I due ultimi turni elettorali ci consegnano una situazione politica in movimento. Con Fabio Martini, cronista parlamentare del quotidiano “La Stampa, in questa intervista, ne analizziamo i possibili scenari.
Fabio Martini, queste mese di elezioni regionali ci hanno consegnato, per l’analisi politica, alcune “novità” e delle conferme. Partiamo dalle “novità“: il PD esiste. O per meglio dire il Centrosinistra esiste. Un centrosinistra “largo”, più inclusivo, meno borioso. Sarà, sicuramente, merito dei due candidati alla Presidenza della Regione, Zedda e Legnini, ma questo è stato il dato che è uscito dalle due consultazioni. Pensi che sia un dato acquisito?
In politica, ovviamente, non c’è mai nulla di acquisito. La “ripresina” del centrosinistra è stata favorita dal sistema maggioritario, che polarizza su due schieramenti ed è stata incoraggiata dalla qualità dei candidati-Presidenti. In Abruzzo e in Sardegna sono state scelte le due personalità di gran lunga migliori disponibili in quelle regioni e questa opzione non era scontata. Se il Pd nazionale, con umiltà, avesse fatto lo stesso alle Politiche di un anno fa, il risultato sarebbe stato così umiliante? Ora il Pd sta per affidarsi ad un leader – Nicola Zingaretti – che nella sua storia politica, ha dimostrato di aver una qualità: compositore di alleanze. Pochi, a sinistra, sanno preparare le campagne elettorali come il Governatore del Lazio. Ma non basterà. Serve una piattaforma riformista per la ripresa del Paese, che sappia intrigare il “popolo” di sinistra ma anche i tanti moderati contrari alla cultura assistenzialista della maggioranza. Moderati anche di centrodestra che, continuando a votare Forza Italia, sanno che prima i poi finiranno nelle mani di Salvini. Ma servono duttilità, intelligenza. visione e soprattutto sapienza politica, doti di cui al momento sembra disporre soprattutto Paolo Gentiloni, che sarà il presidente del “nuovo” Pd.
Domenica ci saranno le Primarie del Pd. Arrivano con grande ritardo. E questo è un handicap pesante, ma, comunque, restano sempre un fatto importante di partecipazione. Zingaretti resta il favorito. Qual è la carta vincente?
Il ritardo è clamoroso. Le Primarie si celebrano un anno dopo la batosta del 4 marzo 2018: dodici mesi senza leader e senza gruppo dirigente equivalgono ad un autolesionismo con pochi esempi nella storia dei partiti politici dei Paesi occidentali. Senza guida e senza essersi chiesti il perché di quella batosta. La carta vincente di Zingaretti? Essersi presentato – ed essere creduto – come l’unica vera alternativa alla stagione renziana, ma senza spiegare molto bene perché: come se la boria dell’ex leader potesse spiegare tutto. Il messaggio è: il nuovo sono io. Ha funzionato. Ora dovrà far capire quale è il suo progetto politico.
Avere un segretario è importante, ovviamente per ragioni identitarie, ma il disegno politico ancora di più. E qui c’è una carenza. Tutti a dire mai con i 5 Stelle. Cacciari e D’Alema consigliano al PD di incunearsi tra Lega e 5 stelle per evitare una pericolosa deriva a destra. Pensi che sia un buon consiglio?
Immaginare che dopo le Europee possa nascere un’alleanza di governo tra Pd e Cinque stelle, come vorrebbero Il Fatto quotidiano e personalità di varia natura è davvero uno scenario realistico? Sappiamo già la risposta: no. E’ impossibile. Salvini griderebbe al tradimento e al trasformismo, con qualche ragione. E poi nove mesi di governo hanno sfatato la suggestione che il Movimento Cinque stelle sia un movimento con un’anima progressista. La Lega è un partito di destra con un linguaggio populista, i Cinque stelle, come rivendica il loro presidente del Consiglio, è un movimento squisitamente populista. Per un centro-sinistra che vuole rimettersi in piedi, l’abbraccio con i Cinque stelle in declino, sarebbe mortale.
Veniamo all’altra novità: il tonfo dei 5stelle. Il 30% in meno in Sardegna è una botta non da poco. Di Maio pensa di risolvere la crisi con stratagemmi organizzativi. Invece il punto è identitario. Ovvero politico ideologico. È così?
Certamente è così. In pochi mesi sono arrivati al dunque sia l’ideologia “noi siamo diversi, gli altri tutti venduti” che ha portato tanti voti, sia la scelta politica di allearsi con la Lega. Questione ideologica: aprire ad alleanze con liste civiche nelle elezioni locali sarebbe la fine di un’epoca, quella della diversità e della purezza dei Cinque stelle. Un mito che è stato già messo in crisi dalla scelta – quella sì dirimente – di sostenere Salvini con lo scudo dell’immunità. Il nodo politico si scioglierà la notte del 26 maggio, quando si conoscerà l’esito delle elezioni Europee: continuare o no l’alleanza di governo con la Lega? Ma quel voto avrà un effetto di sistema per tutto il quadro politico. E’ del tutto evidente che in Italia le Europee sono destinate a trasformarsi in un fixing, che misurerà il peso reale delle forze in campo e dunque da quel momento in poi nulla sarà più come prima nella politica italiana. Il 26 maggio è destinato a diventare un evento-spartiacque per tutti. Salvini capirà dove si sarà fissato il livello della sua crescita: se sarà molto alto, potrebbe essere tentato di andare subito alle elezioni, ma in caso di risultato meno brillante, potrebbe ricontrattare l’appoggio al governo. I Cinque stelle, in caso di tracollo, potrebbero resettare a tornare a far quel che per ora hanno saputo far meglio: l’opposizione. E quanto al Pd, in caso di stallo, si prolungherà la crisi, ma in caso di ripresa, lavorerà a farsi trovare pronto quando il pendolo dell’opinione pubblica tornerà ad essere più disponibile ad oscillare verso sinistra. Un’oscillazione che potrebbe essere meno lontana di quel che pare.
Non pensi che la debolezza identitaria giocherà un brutto scherzo ai 5Stelle alle Europee?
Molto dipenderà dal reddito di cittadinanza. Se a metà maggio saranno erogati tutti i redditi potenzialmente possibili, al Sud il Movimento potrebbe correggere un piano che oggi pare inclinatissimo. Ma tre dubbi minano questo scenario. Primo: gli adempimenti per rendere operativo questo sussidio sono tali e tanti da far dubitare che si faccia a tempo a mettere a regime la misura. Secondo: quando dovessero arrivare i primi sussidi, rischia di montare l’irritazione di chi incassa la medesima cifra, ma faticando dalla mattina alla sera, con contraccolpi elettorali al nord e anche al centro Italia. Terzo: in questa fase storica gli italiani pensano che tutto gli sia dovuto. Non è detto che ci sia una riconoscenza elettorale.
L’altra “novità” è Silvio Berlusconi. Ha perso molto del seduttore di un tempo. Ma resiste. Sarà la prossima vittima di Salvini?
E’ vero resiste, ma diventando ogni volta più piccolo. Dopo il grande risultato del Pdl nel 2008, in tutte le occasioni nelle quali si è presentata, Forza Italia è andata sempre più indietro. Oramai è sotto il 10 per cento e non sembra trarre alcun beneficio dalla presenza di Berlusconi nelle campagne elettorali locali. Il Cavaliere ha ancora i “suoi” elettori, ma sono sempre meno. Ecco perché le elezioni Europee saranno decisive nel rapporto tra Lega e Forza Italia: se Salvini dovesse incamerare un bottino elettorale tre o persino quattro volte superiore (un rapporto 30-10, ovvero 32-8) e si dovesse scivolare verso elezioni anticipate, non è vero che non ci sarà un’alleanza di centrodestra – come si legge in questi giorni sui giornali – ma quella alleanza avrà modalità molto diverse e sorprendenti rispetto al passato.
Ed ora veniamo alla conferma: Matteo Salvini. Il leader leghista ha trovato lo schema vincente: governo con Di Maio (e intanto lo svuoto) e nelle regioni con Berlusconi. Tutto sembra funzionare. Non trovi troppo semplice lo schema?
E’ proprio così: uno schema semplice ed efficace. Potrebbe durare ancora un po’ ma non a lungo Gli “opposti svuotati” in qualche modo reagiranno. La reazione più interessante sarà quella dei Cinque stelle: conflittualità permanente ma senza rompere? E Salvini, per non perderli prima del decisivo test delle Europee, quanto sarà disponibile a concedere? Nei tre mesi che ci separano dalle elezioni il leader della Lega si misurerà la palla e dovrà dare uno sguardo anche al preannuncio di una novità: il voto sardo dimostra che i suoi margini di espansione si stanno riducendo.
Intanto il governo è alle prese con una crisi economica pesante…il barometro governativo segna tempesta?
Il governo giallo-verde ha deciso di investire tutte le risorse su due provvedimenti protettivi: per i lavoratori che non se la sentono più di lavorare e per i giovani disoccupati. Provvedimenti che hanno sottratto risorse da investimenti più duraturi ma inadatti a garantire un incasso elettorale immediato. Questo per il momento sembra incoraggiare la recessione e autorizza le voci su una manovra correttiva. La sostanza è che l’incertezza – economica, finanziaria e politica – è tornata ad aleggiare sull’Italia. Se ad un certo punto questo rinnovato sentimento dovesse precipitare sui fondamentali – dallo spread ai punti di Pil persi – allora effettivamente il barometro-Italia potrebbe volgere a “tempesta”. Ma al momento ci sono soltanto sintomi che non fanno pensare ad una drammatizzazione del tipo di quella che si verificò nell’autunno del 2011.