“Il sogno di una ‘società aperta’ europea è ancora attuale”. Intervista  a Giulio Giorello e Giuseppe Sabella

 

Nel tempo del sovranismo è ancora possibile pensare ad una “società aperta”? Su quali valori si può ripensare una “società aperta” europea? Lo  abbiamo chiesto, in questa intervista, a due autorevoli interlocutori: al filosofo Giulio Giorello e al sociologo del lavoro Giuseppe Sabella. Giorello e Sabella  sono autori di un interessante saggio, appena uscito  nelle librerie: Società aperta e lavoro. La rappresentanza tra ecocrisi e intelligenza artificiale  (Ed. Cantagalli, Milano 2019, pag. 96).

Giulio Giorello | docente di Filosofia della scienza presso l’Università degli Studi di Milano. È stato Presidente della SILFS (Società Italiana di Logica e Filosofia della Scienza). Ha vinto la IV edizione del Premio Nazionale Frascati Filosofia 2012. Dirige, presso l’editore Raffaello Cortina di Milano, la collana Scienza e idee e collabora alle pagine culturali del Corriere della Sera.

Giuseppe Sabella | direttore di Think-industry 4.0, think tank specializzato in lavoro e welfare. Ha collaborato e collabora con diverse testate tra cui Il Sole 24Ore, il sussidiario e Start Magazine. È spesso ospite del TGCom24 e del sito internet di Rainews24 (www.rainews.it) in veste di commentatore economico ed è autore di diversi saggi sui temi dell’industria e del lavoro. Per Cantagalli dirige la collana nova industria.

Giorello e Sabella, il vostro saggio sulla “società aperta” e il lavoro nella 4 rivoluzione industriale, assume, per me, il significato di un interessante “manifesto” liberal (o, se volete, di liberalismo sociale) nel tempo del sovranismo imperante. Si può intendere in questo modo?

Si. Tanto per ricordare il celebre insegnamento di Luigi Einaudi, il pensiero liberale non coincide affatto con il liberismo economico che, in quanto tale, è in crisi. Ma non sono in crisi la tradizione e la società liberale, che a noi piace chiamare società aperta.

Veniamo ai contenuti del libro. Professor Giorello, nel libro si parla diffusamente di “società aperta” e del filosofo della scienza Karl Popper. A lei chiedo: quali sono i valori della società aperta che sono minacciati dal sovranismo?

Tutti i valori della società aperta sono minacciati dal sovranismo, a cominciare dalla libertà intellettuale dei singoli e dalla tolleranza. Per non dire di quei valori che stanno alla base della ricerca scientifica. E poi, come diciamo nel libro, la competenza, l’innovazione, la giustizia sociale, il pluralismo, la pratica del dissenso e, naturalmente, la laicità.

Professore, Il grande idolo dei sovranisti, Vladimir Putin, ha affermato che il liberalismo è finito. Condivide questo giudizio?

Chissà che prima o poi non si possa constatare che “finiti” sono i tipi come Putin!

Perché la lezione di Karl Popper può essere attuale in questo tempo?

Karl Popper è stato un critico particolarmente acuto del totalitarismo, nelle sue più diverse forme. La sua critica è stata radicale dal punto di vista di tutti coloro che insistono sull’autonomia della ricerca scientifica. Ricordiamoci che tale autonomia ci ha garantito i maggiori successi delle nostre condizioni di vita negli ultimi quattro secoli: dalle applicazioni tecnologiche più significative ai progressi dell’indagine medica. In particolare, nel tempo della grande trasformazione, la lezione di Popper è importante – soprattutto per un Paese come il nostro – perché ci aiuta a comprendere come bisogna andare incontro al cambiamento e all’innovazione. Ovviamente la significatività della crescita tecnico-scientifica non deve minimamente far dimenticare la riflessione etica sulla condizione umana: altrimenti, il successo tecnologico può diventare un idolo. E di idolatria, non abbiamo alcun bisogno.

Oggi è tornata di moda la “sovranità” : “prima gli italiani”, con tutti gli annessi e connessi. Quella dei sovranisti e dei populisti è rancorosa. In una visione aperta, qual è il senso della sovranità?

Per noi sovranità non può che essere sovranità dello stato di diritto. Il sovranismo attuale tende invece a calpestare la dignità della legge: non fosse altro per il culto e il ruolo più o meno spregiudicato del leader. In questo senso costituisce un tradimento della miglior tradizione europea, a cominciare da Montesquieu.

Sabella, nel libro si parla del lavoro e delle sue trasformazioni. Dal punto di vista antropologico come viene percepito il suo valore oggi?

Nell’epoca della grande trasformazione del lavoro e, al contempo, della sua precarietà (intesa anche come mancanza), il lavoro viene percepito prima di tutto come “bisogno”: se vi è oggi un rischio di alienazione questa consiste nel pericolo di essere ai margini della società perché esclusi dal lavoro oltre che, paradossalmente, nel ritrovarsi schiavi dello stesso. Oggi la schiavitù la vediamo da una parte nel fenomeno dei braccianti, ma anche in quei casi meno visibili di dipendenza dal lavoro, tipici delle alte professioni. Ecco perché è molto interessante ciò che ci arriva dalla tradizione greca: scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero.

Oggi è il tempo della 4 rivoluzione industriale, anche se sopravvivono elementi di fordismo, come si difende il lavoro in questo tempo del culto della flessibilità?

Purtroppo, ad oggi, si continua a giocare troppo in difesa, anche per l’effetto della grande crisi economica che – soprattutto in Paesi come l’Italia – è ancora crisi del lavoro. Istat ci dice che la disoccupazione è scesa a livelli record (9,9%) ma continua a crescere il cosiddetto “lavoro povero”, come emerge dalla recente rilevazione Inps: continua il trend negativo delle ore lavorate (-4,8%) ed è in costante aumento il part time involontario per il 20% degli occupati. In sintesi, cosa si dovrebbe fare per aggredire la situazione? Una forte politica per gli investimenti e un intervento di rafforzamento del potere d’acquisto delle persone.

 

Sabella nel libro trattate anche del sindacato. Come può essere protagonista nel tempo della disintermediazione?

Per come vanno le cose oggi, il protagonismo dell’azione sindacale più prossimo è nei luoghi di lavoro. La trasformazione del lavoro e lo sviluppo del welfare offrono possibilità importanti alle Parti sociali dal punto di vista contrattuale. È questo un terreno dove ancora non si registra una forte spinta ma è auspicabile che ci si convinca a fare di più. Per il resto, sarebbe interessante che il sindacato tornasse ad essere soggetto per lo sviluppo: è chiaro che, in questo senso, ne è coinvolto il livello confederale, ovvero la parte più ingessata del sindacato. Il dichiarato intento dell’unità sindacale è importante ma non basta.

Ultima domanda per entrambi: il sogno di una “società aperta” europea è ancora attuale?

Oggi più che mai. Come abbiamo scritto nel libro, la società aperta non coincide affatto con la “società liquida” su cui ha tanto insistito Zygmunt Bauman. La società aperta è una società che sa difendersi. Per questo oggi la sua dimensione non può che essere decisamente europea. E cosa vuol dire società che sa difendersi? Significa, in breve, una società che sappia individuare e bloccare i fanatici e gli intolleranti, di qualunque matrice ideologica siano, religiosa o politica. Contro costoro non sono certo efficaci quei quattro nostalgici del marxismo che riducono il pensiero di Marx e Engels a poche formulette che vengono ripetute senza un minimo senso critico.

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