“L’autobiografia di una nazione nelle lettere di De Gasperi”: oggi pomeriggio alle 17, a Pieve Tesino, la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi propone una rilettura della storia italiana del Novecento attraverso importanti lettere inedite dello statista, finora sconosciute e riportate alla luce grazie all’Edizione nazionale dell’Epistolario di Alcide De Gasperi. Le lettere saranno interpretate dall’attore Andrea Castelli.
Dopo quindici edizioni della Lectio degasperiana, che hanno visto la presenza di storici, giornalisti, studiosi e uomini politici, l’appuntamento del 2019 darà voce direttamente al protagonista, Alcide De Gasperi, attraverso le sue lettere.
De Gasperi ha fatto politica usando con maestria la parola scritta e orale. I testi e i discorsi più importanti della sua vita testimoniano una grande potenza di pensiero e una straordinaria capacità di sintesi. Anche la sua azione di governo era affidata a lettere e istruzioni scritte, talvolta persuasive altre volte ultimative. Era uno statista che sapeva infondere coraggio al Paese senza rinunciare alla battaglia politica.
Allo stesso tempo, le sue lettere ci svelano un De Gasperi “altro”, diverso dall’immagine che comunamente si ha di lui. Incontriamo così un uomo energico, innamorato della sua terra e delle sue montagne, capace di alleggerire con l’ironia e con un’incredibile forza d’animo i tanti rovesci della sua vita. Per l’edizione 2019 della Lectio degasperiana è stato scelto il tema “L’autobiografia di una nazione nelle lettere di De Gasperi”. Le missive che costituiranno la trama dell’evento saranno interpretate dall’attore Andrea Castelli, che darà voce a De Gasperi e ai suoi corrispondenti e saranno contestualizzate da Giuseppe Tognon, presidente della Fondazione e dell’Edizione nazionale dell’Epistolario degasperiano.
Le circa trenta lettere scelte per la Lectio accompagneranno i presenti attraverso un viaggio nel Novecento e nella singolare parabola umana dello statista nato a Pieve Tesino nel 1881. Il percorso prende avvio nei primissimi anni del secolo scorso, quando si assiste all’affacciarsi di un giovane De Gasperi sulla scena dell’impegno civile nel contesto trentino tirolese. La prima guerra mondiale segna uno spartiacque fondamentale: qui le lettere si fanno scarne e dirette, ma non mancano di rilevare aneddoti curiosi, come l’impegno profuso da De Gasperi per ottenere la scarcerazione della giovane Bice Rizzi, futura prima direttrice del Museo del Risorgimento di Trento e figura di spicco del Novecento trentino.
Da uno spartiacque all’altro: la corrispondenza privata del futuro statista mostra il progressivo affermarsi del fascismo: nel 1925 le confidenze a don Guido de Gentili esprimono le difficoltà vissute in quegli anni: “Bisogna lasciarsi massacrare in silenzio; e la stampa fascista fa di me un vero massacro.” Durante il ventennio De Gasperi è un emarginato. Si sfoga così con don Luigi Sturzo: “Penoso è particolarmente il dover assistere inerti all’oscuramento d’idee che avevano illuminato tanto cammino della nostra vita”.
La corrispondenza si assottiglia un poco negli anni della guerra, per arricchirsi nel 1945, quando De Gasperi intraprende il percorso che lo porterà alla guida del Paese. Lo troviamo quindi a discutere con Togliatti del suffragio femminile, condividere con Nenni l’angoscia per il rischio di una guerra civile in Italia, trattare con Dossetti e Fanfani questioni interne alla Democrazia Cristiana…
Attorno a De Gasperi si muovono amici, collaboratori, compagni di partito, avversari politici, capi di Stato, religiosi… Per ognuno De Gasperi ha parole attente, a tratti dure, a tratti capaci di ironia, come quando ammonisce così un giovane Giulio Andreotti dicendo: “Quando diventerete saggi, v’accorgerete che avevo ragione; ma sarà tardi”.
Quasi tutti i materiali che verranno utilizzati per questo racconto sono ancora inediti: la Lectio degasperiana 2019, restituendo la parola al diretto protagonista, intende così gettare nuova luce su aspetti ancora poco noti dello statista e della storia italiana, facendo conoscere al pubblico il patrimonio documentale dell’Edizione nazionale dell’Epistolario di Alcide De Gasperi, il progetto avviatosi nel 2016 con il concorso dei più qualificati studiosi e di decine di giovani ricercatori, finalizzato a raccogliere e pubblicare su una piattaforma online tutte le lettere scritte e ricevute da De Gasperi (www.epistolariodegasperi.it).
Di seguito pubblichiamo, per gentile concessione, alcune lettere di Alcide De Gasperi
Da Alcide De Gasperi a Tullio Odorizzi, 29/[..]/[1927]: ” non è vero che la mia vita è spezzata, perché anche oggi, soffrendo, opero per lo stesso ideale, a cui fu tutta consacrata, ideale che rifulge sempre laggiù sull’orizzonte dell’avvenire, ch’io non toccherò forse, ma che sarà raggiunto da altri più giovani di me”
Archivio privato Tullio Odorizzi
29/[..]/[1927]
De Gasperi ringrazia Tullio Odorizzi per la lettera speditagli in carcere; le sue parole gli sono di conforto in un periodo di grave difficoltà, in seguito all’arresto. Egli ripercorre le proprie scelte come politico e come cattolico, ricordando che – nonostante tutto – egli servì un ideale e dunque, sebbene avesse forse potuto tacere come altri politici e cattolici fecero, non ritenne giusto seguire quella strada, pur causando in questo modo grave danno anche ai propri cari. Gli sono ora di conforto la lettura, soprattutto dei testi sacri, e la fede.
Roma 29
Caro Tullio, la Sua del 9 luglio passò la censura di Regina Coeli il 18 dello stesso mese e poi dormì lì insieme ad alcune altre fino che un mese dopo io stesso, avendone avuto sentore, le reclamai a mezzo dei carabinieri e le ottenni a mezzo della questura il 20 corrente, proprio in un periodo nel quale acuti disturbi intestinali mi obbligarono a letto. Eccole spiegato e credo anche scusato, perché non risposi prima. Da quando Ella scrisse, molti cambiamenti sono avvenuti nella mia sorte, con qualche miglioramento temporaneo e qualche delusione definitiva: tra i conforti la sua lettera fu uno dei più vivi. Sentirmi ricordato con tanta generosità di spirito e sincerità di affetto da un giovane militante in prima fila in quello che fu il movimento cattolico e da un giovane del suo cuore e del suo ingegno, arrivarmi questa giovanile voce amica in mezzo al forzato silenzio che tanto inclina al pessimismo e venirmi questo raggio di luce nell’ombra della solitudine che pare talvolta abbandono… oh, Dio sia ringraziato per l’ispirazione ch’Ella ha avuto.
Tuttavia non voglio ch’Ella ripeta l’atto coraggioso una seconda volta. Appena quindi riceverà questa mia, favorisca mandarmi in “Via di Villa Patrizi 6-8” una cartolina per dirmi che l’ha ricevuta; ma poi non mi scriva fino che non sarà certo d’aver trovato una via che l’assicuri dallo smarrimento.
Mio giovane amico, un’ombra talvolta mi passa sullo spirito, ed è quando Mefisto sorge alle mie spalle per dirmi: la tua vita è fallita, hai sbagliato strade. Allora mi sento vecchio e finito. Vedo tanti uomini buoni, tanti cattolici – e poiché gli altri tacciono, sembrano tutti – piegarsi ed esaltare (D. Rossi nel suo bollettino [Selleni] 30 giugno parla delle “nuove libertà concesse alla religione”) e un dubbio atroce mi assale, ch’io non abbia fatto, inutilmente, un gran torto alla mia famigliola, tirandole addosso tanti guai. Giacché Lei ben sa: io rappresentai la difesa in una trincea così avanzata, non come popolare, ma come cattolico. All’onore del partito già era stato provveduto. Se non fossi stato che popolare avrei potuto incominciare non dico a cedere, ma a tacere alcun tempo prima. Ma come cattolico, cioè con riguardo all’ispirazione e alla finalità cattolica e di fronte a certi altri cattolici che facevano il contrario, credetti di dover difendere alcuni principi lineari di vita pubblica – principi naturalmente relativi all’epoca e alla situazione sociale – e di doverli difendere, anche al di là di ogni immediata possibilità politica, cioè indipendentemente dalle probabilità della realizzazione.
Se Mefisto avesse ragione, qual responsabilità per me che mi vedo innanzi un avvenire tanto oscuro per i miei cari, ai quali mi legano obblighi sacrosanti!
Per fortuna il tentatore non domina a lungo nei miei consigli e il Signore pietosamente mi solleva in aere più ossigenata, in cui, invocando la buona fede colla quale servii l’ideale, passando in rassegna tutte le ragioni e le fasi del combattimento, il mio animo si afferra a questo pensiero: non è vero che la mia vita è spezzata, perché anche oggi, soffrendo, opero per lo stesso ideale, a cui fu tutta consacrata, ideale che rifulge sempre laggiù sull’orizzonte dell’avvenire, ch’io non toccherò forse, ma che sarà raggiunto da altri più giovani di me i quali nel contrastato cammino, troveranno conforto anche in questa mia passiva testimonianza. Comprende ora come debba apparirmi dolce e consolante la voce di un giovane cattolico come la sua?
In quanto alle condizioni mie Le dirò che se Regina Coeli (veda gli scherzi dei nomi) era l’Inferno, questa clinica è il Limbo.
Nella Cassazione però è inutile sperare, cosicché si profila la minaccia di tornare laggiù, quando la pena sarà definitiva.
Il ritornare mi riesce più grave che l’andare. Ho gran bisogno quindi ancora delle preghiere degli amici, che finora – e Dio li ricompensi – m’hanno conservata questa suprema solidarietà spirituale. Per ora leggo e studio i libri fondamentali che purtroppo nella vita ho trascurato. In quel volume della Bibbia che mi fu così prezioso trovo però un osso duro: i profeti. Se mi sapeste indicare un commento, una traduzione in qualche lingua moderna? A Giuliano sono sempre grato delle lettere e delle sue cure (quella indirizzata a Regina coeli non è arrivata).
Grazie di nuovo, che il Signore la compensi; mi saluti chi prega e chi, nel pensiero, è fedele all’idea per cui lottammo e siamo caduti. Non mi resta che una sostanza ed è la fede, la quale è però sostanza di cose sperate e argomento delle non apparenti!
L’abbraccio
Suo devoto!
Alcidegasperi
Da Alcide De Gasperi a Sergio Paronetto, 10/10/1943: “l’antifascismo è una pregiudiziale ricostruttiva. Lei capisce, quest’antifascismo non riguarda la tessera, ma l’animus, i metodi della vita pubblica”.
Archivio dell’Istituto Paolo VI, Concesio
Fondo Sergio Paronetto, sc. 2, faldone 21, cartella 6
De Gasperi spiega quale natura debba a suo giudizio assumere l’antifascismo, specialmente nei confronti delle giovani generazioni, per l’opera di ricostruzione dello Stato italiano e si compiace per l’articolo programmatico della rivista “Studium”, “La morale professionale del cittadino”, che Paronetto gli ha fatto pervenire in bozza e nel quale è contenuta un’ampia e approfondita analisi dell’atteggiamento degli intellettuali dell’Azione cattolica italiana sotto il regime.
10 ottobre 1943
Caro Sergio,
ho letto la sua amichevole lettera, il suo profondo ed equilibrato articolo, il vostro programma di emergenza colla presentazione del conto ai liberatori. Mi riservo di rileggere e di ripensare ancora.
Ma oggi mi affretto a ringraziarla prima di tutto della sua preziosa disposizione a partecipare al comune lavoro della D.C. Le confesso che non avevo capite le sue rapide dichiarazioni assenteiste. Senza dubbio l’immediato domani esige lavoro ricostruttivo, ma l’antifascismo a cui dobbiamo ancora tenere non è quello impastato di rappresaglie, di bandi e di esclusioni, ma è il criterio che ci serve a identificare, misurare e giudicare gli stessi antifascisti e non fascisti: la mentalità antilibertaria della dittatura borghese-repubblicana, militare-monarchica o proletario–comunista, la passione rivoluzionaria dei comitati di salute pubblica, l’ambizione giacobina d’improvvisare riforme, la suggestione del nuovo, dell’ardito a qualunque costo. Lei sa che queste sono mie preoccupazioni vecchie; ma forse non sa che si sono radicate ancora più profondamente nell’animo mio, in questi ultimi mesi di cospirazione (passi la presuntuosa parola) antifascista. Sventuratamente mi persuado sempre più che il fascismo è una mentalità quasi congenita alla generazione più giovane, una mentalità del resto atavica, nella quale riaffiorano molti fermenti del Risorgimento. Noi siamo un po’ nella situazione di Cesare Balbo e (un po’ più sinceri) di Gioberti in confronto degli insurrezionisti alla Mazzini; ma questa volta abbiamo il vantaggio di patrocinare la libertà in contrasto con l’esempio più esiziale dell’antilibertà demagogica: il fascismo. Ed ecco perché, in tale senso, l’antifascismo è una pregiudiziale ricostruttiva. Lei capisce, quest’antifascismo non riguarda la tessera, ma l’animus, i metodi della vita pubblica. Del resto, ove trova Lei, nel suo veramente magnifico articolo-programma di “Studium” l’antitesi che le permette il chiarimento e l’esame di coscienza, e l’esposizione dei propositi futuri se non nell’antifascismo? Che cosa si sarebbe dovuto fare, come e perché si è peccato, quale e quanta la nostra parte di colpa? Poiché nella dialettica umana il modo polemico suole essere il più efficace per ritrovare se stessi, ecco che l’antifascismo dovrà offrire a noi ancora per un pezzo un vasto campo di ricerche e orientamenti. Aggiungo che politicamente ne abbiamo bisogno anche per difendere la relativa bontà della democrazia e far tacere i cercatori di bene assoluto.
Credo che siamo d’accordo, vero? Anche se in tal maniera l’antifascismo sia un freno per la tecnocrazia? Lo permetterà di dire a me che, uscito dalla biblioteca, nel breve spazio di tempo che m’era consentito di farlo, sono venuto da voi e da altri in tutta umiltà per imparare ed aggiornarmi, con una sete del concreto e dell’elemento tecnico che non s’è lasciata vincere nemmeno dalla relatività delle conclusioni che i tecnici stessi da tali elementi ricavavano.
Plaudo toto corde alle linee direttive di “Studium” (e al coraggio di pubblicarle ora). Questo articolo e l’articolo e il gesto di Andreotti mi piacciono immensamente: riabilitano l’Azione Cattolica da tanti miserevoli adattamenti. Ecco il vantaggio della rivista, del settimanale di pensiero. Questa è la trincea, donde si possono puntare le artiglierie grosse, senza partecipare alla mischia quotidiana. I quotidiani no, per la contradizion che nol consente, e non comprendo come molti uomini saggi di A.C. questo non vogliano ammettere.
Dunque sono pienamente d’accordo col proposito ricostruttivo e con quello di non slittare: questo secondo è il più difficile e sarebbe davvero un immenso progresso se non si ripetessero gli errori del ’19, quando si fece la guerra al Partito Popolare in nome dell’“anima cristiana”!
Il “breve appunto” è un titolo modesto per un programma di emergenza: contributo prezioso. Potreste elaborarlo con motivazione per ciascun punto e omettendo naturalmente le punte ironiche introduttive? Mi pare utilissimo averlo in pronto, all’americana.
La mia curiosità è intensa di leggere le vostre conclusioni economiche, a integrazione di Malines. Tecnica economica e teologia: i belgi si sono sempre lamentati di non avere un contributo tecnico sufficiente. I vostri teologi sono più fortunati. I politici in genere hanno sempre rappresentato l’elemento più liberale. Pagina 224, primo capoverso, di Studium mi tranquillizza. Quando mi sorprendo con questa costante preoccupazione, sorrido di me, uomo, e dell’esperienza che feci. E pensare ch’ero il più ardito interventista della compagnia (senza la demagogia migliolina), ammiratore del Müller, uno scolaro, attraverso gli epigoni, del Vogelsang.
Dunque, concludiamo per il momento: partecipo di lontano coll’augurio ai vostri lavori e ne spero molto, per i cattolici e per i politici. Se ci sarà da imparare (e come non sarà?) mi avrete scolaro entusiasta, collo sguardo all’avvenire.
Dunque al comune lavoro per la nostra Patria, se Dio vorrà! Buona ventura!
Saluti cordiali in casa
Da Alcide De Gasperi a Giulio Andreotti, 16/02/1952: “Quando diventerete saggi, v’accorgerete che avevo ragione; ma sarà tardi”.
Archivio storico dell’Istituto Luigi Sturzo, Roma
Archivio Giulio Andreotti, ADG, b. 43, fasc. 4,1
De Gasperi scrive a Giulio Andreotti – fedele e devoto suo collaboratore, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dal maggio del 1947, in relazione a vicende interne al partito, con riferimento alle pubblicazioni di corrente e alle reazioni del segretario Guido Gonella. Siamo all’inizio del 1952 e Andreotti già percepisce che nel partito sta per chiudersi una fase e che dunque la sopravvivenza politica richiedeva strumenti adeguati di presenza e di propaganda. Si prepara a fondare una sua piccola corrente politica romana che si chiamerà “Primavera” per contrastare l’attivismo di Fanfani e delle sinistre del partito. La rivista ufficiale degli andreottiani – “Concretezza” – vide la luce nel gennaio 1955; la rivista qui menzionata da De Gasperi è invece probabilmente “Politica popolare”, che Andreotti aveva fondato con Attilio Piccioni da pochi mesi e che proprio il giorno prima della lettera di De Gasperi ad Andreotti (15 febbraio) Gonella aveva fatto chiudere al pari dell’altra rivista di corrente, “Iniziativa democratica”. In quei mesi DG, che iniziava ad essere esasperato dal correntismo interno alla DC, stava invece lavorando all’uscita di una rivista ufficiale e unitaria del partito: “la Discussione”.
16.II.52
Caro Andreotti,
com’era prevedibile Gonella trova estremamente penoso il fatto che il vostro giornaletto sia comparso, senza ch’egli ne fosse menomamente avvertito, e proprio mentre aveva sollecitato e in parte ottenuto la collaborazione vostra alla rivista del partito che appunto ha lo scopo di fungere da centro.
In verità ecco un’altra circostanza che aumenta la discrasia. Quando diventerete saggi, v’accorgerete che avevo ragione; ma sarà tardi.
De Gasperi
Da Alcide De Gasperi a Amintore Fanfani, 14/08/1954: “ Caro Fanfani, se le notizie che giungono oggi dalla Francia sono vere, anche solo per metà, ritengo che la causa della CED sia perduta e ritardato di qualche lustro ogni avviamento all’Unione Europea”.
Archivio storico del Senato della Repubblica, Roma
Fondo Fanfani, 1954_08_14 (I.4_UA_3)
Edizione in: A. De Gasperi, De Gasperi scrive, a cura di M.R. De Gasperi, P. De Gasperi, Cinisello Balsamo (Mi) 2018, pp. 311-312.
De Gasperi comunica ad Amintore Fanfani le sue angosce e preoccupazioni circa la creazione della Comunità europea di difesa.
14 agosto 1954
Caro Fanfani,
se le notizie che giungono oggi dalla Francia sono vere, anche solo per metà, ritengo che la causa della CED sia perduta e ritardato di qualche lustro ogni avviamento all’Unione Europea. Che una causa così decisiva e universale sia divenuta oggetto di contrattazione ministeriale proprio fra gruppi democratici e gruppi nazionalisti, che sognano ancora la gloria militare degli imperatori è veramente spettacolo desolante e di triste presagio per l’avvenire.
Tu puoi appena immaginare la mia pena aggravata dal fatto che non ho la forza né la possibilità di levare la voce, almeno per allontanare dal nostro paese la corresponsabilità di una simile iattura. Te ne ho già accennato nell’ultima mia, né comprendo perchè lo stesso partito, che pure nel Congresso di Napoli ha definita in modo inequivoco la nostra visione del problema, non abbia creduto di dire una parola in codeste sue ultime sedute. Certamente avrete avuto delle ragioni tattiche che non conosco e di lontano non posso giudicare. Ciò che temo è che anche il governo si tenga in seconda linea, contando sulle reazioni degli altri e facendo l’impressione di essere interessato nella faccenda solo subordinamente.
Ora si badi bene: Adenauer può forse essere disposto a inghiottire i rospi più grossi, per due ragioni: la prima quella di dissimulare una sconfitta che, se ammessa, farebbe crollare immediatamente e pericolosamente tutta la sua posizione interna; la seconda perché qualunque sia la forma finale della CED, quello che resta è il riarmo tedesco: ed è ciò che più gli importa, sia per l’unificazione tedesca, sia per i suoi rapporti con l’America. Dopo tutto anche le proposte di Mendes-France mantengono la difesa sull’Elba, impediscono l’attacco russo, e danno alla Germania un certo esercito.
Ma la povera Italia che ci sta a fare? Noi dovremmo sottoporci al semi-dissolvimento del nostro esercito solo per poter partecipare al campionario di truppe dislocate in Germania, ed avere l’onere di un più infranciosato comando a Parigi?
Ma soprattutto le proposte (secondo la stampa) lasciano capire che la Francia tenta di creare un provvisorio, per trarsi ora dall’imbarazzo ed essere libera domani di mutar fronte: essa vuole salvare ora il sistema atlantico, ma colla riserva domani di poterlo abbandonare, tutto il progetto è ispirato da diffidenza estrema verso quelle nazioni che sono chiamate alla comune difesa; e qui sta la delusione più amara. Come sperare con questi sentimenti, né ora né mai, di fare l’Europa? E allora, torno a chiedere, che ci stiamo a fare noi?
Perciò, se le proposte di Mendes-France sono queste, è meglio che l’Italia dichiari senz’altro e subito di non accettarle, e ne avverta preventivamente gli altri contraenti.
Forse il ritardo della ratifica, fonte della nostra debolezza, può d’altro canto essere utilizzato per dire che il Parlamento italiano non accoglierebbe mai le proposte modificazioni.
Sarebbe bene anche richiamare in quest’occasione alla memoria la circostanza che l’Italia non si è mai opposta alla partecipazione della Germania alla NATO; che anzi Sforza non obiettò, quando gli U.S.A. fecero tale suggerimento.
Scusami, se ti disturbo in questi giorni. Io non sono purtroppo in grado di recarmi a Roma. Ma io vorrei aver detto tutto il mio pensiero al segretario del Partito, che a sua volta, potrà far sapere, se crede, la mia opinione al governo.
Sono molto buio, e spero che forse il mio isolamento mi faccia vedere più nero di ciò che sarà. Auguriamocelo!
Affezionatissimo
Degasperi