Per la prima volta le prove dell’attentato nella ricostruzione del magistrato che ha condotto l’inchiesta. Un libro di Chiarelettere.
“Nonostante siano passati tanti anni a qualcuno la verità dà ancora fastidio…
Tutto chiaro fin dal primo momento, tutto incerto, coperto, inconfessato, depistato per i decenni a venire.” (Giorgio Bocca)
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IL LIBRO
Sono passati oltre cinquant’anni da quel 27 ottobre 1962, quando l’aereo su cui viaggiava Enrico Mattei precipitò nella campagna pavese. Cinquant’anni di omissioni, bugie, depistaggi di Stato che hanno visto anche la stampa in gran parte schierata a confondere fatti e prove anziché contribuire a cercare la verità, così come dimostra questo libro, secondo la drammatica ricostruzione di Sabrina Pisu e del pm Vincenzo Calia, titolare dell’inchiesta avviata nel 1994 e conclusa
nel 2003.
Non si trattò di un “tragico incidente”, fu “un omicidio deliberato”, qualcuno sabotò l’aereo che precipitò in seguito a un’esplosione. Calia offre un quadro completo dei motivi per cui molti volevano fermare Mattei. Le ipotesi costruite su una documentazione vastissima, raccolta in anni di ricerche, sono rivelatrici.
Come scriveva Bocca, “la verità dà ancora fastidio”, troppi gli interessi in gioco. Il giornalista Mauro De Mauro, sollecitato dal regista Francesco Rosi a collaborare alla lavorazione del film “Il caso Mattei”, scomparve nel nulla subito prima delle rivelazioni che si apprestava a fare. Chi nel tempo provò a indagare sulla sua morte fu ucciso: il commissario Boris Giuliano, il pm Pietro Scaglione, il generale Dalla Chiesa, il colonnello Ninni Russo, il giudice Terranova. Anche Pasolini, che stava scrivendo il romanzo “Petrolio” con protagonista il successore di Mattei, Eugenio Cefis, fu ammazzato. Vite sacrificate per servire lo Stato e che lo Stato, incapace di processare se stesso, non ha difeso.
GLI AUTORI
Vincenzo Calia, magistrato, ha lavorato in procura a Pavia e come pm ha condotto la terza inchiesta sulla morte di Mattei. Attualmente è sostituto procuratore generale a Milano.
Sabrina Pisu, giornalista e inviata, lavora per Euronews, canale internazionale all news con sede a Lione. Con Alessandro Zardetto ha scritto il libro “L’Aquila 2010, il miracolo che non c’è” (Castelvecchi).
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto del libro
Questo libro
di Sabrina Pisu
La storia di Enrico Mattei finisce, come ha scritto Enzo Biagi, «in cinque secondi, sommersi dal silenzio e dal buio, il 27 ottobre 1962, a Bascapè di Pavia». L’inchiesta della Procura di Pavia, avviata nel 1994, chiusa nel 2003 e poi archiviata nel 2005, ha stabilito che il velivolo Morane Saulnier della Snam partito dall’aeroporto di Catania, su cui viaggiava il presidente dell’Eni, è stato sabotato. Fu una bomba a mettere Mattei fuori gioco per sempre: oltre alla procura pavese, con l’indagine del pm Vincenzo Calia, lo ha stabilito, in seguito, la Corte d’assise di Palermo nel procedimento sulla scomparsa di Mauro De Mauro. Il processo sul sequestro del giornalista de «L’Ora», avvenuto il 16 settembre 1970 e il cui corpo non fu mai ritrovato, è stato riaperto, infatti, nel 2003, quando il pm Calia ha trasmesso copia degli atti dell’inchiesta su Mattei alla procura del capoluogo siciliano, intravedendo un legame tra l’uccisione del presidente dell’Ente nazionale idrocarburi e la scomparsa del cronista. De Mauro è finito nel nulla proprio mentre stava indagando sulle ultime ore trascorse in Sicilia dal numero uno dell’Eni, incaricato dal regista Francesco Rosi, che stava lavorando a sua volta al film Il caso Mattei. La Corte d’assise di Palermo, con la sentenza del 10 giugno 2011, confermata in appello, ha assolto Totò Riina, l’unico imputato ancora in vita, per non aver commesso il fatto ma, dopo aver ripercorso in modo minuzioso le indagini svolte a Pavia, ha giudicato «acclarata, a onta del tempo trascorso dalla consumazione del delitto, la natura dolosa delle cause che determinarono la caduta dell’I-Snap», ritenendo «che la conclusione rassegnata dalla procura pavese sia pienamente condivisibile, in quanto suffragata da un compendio davvero imponente di prove testimoniali, documentali e tecnico-scientifiche».
Nonostante i due accertamenti giudiziari, sono ancora in molti a ritenere che si sia trattato di un «incidente» o che «sul sabotaggio restano ancora dubbi». L’ultimo in ordine di tempo è stato Paolo Mieli nel corso della prima puntata di Mille lire al mese. Storie di uomini che hanno fatto grande l’Italia (Andata in onda il 14 marzo 2016 su Orizzonti Tv), in cui, parlando di Mattei, ha sostenuto: «L’incidente di Bascapè, non sappiamo neanche se si possa chiamare incidente o non fu un attentato, toglie di mezzo Mattei nel 1962 quando è ancora nel pieno delle sue forze e sta dispiegando la sua politica. È un danno terribile per l’Eni, per l’Agip e per l’intera economia italiana e anche per la politica italiana». Anche in occasione del centodecimo anniversario della nascita del suo fondatore, l’Eni, in un comunicato ufficiale diramato e ripreso dalle agenzie di stampa, ha continuato a definire «misteriosa» la morte di Mattei, ignorando completamente gli accertamenti giudiziari. La stessa Ansa ha rilanciato il comunicato scrivendo: «Il 27 ottobre 1962 muore in un misterioso incidente aereo in provincia di Pavia. Le autorità giudiziarie non hanno mai stabilito se si trattasse di morte accidentale o omicidio». Mattei è stato ucciso e non è stato vittima di un incidente aereo, non si conoscono i nomi dei colpevoli, una verità completa non c’è, almeno in via giudiziaria, ma ci sono sufficienti elementi per definire gli scenari e i fantasmi che aleggiano sul suo cadavere. Il dibattito storico non può e non deve essere archiviato come un caso giudiziario, perché l’attentato all’allora capo dell’ente apre un periodo nero per l’Italia, oscuro come il petrolio: nel 1969 c’è piazza Fontana, l’anno dopo, il 16 settembre, un’automobile preleva, appunto, Mauro De Mauro sotto la sua abitazione fagocitandolo in una Palermo che non lo restituirà mai. Nel 1975 a essere ucciso è Pier Paolo Pasolini: sul suo corpo, massacrato nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 e trovato senza vita alle prime luci dell’alba, adagiato sulla spiaggia di Ostia, si è tentato di mascherare la verità. E cinque anni dopo, il 2 agosto 1980, una deflagrazione nella sala d’aspet to della stazione ferroviaria di Bologna ferma per sempre l’orologio alle 10.25 del mattino e con esso la vita di ottantacinque persone. Una lunga scia di sangue, silenzio e menzogne, da parte di uomini spesso appartenenti a uno Stato non in grado di processare, quando necessario, parti di se stesso.
Processo al silenzio
Il libro indaga e ricostruisce un aspetto ancora inedito della vicenda giudiziaria legata al caso Mattei, un lungo e sistematico sabotaggio della verità: i depistaggi intentati subito dopo l’incidente, durante le indagini in maniera «indiretta» e anche in seguito, quando, a verità accertata dalla Procura di Pavia sulla natura dolosa dell’accaduto, si è continuato a parlare di incidente; la stampa italiana ha schierato una parte delle sue migliori (e anche insospettabili) penne per evitare che venisse fuori una verità diversa dalla versione ufficiale o anche solo per scongiurare che qualunque tipo di ombra si allungasse sulle cause della morte di Mattei e si facesse luce sui mandanti. La parola «bomba» non piace innanzitutto all’Eni, ieri come oggi; nella pagina web ufficiale dell’ente, dedicata a Enrico Mattei, la sua biografia termina così: «Il 27 ottobre 1962 il suo aereo proveniente da Catania e diretto a Linate precipita a Bascapè (Pavia). Muoiono il presidente dell’Eni, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale». «Gli aerei non precipitano senza un motivo» scriveva Giorgio Bocca parlando sempre dell’episodio. La verità, infatti, passa anche attraverso la scelta delle parole giuste, scelta basata sulla reale conoscenza dei fatti. Tullio De Mauro, il 12 giugno 2011, in un’intervista rilasciata al «Corriere della Sera» ammonisce il quotidiano stesso: «Suggerirei caldamente in futuro di non scrivere mai più “tragico incidente” parlando di Mattei. Sarebbe una pia finzione. Fu omicidio deliberato. Questa è la corretta definizione». Indignazione per i continui lapsus della stampa viene anche dimostrata dalla nipote del presidente dell’Eni, Elisabetta Mattei, che scrive una lettera al quotidiano di via Solferino, pubblicata nello spazio interventi e repliche del 16 giugno 2011. «Come il “Corriere” può parlare di “morte misteriosa” del presidente dell’Eni? Misteriosi sono i mandanti dell’attentato, non la morte. O scrivere “l’incidente le cui cause non furono mai chiarite”? È un insulto alla memoria di mio zio Enrico Mattei e all’operato encomiabile del giudice Vincenzo Calia che portando la prova dell’esplosivo collocato sull’aereo ha dimostrato che fu un attentato.»
Convinzione di chi scrive è che l’Italia debba continuare a interrogarsi sul lato oscuro della sua storia a partire proprio dall’attentato a Mattei, perché si tratta di fatti che ne hanno cambiato per sempre il volto e il corso. È un dovere civile servirsi delle «schegge di verità», come le definiva Leonardo Sciascia, di cui disponiamo, riconoscendole come tali, per mettere nero su bianco dinamiche e responsabilità, evitando così che un altro aereo cada per un «incidente» dovuto al cattivo tempo o che delle nuove penne autorevoli si spendano su qualche giornale, magari su comando, per depistare, omettere e insabbiare.
Il mio incontro con il magistrato
A Vincenzo Calia scrissi per la prima volta nel 2011 per un reportage che stavo facendo per Radio 24, durante il programma di Daniele Biacchessi L’Italia in controluce, sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Mi interessava saperne di più sulla correlazione che lui per primo aveva individuato tra l’ultimo lavoro incompiuto del poeta e regista, Petrolio, e il libro Questo è Cefis di tale Giorgio Steimetz (Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, Agenzia Milano Informazioni, Milano 1972) alias Corrado Ragozzino.
Il grande romanzo sul potere, che Pasolini non riuscì a finire perché brutalmente ammazzato, prendeva le mosse proprio da quel volume che, gettando pesanti ombre sulla figura di Eugenio Cefis, il successore di Mattei alla guida dell’Eni, ricostruiva il pericoloso intreccio politico-affaristico-criminale dell’epoca che porterà, come si capirà solo dopo, alle bombe fasciste. In quell’occasione Calia gentilmente declinò la mia richiesta a fargli un’intervista suggerendomi, qualora avessi voluto sapere qualcosa di più, di visionare i documenti della sua inchiesta sul caso Mattei, archiviata sei anni prima. Conoscevo l’indagine per averne letto sui giornali e su alcuni libri, ma restai sorpresa dal lavoro impressionante svolto dal pm: oltre 5000 pagine, 13 faldoni, 614 testimoni e 12 consulenze tecniche. Mi colpì subito un ampio fascicolo fotografico di circa 350 immagini. Si tratta di istantanee raccolte e realizzate da polizia, carabinieri, agenzie fotografiche e redazioni di giornali, un materiale storico di grande valore e quasi del tutto sconosciuto. Ci sono i rottami dell’aereo dispersi nella campagna di Bascapè, dall’ala al serbatoio, e i rappresentanti delle istituzioni dell’epoca accorsi sul luogo della sciagura; si vedono chiaramente gli inquirenti al lavoro, gli operatori della Croce rossa che recuperano ciò che resta dei corpi delle vittime e ci sono gli scatti di alcuni oggetti personali di Mattei, come l’anello e l’orologio: tutti elementi centrali per ricostruire le modalità e le cause della caduta del velivolo – lo stato dei luoghi, la condizione e l’ubicazione dei resti dell’aereo –, e per accertare la natura del disastro.
Queste fotografie costituiscono le prove, insieme agli accertamenti tecnici e alle numerose testimonianze raccolte, che l’aereo è stato dolosamente abbattuto. Pensai subito che questo apparato meritasse di essere conosciuto e così scrissi a Calia chiedendogli se quelle immagini fossero mai state esposte. Mi rispose di no. Cominciai a lavorare, allora, a un progetto per realizzare una mostra per la quale lui si rese disponibile a fornirmi una consulenza, qualora ce ne fosse stato bisogno. Iniziai allo stesso tempo a sfogliare i documenti dell’indagine rendendomi presto conto che solo parte di essi era stata in precedenza pubblicata da scrittori e giornalisti. Molto materiale era ancora inedito. Così contattai di nuovo il magistrato, proponendogli di lavorare alla stesura di un libro sul caso Mattei. Vincenzo Calia è un professionista riservato, di poche parole, lascia che siano le sue inchieste a parlare per lui; all’epoca delle indagini, quando veniva raggiunto dai cronisti, si chiudeva sempre dietro un «no comment», senza rilasciare mai una dichiarazione. Così, in linea con il suo rigore, mi rispose: «Lo scriva lei». «No – replicai – l’inchiesta è la sua, solo lei può raccontarla.» Così, lentamente, è nato questo volume: un progetto univoco nelle sue due parti; la prima scritta in presa diretta dal pm, che ripercorre tutte le fasi dell’indagine e che rappresenta un documento giudiziario e storico incredibile. La seconda, scritta da me, sul ruolo avuto dalla stampa nel manipolare o, nel migliore dei casi, ignorare la verità.
Il lavoro svolto negli anni dalla procura pavese, grazie all’instancabile impegno di Calia, ha squarciato il velo su un grande mistero italiano; le carte processuali, che sono alla base di questo libro, hanno un valore straordinario al di là degli esiti giudiziari, perché ci consegnano il nitido disegno politico-affaristico di un’epoca e le battaglie spietate di potere che si sono giocate sul corpo di Mattei. Solo seguendo la lunga scia di sangue che parte da allora e arriva fino a oggi possiamo realmente capire l’Italia che siamo diventati e quella che saremmo potuti diventare se alcune teste non fossero state fatte cadere. Prima tra tutte quella di Mattei, che voleva industrializzare e modernizzare il paese, come in parte è riuscito a fare, per renderlo capace di competere con le maggiori potenze mondiali. Un uomo orgoglioso della propria nazione, che sognava coraggiosa e ambiziosa, con un ruolo internazionale. La sua figura è stata e resta al centro di acute discussioni sotto il profilo dell’eticità e dell’opportunità della sua azione, tra chi la loda e chi la demonizza: questo dibattito rimane fuori dal nostro libro. Qui si perseguono la ricerca della verità e il rispetto di quella che è stata stabilita durante l’inchiesta: ed è un dovere che non esclude nessuno. Obiettivo di queste pagine è anche quello di arginare il rischio di non sorprendersi più.
Quando Mauro De Mauro sparì, Sciascia scrisse che la gente a Palermo aveva preso la sua scomparsa (era il trentesimo uomo a venire inghiottito nel nulla in dieci anni nel capoluogo siciliano) «come prende la siccità, il temporale, come un fastidioso fatto di natura». E, poi, perché i volti e le storie dei nostri grandi uomini uccisi non devono essere dimenticati. E sono tanti, con vicissitudini diverse, ma tutti legati da una vita spezzata all’improvviso; una morte «che non ha volto», come disse Moravia a proposito dell’assassinio di Pasolini nel corso del suo funerale. «L’immagine che mi perseguita è quella di Pasolini che fugge a piedi, inseguito da qualche cosa che non ha volto, è quello che l’ha ucciso, questa immagine è emblematica di questo paese.» Diamo un nome e una fisionomia a questo volto.
Vincenzo Calia e Sabrina Pisu, Il caso Mattei. Le prove dell’omicidio del presidente dell’ENI dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità, Ed. Chiarelettere, Milano 2017_Collana: Principio Attivo_Pagine: 384_Prezzo: 18 euro