“Non sarebbe sufficiente oggi un nuovo ’68: occorre qualcosa di più e di meglio”. Intervista a Mario Capanna

(ARCHIVIO ANSA/KLD)

Quest’anno cade il cinquantenario del ’68. Anno indimenticabile! In tutto il mondo occidentale, e non solo, i giovani creano  il “movimento studentesco”. In Italia, Francia, Germania E Usa, per limitarci ai più importanti, i giovani contestano un intero sistema. Nell’Est Europa inizia la “Primavera di Praga”, in America Latina nasce la “Teologia della liberazione”, sulla scia della Conferenza di Medellin. Insomma il mondo, pur nella diversità di situazioni, in quell’anno, visse una stagione di grande mutamento.

Per ricordare che cosa ha significato il ’68 per l’Italia, abbiamo intervistato un protagonista di primo piano di quel tempo:  Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco milanese.

Capanna, lei è stato un leader, tra gli altri, indiscusso del movimento studentesco che ha dato origine al ’68. Partiamo da lei: perché il brillante studente della Cattolica di Milano, Mario Capanna, aderisce al “Movimento”? Cosa è scattato in lei? 

Era l’estate del 1967, all’Università Cattolica del tutto incredibilmente anticipiamo il ‘68 perché occupiamo l’università nel novembre del 1967. Il pretesto fu specifico perché in piena estate, quando gli studenti erano in vacanza, il Collegio Accademico decise un forte aumento delle tasse di iscrizione all’Università, portando la Cattolica ad essere una delle Università più care d’Italia. Quando rientrammo chiedemmo di vedere i bilanci e alla nostra richiesta fu ovviamente opposto un rifiuto, così che iniziò uno stato di agitazione dopo il quale si giunse all’occupazione, decisa da un’assemblea.

Il Rettore di allora, Franceschini, guida la reazione della polizia, violando tra l’altro per la prima volta la sacralità della Cattolica, cui noi opponiamo resistenza passiva e quindi veniamo portati via uno a uno. Da parte di noi studenti vi era già da tempo un sentimento critico nei confronti dell’Università: ci chiedevamo perché dovessimo leggere Marx o alcuni teologi di frontiera di nascosto. C’era un clima di chiusura che evidentemente non era più sopportabile.

Il fenomeno del ’68, che, come è noto, ha avuto una sua simultaneità planetaria, fu definito di “contestazione globale”. Ora la parola “contestazione”, nell’impoverimento linguistico di oggi, dà l’idea del bastian contrario cui nulla va a genio, nemmeno le cose giuste. Ma la parola contestazione ha radici nobili: deriva dal verbo latino “contestor” composto da cum, ossia “con”, e testis, che significa “testimone”. La contestazione è ciò che il testimone vede toccando con le proprie mani e quindi il suo dire è difficilmente smentibile. Il ‘68 è questa liberazione, prima individuale poi collettiva, in cui ad ogni critica corrispondeva sempre la costruzione di un punto di vista contrario e collettivo.

Qualcuno ha parlato del ’68 come una “rivoluzione degli intellettuali”, condivide questo giudizio?

No, perché a scendere in lotta sono soprattutto gli studenti ma un minuto dopo, basti pensare alle grandi lotte dell’autunno caldo, scendono in lotta milioni di lavoratori e di impiegati oltre che di intellettuali. È stata una rivoluzione culturale nel senso più ampio del termine, perché coinvolge persone comuni ed è per questo che ne stiamo ancora parlando.

Maestri e “cattivi” maestri. Per lei quali sono stati i Maestri e invece quelli, che poi, si sono rivelati “cattivi” maestri?

Questa questione è facilmente risolvibile sulla base della seguente osservazione: è innegabile che i poteri hanno frontalmente contrastato i grandi movimenti del ‘68 ricorrendo ad una violenza sistematica, perfino alle stragi, e quindi è innegabile che i poteri hanno spinto il mondo in una direzione esattamente contraria ai nostri obiettivi e auspici. La domanda è: dove hanno portato il mondo? Lo hanno portato all’attuale terza guerra mondiale a pezzi (secondo la definizione che ne dà Papa Francesco), ai mutamenti climatici, che sono arrivati al punto di pregiudicare il mondo, alla società dell’1%, dove l’1% possiede ricchezze superiori al restante 99%, come conseguenza della globalizzazione. I cattivi maestri non siamo stati noi, ma coloro che hanno opposto la loro violenza alle nostre pacifiche manifestazioni.

(DANIEL DAL ZENNARO/ANSA/PAL/SIM)

Rispetto agli altri Paesi, penso alla Germania, alla Francia e agli Usa, qual è la caratteristica del ‘68 italiano?

Anzitutto la durata. Da noi il ‘68 comincia addirittura nel 1967 e va avanti per tutto il biennio 68-69. Secondo, il fatto che praticamente già alla fine della metà del 1968 ad esempio in Germania e in Francia il movimento è già in spegnimento. Da noi vi è stata questa radicalità cui ha contribuito molto lo stesso mondo cattolico, nel 1968 si cominciano a vedere i frutti del Concilio Vaticano II, ad esempio i preti operai che vanno alla catena di montaggio e fanno apostolato in questa forma nuova. Il ‘68 italiano si configura come quello di maggior durata a livello mondiale.

Il Maoismo è stato, per alcuni, un mito negativo di quegli anni. In Francia ha portato ad una degenerazione del ’68 specie tra gli intellettuali. E’ così?

Tenga conto di una cosa: io, ad esempio, non ho mai portato il distintivo di Mao. Questo è per dire che noi della rivoluzione culturale eravamo assai poco informati in realtà, ma coglievamo il significato di fondo di un’idea di rivoluzione permanente. Quando Mao dice “sparate sul quartier generale”, cioè non passivizzatevi, continuate ad innovare idee, coglievamo questa idea di rivoluzione permanente che era incoraggiante. La rivoluzione culturale cinese come sappiamo non è stata tutta rose e fiori, però addirittura viene chiamato l’esercito per porvi fine non diversamente dalla repressione nei paesi occidentali.


Nella sfera della politica il mito era quella della “rivoluzione”. Ma quale rivoluzione? Per qualcuno, più tardi, la “rivoluzione” ha preso bruttissime strade…
 

Ecco vede la parola rivoluzione non va mai usata con leggerezza, perché è molto impegnativa. Per me la rivoluzione era pacifica, il ‘68 nasce e si mantiene rigorosamente pacifico. I primi episodi di violenza si verificano quando la polizia interviene. Questa è una prima discriminante. Dopodiché 99’una rivoluzione delle idee è per certi aspetti la rivoluzione più profonda: si realizza quella che i greci chiamavano metanoia, cioè conversione, un modo nuovo e alternativo di vedere il mondo. Per questo aggiungo una caratteristica pregevole del ’68: non è stata una rivoluzione consumata, in quanto non è caduta preda delle dinamiche simmetriche di quei poteri che voleva combattere. Il ’68, al contrario della rivoluzione francese, non si è dovuto appoggiare né ad un Robespierre né ad un Napoleone.

Per alcuni è stato il Movimento Operaio che ha salvato il ‘68 italiano. Nel senso che l’intreccio tra le lotte studentesche e quelle operaie dell’autunno    caldo del ’69 ha contribuito a dare maggiore robustezza e concretezza al 68‘.  Per LEI?

Credo di doverlo confermare, anche perché spesso abbiamo scarsa memoria storica. Si pensi al mondo del lavoro prima del ’68: la settimana lavorativa era di 48/52 ore la settimana, la Costituzione non entrava in fabbrica, addirittura c’erano i reparti di confino dove venivano mandati i lavoratori meno docili, come alla Fiat, dove si praticava lo spionaggio. Con il ’68 e l’autunno caldo del ‘69 si sono creati i consigli di fabbrica; i lavoratori sull’esempio degli studenti si riuniscono in assemblea; si ottiene la parità normativa tra operai ed impiegati; si strappano aumenti salariali uguali per tutti; addirittura i lavoratori strappano 150 ore all’anno in cui non lavorano, ma studiano per elevare il loro livello di cultura e di conoscenza. Il ‘”68” operaio potenzia e rafforza il ‘68 studentesco giovanile.

(Pino Farinacci/ANSA/CD)

Alcuni giornalisti e intellettuali hanno scritto, in questi giorni per ricordare l’avvenimento, che l’Italia ha avuto il ’68 che è durato più a lungo, circa dieci anni di più rispetto agli altri Paesi. Condivide questo giudizio? Se si, perché?

Io su questo sono abbastanza poco convinto, perché nel pieno degli anni ’70 siamo di fronte al terrorismo. Si badi, siamo di fronte a ben tre forme di terrorismo: quello di Stato (non a caso la strage di Piazza Fontana è passata con un nome ben preciso: “strage di Stato”); terrorismo di sinistra (BR ecc.); terrorismo fascista (Ordine Nuovo ecc.). Per quanto riguarda il terrorismo di sinistra non solo non è figlio del ’68, ma addirittura si configura come la negazione non riuscita del ’68. Ecco perché la periodizzazione ’68-’77 a mio avviso è indebita, proprio perché la seconda parte degli anni ‘70 è radicalmente diversa dall’esperimento del ’68. Viceversa è vero che nella prima parte degli anni ’70, con i movimenti femministi, sono anch’essi un prolungamento positivo del ’68.

Siamo alla fine della nostra “chiacchierata” Capanna. Nel ’68 c’era uno slogan: Ce n’est qu’un début, continuons le combat! Oggi può essere ancora attuale?

Lo slogan del Maggio francese, che non a caso viene ricordato, è molto pertinente, perché se aspettiamo che siano i governi a risolvere i problemi di cui parlavamo prima (della terza guerra mondiale a pezzi ecc.), aspettiamo invano. Viceversa la grande lezione strategica che viene dal ’68 è essenzialmente questa: quando le persone si mobilitano, quando le idee camminano su milioni di gambe di giovani uomini e donne si strappano conquiste importanti, cui ancora oggi parliamo; quando invece provale la passività e la delega i problemi non vengono risolti e quindi si moltiplicano e si aggravano. Non sarebbe sufficiente oggi un nuovo ’68: occorre qualcosa di più e di meglio.