrattato” (Bompiani 2010). Ha diretto a Roma “Libri al centro” a Cinecittà, “conPasolini”, “Nel baule” al Maxxi; a Ragusa, il festival letterario “A tutto volume”. È stato editor del “Festival dell’economia” di Trento e ha ideato il “Tour del Brutto dell’Appia Antica”. Dopo aver curato a lungo l’economia per il quotidiano “La Stampa”, è stato direttore comunicazione di Confindustria e direttore relazioni esterne dell’Università Luiss, dove ha anche insegnato “Imprese e concorrenza” alla Scuola superiore di giornalismo.
Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo un estratto del libro.
L’Unione Europea non va di moda. Va di moda attaccarla, denigrarla, ritenerla la causa di tutti i mali. Fonte di sventure, di impoverimento, di ingiustizie. Per quello che fa e anche per quello che non fa. Eppure l’Europa è qualcosa di unico al mondo. Ma quale Europa? Questo libro fa venire alla luce e rende di dominio pubblico sprechi miliardari spaventosi. Mette nero su bianco che, così com’è, l’Unione non funziona, è un sogno rovinato. Già prima della Brexit, l’addio della Gran Bretagna alle istituzioni comuni deciso con il referendum del 23 giugno 2016, l’Unione era malata. Dopo quel giorno incredibile tutto è diventato più incerto. Il domani per l’Europa ci può essere, se l’Europa cambia. Sapere è più prezioso che mai. Fa rabbia che l’Unione, creata per assicurare una vita migliore ai suoi cittadini, butti via con i soldi se stessa. Dov’è la politica che costruisce? Dove sono i progetti che fanno progredire? Dov’è l’attenta valutazione del beneficio di ogni euro impiegato? Episodio per episodio emerge un’Europa che annaspa nelle piccole convenienze quotidiane con grandi costi. Ci sono sperperi senza fine che nessuno potrebbe mai neanche immaginare. E pensare che il tema dei costi dell’Unione ha già un grande impatto sulla gente, ha pesato nella vittoria del leave, l’abbandono dell’Unione da parte del Regno Unito, e fornisce legna agli incendiari leader populisti e anti-immigrati che infiammano l’Europa. Per rendersene conto potrebbero bastare le opinioni degli abitanti di Hillingdon, il quartiere a ovest di Londra dove il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, l’Ukip di Nigel Farage, ha pilotato il grosso successo della Brexit respinta invece praticamente in tutta la capitale inglese. 1 Con lo scrutinio alle ultime battute, lasciando l’ospedale di Hillingdon all’alba, una votante, Vanessa Stevenson, ha sfoderato in chiave personale tutto il suo rancore anti-Ue: «Il mio mondo è mia sorella ricoverata in questo schifo di posto. Sporco, senza infermieri, tenuto come un garage. Cosa dovevo votare? Leave! Così invece di versare 350 milioni di sterline alla settimana a Bruxelles, daremo letti e coperte decenti a chi deve farsi curare qui». Vanessa Stevenson ha semplificato troppo? Ha mischiato le conseguenze delle politiche locali con quelle europee? Si è sentita appagata dall’aver individuato e messo ko chi ha identificato come il nemico? La sua irritazione sembra la sintesi privata della diffusa avversione per l’Europa. Nove giorni prima del voto, il vendutissimo quotidiano conservatore inglese «The Sun», impegnato a tirare la volata alla Brexit e alle sue motivazioni, ha scritto che, nei «nostri 43 anni nell’Unione Europea», Bruxelles «si è dimostrata sempre più avida, sprecona, tirannica e incredibilmente incompetente in una crisi». 2 I giudizi all’origine della Brexit sul cattivo governo dell’Unione, fondati e non, si ritrovano diffusi nei paesi membri, da est a ovest, da nord a sud, tra paure, arroccamenti e propaganda. Travolgono le istituzioni comuni a prescindere, sovrapponendole alle politiche adottate, anche se le politiche possono essere differenti in rapporto ai risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo, agli orientamenti e alla composizione della Commissione europea, al colore e agli atteggiamenti dei governi nazionali. Nei singoli stati c’è chi strilla, chi esagera, chi sbatte la porta e chi vorrebbe sbatterla. Ma i problemi esistono. Gli eurosprechi esistono. E neanche pochi. Infatti nelle pagine che seguono il lettore troverà vicende e importi scaturiti da ricerche, davvero infinite, cioè qualcosa di estremamente concreto ed estremamente negativo. Questo libro rivela quanto e come si sperpera, offendendo perfino il comune senso del pudore (economico). Dilapidare i soldi dell’Unione, facendola funzionare male, mette in pericolo addirittura la sua sopravvivenza. E dunque guardare in faccia lo stato delle cose, passare al setaccio i comportamenti significa essere consapevoli della svolta necessaria, nella lunga stagione di stallo del processo di integrazione. Sono innumerevoli e gravi i casi trovati di sperpero di soldi dei cittadini, soldi spesso buttati via senza logica, senza progetti, senza controlli, senza badare ai risultati ma con gli eccessi della burocrazia. Sciupare montagne di euro mina la fiducia nei confronti delle attuali istituzioni. Riduce la passione e l’interesse della gente anche per il loro rafforzamento. L’uso distorto delle risorse a Bruxelles e nei posti più disparati del continente è uno sgambetto sul cammino dell’unificazione, ostacola le azioni comuni su fronti caldi come la sicurezza o le difficoltà dell’economia e offre argomenti, facili ma forti, agli avversari dell’Unione. I costi dell’Europa sono il carburante dell’avanzata antieuropeista. L’operazione trasparenza dei conti, al contrario, può costituire una carta decisiva da giocare per chi vuole rilanciare la costruzione europea, oggi ferma e con il futuro appannato da pesanti incertezze. Questo libro è stato concepito in seguito a una constatazione elementare: finora nessuno si è preso la briga di studiare i conti dell’Unione e di descrivere che fine fanno veramente piccole e grandi somme. Sempre pronta a rimproverare, bocciare e mettere in castigo, anche giustamente, i governi dei paesi membri (ventisette senza la Gran Bretagna), la Commissione europea, presieduta dal lussemburghese Jean-Claude Juncker dall’1 novembre 2014 e nei dieci anni precedenti dal portoghese José Barroso, 3 non sembra guardare con uguale severità in casa propria. E pensare che il rigore, il tanto discusso rigore, è la sua bandiera, quella del Partito popolare europeo maggioritario nel Parlamento Europeo e della cancelliera tedesca Angela Merkel. L’esigenza di serietà nelle politiche economiche di ogni stato, per soddisfare l’interesse generale, è stata sostenuta in modo anche oltranzistico. È storia. Nonostante questo, ben altra cosa sono i fatti che avvengono nella casa comune. Nell’orbita dei ventotto commissari, tra direzioni, agenzie e segrete stanze, ne accadono di tutti i colori. Per tutte le scoperte raccontate, ci sono le pezze d’appoggio e sono indicate le fonti. Non si tratta di opinioni. Un grosso lavoro di accertamento e verifica viene compiuto dalla Corte dei conti europea, che ha sede a Lussemburgo. La Corte punta ripetutamente il dito sull’uso anomalo o sbagliato del denaro dei contribuenti. I suoi giudizi sono importanti anche se non vincolanti e dovrebbero pesare visto il compito, affidato dal Trattato di Bruxelles del 1975, di controllare la regolarità delle entrate e delle spese dell’Unione Europea e la correttezza della gestione finanziaria. 4 Invece per le sue relazioni e per i suoi ammonimenti il disinteresse sembra sistematico. Queste pagine sono state realizzate guardando in tutte le direzioni, ma più di cento documenti della Corte spulciati e studiati rappresentano la base fondamentale essendo ufficiali e il frutto dell’analisi delle spese effettuate e delle decisioni prese, dei contratti stipulati e delle pratiche svolte nonché dei sopralluoghi e dei colloqui con valore formale. All’ombra del presidente francese François Hollande o del presidente del consiglio italiano Matteo Renzi o della Merkel e dei governanti di tutti i paesi membri, miliardi e miliardi di euro vengono dissipati ogni anno. Sì, miliardi. Un bel po’ di miliardi. Se si continua così, il disfacimento di tutta l’Unione è inevitabile. Altro che Brexit. Chi crede nell’Unione Europea non può chiudere gli occhi sulla questione quattrini, non deve: gli eurosprechi sono troppi e troppo abbondanti. Chi impiega il denaro dei cittadini ha il dovere di preoccuparsi. Direzione per direzione, ente per ente, ufficio per ufficio, il portafoglio può essere aperto con maggiore oculatezza e maggiori benefici. E il sogno dell’Unione può essere coltivato, per un grande disegno solidale ancora più forte e per il benessere dei suoi abitanti, 450 milioni una volta salutati quelli al di là della Manica. Chi non vuole veder scendere ancora questo numero e immagina un’Europa guarita e in piena salute non può far finta di niente nei confronti degli eurosprechi. Il viaggio negli sperperi del Vecchio Continente, dunque, ora può cominciare.
Pagamenti bocciati
Alcuni hanno persino tratto vantaggio dallo scompaginamento dell’Europa. L’Ue però non figura tra i beneficiari. Jan Zielonka 20145
Anche lui è preoccupato. Il portoghese Vítor Manuel da Silva Caldeira cammina pensieroso. È per strada a Strasburgo, diretto al Parlamento Europeo. In qualità di presidente della Corte dei conti europea, la mattina di giovedì 26 novembre 2015, non può sottrarsi al suo compito, anche se sgradevole: certificare, numeri alla mano, che l’Unione Europea butta via i soldi con una facilità estrema. E così, nella seduta plenaria del Parlamento, illustrandomla relazione sul bilancio del 2014 dell’Unione 6 presentata al termine dell’analisi dei conti, pronuncia il verdetto che non potrebbe essere più severo: «Troppe spese non sono ancora conformi alle norme finanziarie dell’Ue» sono le sue parole che rimbalzano nell’aula. 7 L’intervento dura pochi minuti, in un clima gelido. Non ci sarebbe da aggiungere altro per descrivere l’inesorabile dissipazione di soldi e quindi di opportunità. Questa è l’Europa. Oggi. Il discorso di Caldeira ai deputati non può che essere una rapida sintesi dei giudizi e dei fatti contenuti nella relazione sul bilancio che occupa 320 pagine della «Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea». 8 Più che sufficiente, però, per mostrare il panorama tutt’altro che limpido. Il presidente della Corte dei conti europea sente infatti il bisogno di lanciare un avvertimento: «La gestione finanziaria dell’Ue trarrebbe grande beneficio da una maggiore trasparenza. Ciò è fondamentale per ottenere la fiducia dei cittadini». Caldeira fa suonare l’allarme: «A giudizio della Corte, le risorse di bilancio dell’Ue potrebbero essere investite meglio e più rapidamente per affrontare le molte sfide cui l’Europa è confrontata». Troppe spese non conformi vuol dire troppi soldi spesi male. La Corte dei conti europea calcola errori nei pagamenti del 2014 pari al 4,4 per cento di tutte le uscite. I soli errori incidono per 6,3 miliardi di euro su un bilancio complessivo di 142,5 miliardi. La cifra è enorme dopo le cifre immense già registrate per i due anni precedenti. Il livello di errore stimato, che misura il livello di irregolarità, infatti, è praticamente lo stesso di quello del 2013 e del 2012, quando è stato del 4,5 per cento. Ancora una volta si colloca al di sopra della soglia di rilevanza del 2 per cento nonostante le azioni correttive disposte. Il 4,4 per cento deriva dalle verifiche che sono state compiute su un esteso campione, che copre tutti i settori di spesa. La realtà, però, è anche peggio. All’esito del grosso lavoro di accertamento svolto ad ampio raggio bisogna aggiungere i molti errori che la stessa Corte dichiara di non essere in grado di quantificare, «quali le violazioni minori di norme in materia di appalti, l’inosservanza di norme in materia di pubblicità o il recepimento non corretto di direttive dell’Ue nella legislazione nazionale». Questi altri errori «non sono inclusi nel tasso» stimato dalla Corte che, pertanto, dovrebbe essere più elevato.9
Roberto Ippolito, EUROSPRECHI. Tutti i soldi che l’Unione butta via a nostra insaputa, Chiarelettere, Milano 2016. Pagg. 160, 13 euro
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