“Il Papa ad Abu Dhabi ha gridato contro lo ‘scontro di civiltà’ “. Intervista a Massimo Faggioli

Grande risonanza nell’opinione pubblica mondiale ha avuto l’ultimo viaggio apostolico di Papa Francesco negli EAU. In questa intervista con Massimo Faggioli, storico del Cristianesimo alla Villanova University (USA), approfondiamo i  contenuti del viaggio.

Professore, il viaggio apostolico di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti, è stato definito dallo stesso Pontefice come una “sorpresa di Dio”. In effetti, pur nella brevità, è stato un viaggio straordinario…

Rappresenta un altro passo nella sfida di papa Francesco contro l’apparente ineluttabilità dello “scontro di civiltà” che oggi rappresenta un’offerta politica molto redditizia in Europa e in Occidente. Ci sono molti livelli diversi in questo viaggio: quello politico-internazionale, quello interreligioso, e quello intra-cattolico, con la visita a una comunità cristiana locale che ha molto da dire ai cattolici in Europa e in Occidente, con la sua diversità interna, fatta di immigrati dall’Asia, di riti diversi, e in una situazione precaria dal punto di vista della libertà religiosa e del rispetto dei diritti.

Collochiamolo sul piano storico. Papa Francesco si è mosso, così lui ha voluto, sulla linea di Francesco d’Assisi (la visita al Sultano) e del Concilio Vaticano II. Ma anche nella linea del grande islamista cattolico Luis Massignon e del suo discepolo italiano padre Basetti Sani. Sono questi i filoni che emergono in questo viaggio?

Quello che Francesco ha detto e fatto negli Emirati va visto nell’anniversario della visita di san Francesco al Sultano del 1219. Ma c’è anche il modo particolare di Francesco di vedere il Vaticano II, ovvero un ressourcement del magistero papale nel Vaticano II e nelle sue intenzioni originarie: prima ancora del dialogo, c’è la fraternità nell’unica famiglia umana che è l’intuizione di Giovanni XXIII nella convocazione del concilio.

Il Papa ha testimoniato una visione della Chiesa, in terra d’Islam, povera, umile, ma profetica. Che significato ha per i cristiani che vivono nel contesto mediorientale, assai più difficile rispetto a quello di Abu Dhabi?

Significa che il papa parla con tutti, anche con gli interlocutori che non consideriamo perfetti o che possono creare imbarazzi alla diplomazia vaticana. Gli Emirati rappresentano il possibile inizio di un processo di cambiamento che ha al centro la convivenza interreligiosa. La scomparsa dei cristiani dal Medio Oriente sarebbe una tragedia epocale e la Santa Sede fa quello che può, mentre altri attori cercano di sfruttare le tensioni interreligiose per una politica di potenza.

Quali sono i “punti fermi” del documento sulla “Fratellanza umana”?

Si tratta di un documento che rappresenta una sfida sia per i cattolici sia per i musulmani: impegna principalmente a combattere contro la strumentalizzazione della religione per fini politici; accetta il linguaggio del pluralismo religioso come parte del piano divino. La parte sulla cittadinanza e sulla rinuncia al linguaggio sulle “minoranze” è quella più interessante per il futuro dei cristiani nei paesi arabi e musulmani. È un documento che in certi passaggi è più impegnativo per l’Islam che per i cattolici – anche se in alcuni paesi cattolici sta tornando la tentazione di piegare la chiesa al nazionalismo e all’etnocentrismo. Non a caso, sono i paesi (come gli Stati Uniti) in cui la storia del cristianesimo in terra araba è quasi totalmente ignorata oppure considerata un’aberrazione.

Qualcuno, nell’area dei nemici di Papa Francesco, lo ha definito come un documento “teosofico”. Sappiamo che in quell’ambiente Bergoglio viene accusato di essere” inconsistente”, di “creare confusione tra i fedeli”. Come risponde a queste critiche?

C’è chi ha cercato di delegittimare papa Francesco fin dalla tarda primavera e l’estate del 2013. Poi è arrivata la lotta contro il Sinodo sulla famiglia e contro Amoris Laetitia. Dopo, c’è stata la strumentalizzazione ideologica dello scandalo degli abusi sessuali negli Stati Uniti. Ora, i dubbi di eresia contro il documento di Abu Dhabi. Coloro che si dicono confusi dal papa cercano di trovare continuamente motivi di confusione. Ormai è una dinamica che non ha effetti sul pontificato ma ha solo finalità interne allo schieramento anti-Francesco, di posizionamento tra le diverse voci del neo-tradizionalismo cattolico.

Parlando ai fedeli di entrambi le religioni, di Oriente e dell’occidente porta con sé una valenza politica straordinaria. Per il contesto italiano è davvero una sfida non indifferente.

È una sfida per la chiesa globale, e anche per il contesto italiano che ha una vocazione particolare data la sua posizione geografica e la sua storia: resistere alle sirene dell’autoritarismo che si presenta come difesa delle radici cristiane. Ci sono offerte di “protezione” politica alla chiesa che la chiesa ha il dovere di rifiutare perché significherebbero la soggezione della fede cristiana a un messaggio che è anti-evangelico.

Ultima domanda : siamo al sesto anno di pontificato. La sfida più difficile qual è?

La sfida più difficile è sicuramente lo scandalo degli abusi sessuali: questo ultimo anno ha rappresentato un salto di qualità nella percezione dello scandalo nella chiesa e ci si aspetta molto da Roma. I segnali di questi ultimi mesi sono confortanti: ma è evidente che agli occhi di molti cattolici papa Francesco verrà giudicato dalla sua azione su questo fronte, e non su quello dei rapporti inter-religiosi.

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