Il Vocabolario di Papa Francesco, 50 voci per capire il suo pontificato

Vocabolario di Papa Francesco

Cosa ci sta dicendo Papa Francesco? A questa domanda, apparentemente presuntuosa e quasi blasfema per il Pontefice che tutti indicano come ‘mago della comunicazione’ e che punta molto sulla forza esplosiva del gesto e della testimonianza, prova a rispondere il secondo ‘Vocabolario di Papa Francesco’ pubblicato da Elledici e curato da Antonio Carriero. E’ un libro particolare per almeno due motivi: perché lo si può leggere come un vocabolario, scomponendo e ricomponendo un ordine di parole, e perché , un po’ come nelle opere enciclopediche degli illuministi, ognuna delle 50 voci è affidata ad un autore diverso, a scrittori e giornalisti che seguono il Santo Padre. Il Papa dei gesti, che sale in aereo con la valigia, che si muove su un’utilitaria, che vive a Santa Marta e festeggia gli 80 anni facendo colazione con 8 barboni di Roma, che vuole sacerdoti che ‘conoscono l’odore delle loro pecore’, cosa dice quando parla?
Per capire le sue parole, spiegano il rabbino Abraham Skorka e il pastore evangelico Marcelo Figueroa, bisogna entrare nella sua logica di dialogo, confronto, apertura, più che in un’ottica di indottrinamento ex cathedra. E’ il suo uno sforzo maieutico che non ha paura di sfidare le convenzioni e le tradizioni, che non guarda all’incasso immediato ma investe nel futuro e si spinge fino ai confini che può raggiungere l’erede di Pietro.
Confini che a qualcuno, anzi, sembrano già pericolosamente valicati, come dimostrano – per restare agli ultimi tempi – un altro libro molto interessante, quello di Aldo Maria Valli (266.Jorge Mario Bergoglio. Franciscus P.P Liberlibri, 2016) e la lettera dei cardinali Brandmueller, Burke, Caffarra e Meisner al Pontefice dopo la Amoris Laetitia e il sinodo sulla famiglia.
Dunque, il Papa al quale alcuni chiedono se è davvero cristiano, vuole, per dirla con l’arcivescovo di Manila Antonio Tegle “comunicare con tutti, senza esclusione”, “non spezzare mai la relazione e la comunicazione”, “generare una prossimità che si prenda cura” ( Il decalogo del buon comunicatore secondo Papa Francesco, Alessandro Gisotti, Elledici, 2016).

Sì, ma questo Papa che si concede ai selfie, che piace ai divorziati e ai gay, agli ambientalisti e perfino ai vegani, non riceve troppi applausi? Non è, da buon gesuita, troppo innamorato del mondo? Troppo poco rigoroso nel separare il Bene dal Male? Alla voce ‘Peccato’, Matteo Liut ci ricorda che per Francesco chi “ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità”. Per il Papa il peccato individuale introduce un elemento di degenerazione nella società. “Insomma – scrive Liut – la verità è un bene irrinunciabile che illumina e guida la realtà concreta”. Ma il punto è che per Papa Francesco una delle verità più importanti del Vangelo è che “Dio è più grande del peccato”. Questa è la bussola di Bergoglio anche nel governo della Chiesa che, spiega Andrea Tornelli alla voce ‘Chiesa’, “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con la misericordia di Dio”. Un’altra parola del Vocabolario, ‘Carrierismo’, di Pierluigi Mele, svela come per Francesco l’egoismo e la degenerazione dell’ambizione nel conformismo e nell’opportunismo “camminano insieme alla malattia dell’indifferenza verso gli altri”. “I recenti scandali della Chiesa sono frutto di questa logica antievangelica”. Da qui la durezza di Francesco “contro i vescovi che vivono come faraoni” e che non testimoniano la diversità del Vangelo “in un mondo dove ciascuno si pensa come la misura del tutto” e “dove non c’è più spazio per il fratello”. Nell’era della comunicazione immediata globale, dei risultati a portata di click, dei capitali senza limiti d’azione e senza confini, Papa Francesco invita a diffidare delle scorciatoie. Anche nella Fede, con la trasformazione di Maria in “capoufficio delle Poste che invia messaggi tutti i giorni”. E’ la pazienza, spiega Enzo Romeo, “l’altra faccia della misericordia, anzi la base su cui poggia”.

Altre voci del Vocabolario aiutano nella comprensione della portata della svolta impressa dal Pontificato di Francesco. Che talvolta nei telegiornali, sui giornali, perfino su Twitter ormai, sembra flirtare con il mondo così secolarizzato, lontano dall’ideale evangelico, con il relativismo che abbraccia eutanasia, aborto, maternità surrogata. E’ Francesco il Papa di una Chiesa del ‘ma anche’ che rischia, sporcandosi con la storia quotidiana, di dimenticare la Storia, la missione senza tempo del suo messaggio evangelico necessariamente netto, deciso sui ‘valori irrinunciabili’ richiamati con maggior ortodossia teologica da Papa Benedetto secondo Giuliano Ferrara?
Non servirebbero, insomma, altre parole da un Papa?
Francesco, ricorda alla voce ‘Umanesimo’ Chiara Giaccardi, continua a guardare al volto di Gesù. “Perché quello che Gesù ci mostra è un Dio ‘svuotato’: ‘Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda…Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. E quindi non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto”. (Paolo Cappelli)

IL VOCABOLARIO DI PAPA FRANCESCO – 2

Parole profetiche per il nostro tempo

A cura di Antonio Carriero

Presentazione di Greg Burke

Prefazione di Mons. Nunzio Galantino

Postfazione di Mons. Domenico Pompili

(Editrice Elledici – Pagine 350 – € 9,90)

La Cyber-war Usa-Russia è la nuova “guerra fredda”. Intervista ad Antonino Caffo

Se non è la prima cyber-guerra mondiale poco ci manca. Dopo l’espulsione di 35 diplomatici russi (e relativi famigliari) da parte di Obama, le tensioni tra USA e Russia aumentano vertiginosamente. Per la prima volta la partita tra le due superpotenze si sta giocando prettamente a livello digitale: nessuna città da conquistare, nemmeno un carro armato puntato sul nemico; il campo di battaglia è quello di server e infrastrutture connesse che, se violate, possono fare più male di quanto si pensi.

La storia è questa: Obama ha tutte le prove per ammettere come il Federal Security Service of the Russian Federation (FSB) alimenta le azioni di “Cozy Bear”, un gruppo di hacker conosciuto per diverse bravate e molto attivo nel cercare di violare i computer del comitato elettorale dei democratici USA nel 2015. Democratic National Committee (DNC) che è effettivamente caduto sotto i colpi di un altro team di smanettoni, i “Fancy Bear”, dietro i quali ci sarebbe un ulteriore organo di Mosca, il GRU, ovvero il “Main Intelligence Directorate”.

Insomma, il burattinaio Putin muoverebbe questi e altre squadre di cyber-militari, con lo scopo di pilotare e influenzare non solo la politica statunitense ma quella di tanti altri paesi esteri. Il motivo? Posizionare sulle poltrone della politica personaggi vicini all’idea di governo del Cremlino, per creare un filo conduttore globale. La prima mossa? Già compiuta: far eleggere Donald Trump. Ma come è stato possibile? Abbiamo posto qualche domanda ad Antonino Caffo, giornalista esperto di nuove tecnologie e sicurezza informatica.

Caffo, come è possibile pilotare il voto di milioni di persone della nazione più potente al mondo?

Bisognerebbe chiarire un particolare: gli hacker russi, o chi per essi, non hanno cambiato le preferenze di voto espresse dagli americani. Le elezioni presidenziali USA non si fondano su un sistema connesso a internet (come ad esempio quello estone) e probabilmente rimarrà così ancora per molto, vista la paura di interferenze dall’esterno. L’influenza russa sull’elezione di Trump è dunque indiretta, cioè ha puntato sul rubare informazioni al partito avversario da sfruttare per infangare la corsa degli opponenti, fino a spingere i cittadini a votare il meno peggio. La stessa diffusione delle email scambiate dalla Clinton tramite un server privato, negli anni in cui ricopriva il ruolo di segretario di Stato, è avvenuta per mezzo di WikiLeaks ma, ed è oggetto di verifica attualmente, grazie all’operato di Fancy Bear e dunque di Mosca. Agire in questo modo può portare a risultati molto più stabili sul lungo periodo piuttosto che intervenire, se mai fosse stato possibile, esplicitamente sul voto.

Di cosa sono accusati i diplomatici espulsi da Obama?

La denuncia è quella di aver lavorato, dall’interno dei loro uffici statunitensi, come spie a supporto del paese di origine. In pratica, i 35 diplomatici sono accusati di essere insider del governo, per raccogliere informazioni sugli obiettivi, semplificare le procedure di violazione e coordinare le operazioni di addestramento degli hacker. Non a caso, a corredo della decisione di Obama, sono stati chiusi due centri di proprietà del governo russo a New York e nel Maryland, secondo Washington usati come basi di comando e monitoraggio e connesse all’ “Autonomous Non- Commercial Organization Professional Association of Designer of Data Processing Systems”, una sorta di palestra messa in piedi dai funzionari per tirar su novelli hacker.

Dunque l’attacco informatico è l’arma letale della nuova guerra fredda? Può colpire infrastrutture strategiche?

Si assolutamente. Gli ultimi anni hanno evidenziato una debolezza informatica imbarazzante di strutture e centrali che offrono servizi primari a migliaia di nuclei famigliari localmente. Pensiamo a quanto successo il 24 dicembre 2015 in Ucraina, dove il malware “Black Energy” ha messo al tappeto una centrale elettrica, oppure a qualche giorno fa, quando gli stessi hacker russi si sono intrufolati in una rete energetica del Vermont. Ma gli esempi sono tanti: dalla manomissione della rete metropolitana di San Francisco ai disagi avvenuti all’aeroporto di Varsavia. Di mezzo ci sono sempre gli hacker, spesso manipolati da interi governi che li sostengono economicamente. Gli USA non sono solo vittime: il primo virus governativo della storia, Stuxnet, è stato sviluppato proprio da esperti statunitensi in collaborazione con i colleghi di Israele, con lo scopo di spiare la centrale di arricchimento di uranio di Natanz, in Iran.

Quali sono stati, durante il 2016, i più clamorosi attacchi informatici? L’Italia ne ha subito qualcuno?

Ricordiamo il DDoS ai danni di DYN, azienda che gestisce gli indirizzi DNS di numerose piattaforme globali, come Twitter e PayPal. A seguito dell’attacco siti e applicazioni, tra cui anche Netflix, Airbnb, Reddit, SoundCloud, sono diventate irraggiungibili per diverse ore, con danni economici mica da ridere. Ma anche la scoperta delle violazioni subite nel 2013 e 2014 da Yahoo (diffuse solo nel 2016) e il furto di 81 milioni di dollari dalla banca centrale del Bangladesh. A fine novembre, il sito di Equitalia ha subito un attacco hacker che ha causato disservizi prolungati senza evidenti conseguenze per gli utenti registrati. La sensazione è che la politica italiana non sia depositaria di quei segreti in grado di sconvolgere gli equilibri internazionali ma questo non vuol dire essere la sicuro. La cyberwar dimostra che ogni cittadino della rete è un ipotetico bersaglio da colpire, utile per destabilizzare l’obiettivo di turno.