Sarà, tra qualche giorno, nelle Librerie il nuovo numero della Rivista dell’Arel. La rivista diretta da Enrico Letta e Mariantonietta Colimberti. Affronterà un tema di grandissima attualità: quello dello STRANIERO. Perché straniero? IL numero, che esce appena dopo le elezioni per il Parlamento UE ma pensato e preparato nei mesi immediatamente precedenti, riguarda uno dei principali (forse il principale) motivi conduttori del dibattito politico e non soltanto politico italiano ed europeo. La questione dello “straniero” e degli “stranieri” ha condizionato in modo preponderante la percezione dei cittadini delle democrazie occidentali rispetto a se stessi e alla propria condizione, finendo per incidere in modo determinante sull’espressione del consenso e sugli equilibri politici. «La xenofobia è di destra, ma la soluzione non può essere un nazionalismo di sinistra; una sinistra nazionalistica è destinata a sparire nelle mani della destra», spiega il grande sociologo e politologo inglese Colin Crouch a Maria Elena Camarda in un’ampia intervista in cui sottolinea la connessione esistente tra l’utilizzo politico della xenofobia e il nascondimento di un sistema economico che produce sempre maggiori disuguaglianze. Il tema è affrontato da angolature diverse: politica, sociale, economica e culturale. Molti i nomi di spicco presenti con i loro contributi, ne ricordiamo alcuni: Enrico Letta, Colin Crouch, Kevin Kennedy, Tito Boeri, Lilian Thuram. Di seguito, per gentile concessione, anticipiamo i contributi del grande politologo Colin Crouch e di Kerry Kennedy (figlia di Robert Kennedy)
«La xenofobia è di destra, ma anche la sinistra sovranista sbaglia»
Intervista con Colin Crouch di Maria Elena Camarda
Colin Crouch, influente sociologo e politologo inglese, molto noto per le sue analisi sulla crisi della democrazia, teorico della post-democrazia, riflette sulle conseguenze e sui costi della globalizzazione e mette in guardia dagli esiti catastrofici cui conducono i nazionalismi e la xenofobia, intravedendo come unica soluzione percorribile scelte e azioni per creare forme di democrazia sovranazionale e forme regolate di globalizzazione.
Il tema dello “straniero”, intrecciandosi in vario modo a elementi sempre più consistenti di nazionalismo, si è andato imponendo nel discorso pubblico sino a divenirne dominante. Professor Crouch, che cosa vi è al fondo delle nostre società che possa spiegare l’esplosione di sentimenti che per tanto tempo abbiamo creduto di potere regolare e controllare?
Penso che l’inglese sia la sola lingua europea in cui si usino due parole diverse per denominare le persone che ci sono sconosciute, strangers e foreigners. Stranger ha la stessa radice della parola straniero. Foreigner ha la radice latina in comune con la parola italiana “fuori”, ma anche con la parola greca xenos, da cui deriva il concetto di “xenofobia”. Perché solo l’inglese abbia sviluppato due parole diverse non lo so, ma è una differenza utile. Molti strangers non sono foreigners, e viceversa. Benché “straniero” assomigli come parola a stranger, la nostra discussione riguarda lo straniero in quanto foreigner.
La xenofobia dei giorni nostri ha bersagli diversi. Per esempio, gli inglesi che appoggiano la cosiddetta Brexit sembra che odino particolarmente gli immigrati europei, ma il discorso xenofobo della Brexit include anche i musulmani. I protagonisti della Brexit hanno insistito sul fatto che, se l’UE avesse ammesso la Turchia, il Regno Unito si sarebbe trovato in casa 70 milioni di musulmani. Questo è un tema che si ritrova anche in molti altri casi: un partito o movimento politico usa la “minaccia islamica”, non come un punto di partenza per aggregazione, ma solo dopo per rafforzare il consenso. L’Alternative für Deutschland, il partito di estremisti della destra tedesca, ha cominciato contestando il fatto che l’Unione aiutasse i paesi dell’Europa meridionale a spese dell’economia tedesca: ha raccolto poco più del 3 per cento dei voti. Poi ha scoperto i profughi islamici, si è trasformata in un partito anti-islamico ed è arrivato a essere il terzo partito della Germania. La Lega è nata come partito dell’Italia settentrionale che odiava i meridionali, ed è rimasto un piccolo partito sul piano nazionale, un partito territoriale, finché anch’esso ha scoperto i profughi islamici, si è trasformato in un partito anti- islamico e ha incominciato ad “amare” i meridionali, arrivando a essere il partito il più importante nel paese. In Ungheria, Viktor Orbàn aveva già costruito un movimento conservatore di destra, ma ha usato il tentativo dell’UE di coinvolgere i paesi dell’Europa orientale nell’aiuto alla Grecia e all’Italia alle prese con le ondate di profughi islamici per rafforzare il suo appello a una nazione cristiana che deve resistere a stranieri di vario genere. Processi similari si vedono in molti paesi europei. In Austria e in Svezia gruppi di origine apertamente nazista sono arrivati a essere partiti potenti. Negli Stati Uniti Donald Trump usa i migranti islamici, benché siano pochi, come una parte del suo nuovo nazionalismo.
Per quali ragioni i migranti e i profughi islamici, anche in situazioni in cui la loro presenza numerica è trascurabile, costituiscono un elemento coagulante della xenofobia? Possiamo limitare a questo la grande diffusione nelle nostre società di sentimenti di rifiuto verso gli immigrati e i rifugiati?
I migranti e profughi musulmani sono molto utili ai movimenti xenofobi per tre ragioni. Primo, arrivano come profughi, tutti insieme e in grandi numeri, dalle crisi terribili dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, e l’arrivo di stranieri in grandi numeri è sempre difficile da gestire. Quando l’arrivo è graduale, le popolazioni locali possono assorbirli più facilmente. Secondo, nel popolo musulmano ci sono piccoli gruppi di terroristi, che hanno compiuto atrocità nelle città occidentali (sono pochi, ma questo non importa). Terzo, tornano echi degli antichi antagonismi tra il mondo cristiano e quello islamico – echi che i movimenti della destra estrema usano nelle loro teorie sulla cospirazione in cui contestano alle élite dei nostri paesi di volere “islamizzare” l’Occidente.
Non dico, certo, che senza questo uso strumentale dell’Islam non ci sarebbero problemi nei rapporti con gli stranieri. La globalizzazione ha portato contatti con le economie, le società e le culture di nuove parti del mondo. Molti trovano che questi contatti arricchiscano le loro vite, ma per altri il Nuovo, lo Straniero, nel senso più ampio del termine, è una minaccia per la vita familiare. Ci sono altri cambiamenti degli anni recenti – in particolare nei rapporti tra gli uomini e le donne, nella sessualità – che rendono alcune persone incerte, insicure, nostalgiche di un passato (forse inesistente), in cui la vita era più semplice e tranquilla. Molti sono i bersagli possibili per i risentimenti che ne risultano. Ma gli stranieri, e particolarmente i migranti e ancor di più i profughi, hanno un gran vantaggio: sono deboli.
Nella sua riflessione si è soffermato a lungo sulla globalizzazione e sulle molte questioni economiche e politiche che la crisi della globalizzazione solleva. Quali sono a suo avviso le vie che si potrebbero esplorare per uscire dall’impasse in cui ci troviamo?
Trovo siano tre i punti cruciali da considerare. Il primo: dobbiamo uscire da un’alleanza cinica tra certi neoliberali e gli xenofobi. I primi sono molto contenti se la xenofobia ci rende ostili al sovra-nazionalismo perché in questo modo si lascia l’economia globale libera da ogni regolazione, sia per salvare il nostro ambiente, sia per regolare i mercati finanziari irresponsabili, sia per controllare gli abusi, tra cui in particolare quelli fiscali, delle grandi imprese del web. Questi neoliberali sono ben lieti se la politica rivolge il suo interesse alla protezione della sovranità nazionale, incapace di agire contro problemi così grandi. Una tale coalizione di interessi ha già distrutto il ruolo del Regno Unito nelle istituzioni europee; l’Italia potrebbe seguire.
Il secondo punto deriva dal primo: abbiamo bisogno di un rafforzamento delle istituzioni che possono consentire di sviluppare e attuare sul livello dell’economia globale quelle regolazioni che esistevano al livello nazionale nel periodo antecedente alla globalizzazione, benché esse stesse fossero spesso inadeguate.
Il terzo punto è il più difficile: come rendere democratica una regolazione internazionale, quando la democrazia trova molto difficile andare oltre il livello nazionale? Due sono a mio avviso le risposte: 1. Proteggere e sviluppare la democrazia europea. Benché sia debole, la democrazia europea è il solo caso al mondo di una democrazia sovranazionale. Esiste a due livelli: la democrazia formale del Parlamento Europeo; i rapporti e gli scambi di vario genere tra le istituzioni dell’UE e le organizzazioni dei singoli paesi e della società civile europea. 2. Non possiamo pensare di introdurre nell’immediato elementi di democrazia nelle istituzioni globali, come l’Ocse, il Fondo monetario internazionale e l’Organizzazione mondiale del commercio, ma possiamo introdurre nel dibattito pubblico nazionale la necessità di una minore segretezza nei rapporti che i nostri governi hanno con queste istituzioni. Attualmente tutto resta segreto e opaco. Qui ci viene in aiuto un bellissimo esempio. Sotto l’ispirazione della giovane svedese Greta Thunberg molti giovani stanno chiedendo ai nostri governi e a tutti noi: cosa facciamo contro le minacce che il nostro pianeta deve fronteggiare? In un mondo pervaso da odio contro gli stranieri e da chiusura delle nazioni in se stesse, questo movimento costituisce una splendida speranza per il nostro clima e per la nostra vita politica.
Lei è molto critico con le posizioni che ritengono risolutivo un nazionalismo per cosi dire “di sinistra”. Per quali ragioni non le ritiene soluzioni efficaci?
Il nazionalismo può essere di destra o di sinistra. È di sinistra in presenza di dominazioni straniere che impongono disuguaglianze. Era questa la situazione dell’Italia sotto l’impero austriaco, o quella dei paesi che erano colonie degli imperi europei in molte parti del mondo. Ma quando non c’è un rapporto di questo tipo tra stranieri e popolo “nativo”, il nazionalismo diviene una politica dell’esclusione, del rifiuto, non a causa della disuguaglianza del potere, ma solo perché i non nativi sono stranieri. Il nazionalismo in questo caso è una politica della destra che approfitta del fatto che i cittadini non si interessano dei rapporti di potere e della disuguaglianza.
Devo però riconoscere che nel dibattito sul nazionalismo vi è un ulteriore nodo problematico. La cittadinanza sociale è radicata nel riconoscimento che condividiamo qualcosa con altre persone, che facciamo parte di una comunità di solidarietà. Come si definiscono tali comunità? Nelle società tradizionali le frontiere della solidarietà sono state locali a volte solo di tipo familiare o proprie di una minoranza culturale o religiosa. In tali società non vi era una politica nel senso moderno. Il trionfo della modernità è stata la creazione dello Stato-nazione come equivalente di una grande comunità, una comunità politica, in cui diventava possibile la solidarietà tra stranieri (nel senso inglese di strangers), purché membri della nazione. La globalizzazione è stata ed è una minaccia per questo senso forte di mutua obbligazione tra membri di una comunità nazionale.
È vero, pertanto, che non possiamo continuare così, con un mondo globalizzato e una politica nazionale. Ma propugnare un ritorno indietro in nazioni separate, rifiutare contatti stretti con stranieri e altre nazioni, proteggere gli Stati nazionali con un welfare contro i migranti come sembra volere una certa sinistra sovranista non mi sembra convincente.
Piuttosto, dobbiamo provare a costruire solidarietà transnazionali, come nell’UE. Ammetto che la strada della sinistra sovranista è una strada più facile, ma è anche più pericolosa. Entrare in un nazionalismo di questo tipo significa entrare nel territorio controllato e nella cultura della destra estrema. Una sinistra nazionalistica è destinata a sparire nelle mani della destra – come è successo negli anni Venti e Trenta.
Nel 2003 il suo libro Postdemocrazia analizzava il declino della democrazia minata dal potere delle grandi imprese. In quale direzione il risorgere del nazionalismo modifica la sua visione del declino della democrazia? Può la democrazia essere salvata? Quale ruolo possono avere in questo processo le istituzioni sovranazionali e, in particolare, l’Unione Europea?
Nel mio libro Postdemocrazia ho scritto che ritenevo fossimo sulla strada della postdemocrazia ma anche che consideravo alcuni tipi di movimenti una sfida alla dominazione delle élite politico-economiche: il femminismo, l’ambientalismo e la xenofobia. Nel mio nuovo libro, La postdemocrazia dopo le crisi, che sarà pubblicato alla fine di questo anno, sostengo che la crisi finanziaria del 2008 e la crisi dell’euro del 2010 ci mostrano quanto la manipolazione della politica da parte delle grandi imprese bancarie – un elemento fondamentale della postdemocrazia – possa rovinare le nostre economie, le nostre politiche e la nostra società. È stata la deregolamentazione dei mercati finanziari – prodotto dei processi di lobbying delle banche – a portarci alle due crisi. Ma la crescita dei movimenti resta la sfida più grande alla mia tesi. Devo accettare che questi movimenti sono un’espressione di volontà popolare e che tali espressioni sono necessarie per la salute della democrazia. Ma allo stesso tempo alcuni di questi movimenti, come la xenofobia, sono una minaccia per la democrazia, per le ragioni sopra indicate. Il comportamento dei movimenti mi ha anche mostrato qualcosa che non avevo considerato in Postdemocrazia: la democrazia dipende dalle istituzioni esterne a essa, come i tribunali e le banche centrali indipendenti dai governi. I populisti sostengono che la democrazia richieda la subordinazione di tutte le istituzioni pubbliche. Ma la democrazia ha bisogno di essere protetta da loro, da chi governa in suo nome, perché gli interessi dei leader non sono gli stessi dei cittadini. In ultimo, la democrazia dipende dalla forza della società civile, dalla sua capacità di vigilare, di agire e di creare movimenti popolari per contrastare gli abusi e il potere.
Le crescenti disuguaglianze delle nostre società costituiscono una sfida importante per un sistema democratico. Con quale modello sociale ed economico potremmo affrontarle in modo efficace? Ritiene che democrazia e capitalismo siano conciliabili?
Benché il capitalismo contenga elementi contrari alla democrazia, finora non abbiamo trovato un modello socio-economico che le sia più favorevole. Tutti gli altri tentativi hanno creato concentrazioni di potere molto centralizzate che conducono alla corruzione e all’abuso. Inoltre, benché il capitalismo crei disuguaglianze, il mercato resta un meccanismo attraverso cui è possibile limitare il livello della disuguaglianza. Peraltro, il capitalismo fondato sul consumo di massa non può funzionare al meglio con grandi livelli di disuguaglianza. Ci sono sempre possibilità aperte ai processi di riforma interna del capitalismo.
Il progetto politico di rafforzamento della democrazia sovranazionale europea con il quale dare una risposta “progressiva” agli effetti perversi della globalizzazione non rischia di essere una soluzione buona solo per una élite cosmopolita, colta e abbiente? Questo progetto non implica la presenza di una sinistra progressista politica e sociale, forte e ben radicata territorialmente, quando invece la sinistra fatica a trovare una voce distinta nettamente da quella neo-liberistica, fatica a destare emozioni e a creare identità? A suo avviso che cosa possono e devono fare i partiti di sinistra per uscire dall’angolo in cui si trovano?
Storicamente la sinistra si è vista come una forza universalistica, pronta a difendere i lavoratori in tutti i paesi e a lottare contro le forme di esclusione sociale e politica; una forza con lo sguardo rivolto al futuro. Questo è un patrimonio prezioso da non perdere, che oggi sta ridiventando sempre più importante, perché la destra, a sua volta, sta riscoprendo la sua identità fatta di chiusura e grettezza che cerca l’esclusione di svariate categorie di persone: un’identità, che è stata la caratteristica della destra fascista. Questa è la posizione della destra, proteggere un’élite. La xenofobia dirige la rabbia del popolo contro i profughi, i migranti, gli islamici, gli ebrei, contro gli stranieri in genere, con l’obiettivo di nascondere un sistema economico che produce disuguaglianze.
Certamente, la situazione è oggi più complicata che nei decenni scorsi. Ci sono settori dell’economia, e dunque le vite di molti lavoratori, minacciati dalla globalizzazione. Ci sono anche persone di ogni classe, che si sentono minacciate dai recenti cambiamenti sociali, anche dai cambiamenti riguardanti il ruolo delle donne, per esempio. Visto che tutti questi cambiamenti vengono rubricati come appartenenti al “liberalismo”, la sinistra potrebbe essere tentata di adottare una posizione anti-liberale, conservatrice, nazionalistica. Ma in questo modo perderebbe i suoi contenuti di sinistra, ciò che la definisce. Dobbiamo trovare invece le strade che conducono verso un futuro, che non sarà neo-liberale, ma volto a creare più uguaglianza e più attenzione ai beni collettivi.
«Contro l’ingiustizia dobbiamo creare un’increspatura di speranza»
di Kerry Kennedy
Per le famiglie senza documenti che hanno affrontato la marcia di 2.100 miglia (circa 3.380 km) dal Guatemala agli Stati Uniti, la frontiera americana è un posto di costante caos. Nonostante le Corti federali e la campagna dell’organizzazione non-profit Robert F. Kennedy Human Rights abbiano costretto il Presidente Trump a porre fine alla sua crudele politica di “tolleranza zero” nei confronti degli immigrati, nessuno al confine è sicuro che la separazione dei membri delle famiglie sia da considerarsi un’azione effettivamente cessata.
Il disordine alla frontiera è diventato più acuto all’inizio di aprile, quando Donald Trump ha cacciato gran parte del Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti d’America, inclusi il Segretario Kirstjen Neilsen, la vice-segretario Claire M. Grady e il vice-direttore dell’Ufficio Immigrazione e Dogana per la loro riluttanza ad attuare nuovamente la controversa policy di separazione delle famiglie di Trump.
Mio padre, Robert F. Kennedy, una volta disse agli americani: «Il nostro atteggiamento verso gli immigrati riflette la nostra fede nell’ideale americano. Né la razza né il luogo di nascita dovrebbero condizionare le loro opportunità». Politiche di immigrazione repressive e crudeli non rendono grande l’America, semplicemente, ne ostacolano il progresso. I policymaker devono proteggere il diritto, riconosciuto internazionalmente, a cercare asilo, che ora è sotto attacco dall’Amministrazione Trump.
Nel giugno 2018, la Robert F. Kennedy Human Rights ha guidato attivisti, organizzazioni umanitarie e funzionari eletti nella campagna #BreakBreadNotFamilies («Spezza il pane, non le famiglie») per far smettere la disastrosa iniziativa che separava i bambini dai loro genitori, rinchiudendoli in gabbie. Secondo l’American Civil Liberties Union almeno 2.600 bambini migranti sono stati sottratti ai loro genitori durante i fermi. Il numero reale è probabilmente maggiore di diverse migliaia.
Mentre alcuni bambini sono rimasti nelle strutture del Texas, dove è avvenuta gran parte dei fermi, la maggior parte dei minori è stata spostata in centri di detenzione in altri punti del paese (circa 40 strutture in 18 Stati). L’ex Segretario Nielsen ha ammesso, davanti al Congresso, che il Dipartimento della sicurezza interna non è riuscito a mantenere un conto accurato di questi bambini, ostacolando in tal modo gli sforzi per riunirli con le famiglie.
Il Presidente Trump si è impegnato nel luglio 2018 a porre fine alla politica di separazione delle famiglie e a consentire ai figli di raggiungere i loro genitori nei mesi seguenti. Ora, cioè ad aprile 2019, almeno 120 bambini rimangono privi di famiglia. Il Dipartimento di Sicurezza nazionale ha ammesso, di fronte al Congresso, che molti di questi bambini probabilmente non ritroveranno mai più i loro genitori.
La nostra campagna nazionale ha portato a una protesta pubblica contro la separazione delle famiglie; ora, l’azione di molti sostenitori della tesi avversa prepara il suo indesiderato ritorno.
Agli inizi di aprile, il consigliere Stephen Miller ha proposto non solo di riadottare questa pratica, ma di rafforzarne la crudeltà tramite la cosiddetta politica della “Binary Choice” (1). Secondo questa proposta, le famiglie potrebbero dover volontariamente scegliere tra l’essere separate dai loro figli.
Quando mio padre visitò Johannesburg, Sudafrica, nel 1966, alla folla che si era raccolta disse: «Ogni volta che un uomo si ribella per un ideale, o agisce per migliorare la sorte degli altri o, ancora, si muove contro un’ingiustizia, crea una piccola increspatura di speranza. Quando queste onde, o essere sottoposti a fermo – a tempo indeterminato – come famiglia intera in una delle strutture di detenzione pericolose e affollate, come il Camp Ursula in Texas.
Ma la disumanità non si ferma qui. Oltre a proporre la “Binary Choice”, l’Amministrazione Trump ha prospettato di limitare fortemente il processo di asilo negli Stati Uniti (2). Tale mossa capovolgerebbe decadi di legge sull’immigrazione e si farebbe di fatto beffa del bipartisan Refugee Act del 1980, che formalmente protegge il diritto di cercare asilo nella legge statunitense.
Il Presidente Trump ha messo in chiaro che intende riattivare la separazione familiare, anche violando gli ordini delle Corti federali. La responsabilità della protezione che hanno le Corti verso i migranti senza documenti attualmente a rischio ora ricade sul Congresso. Ma, soprattutto, questa responsabilità ricade sui milioni di persone in tutto il territorio degli Stati Uniti che possono indurre il Congresso ad agire.
provenienti da milioni di diversi centri di energia e coraggio, si incontrano, costruiscono una corrente che può spazzare via i più possenti muri di oppressione e resistenza».
Questo momento cruciale ci mette nelle condizioni di essere quelle piccole onde di speranza che mio padre sapeva saremmo potuti essere. Le onde di speranza che dobbiamo essere, se vogliamo abbattere i muri dei centri di detenzione per migranti e riunire coloro che sono stati separati da politiche radicate nell’odio e nella paura. Questo è il nostro grande momento. Alziamoci per coglierlo.
(Traduzione dall’inglese di Martyna Kander)
Note
(1) Vedi: <https://www.politico.com/story/2019/04/10/trump-family-separation-binary-choice-1266675>.
(2) Vedi: <https://www.vox.com/2019/4/10/18302221/trump-immigration-miller-asylum-dhs-fire-separate>.