Dopo il voto di fiducia del Parlamento, il governo Conte 2 si avvia alla sua attività ordinaria che ci permetterà di capire quali misure saranno messe in campo per effettuare quegli investimenti che possano consentire “crescita economica, maggiore occupazione e sviluppo sostenibile”, per citare le parole usate dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Entriamo in una fase che probabilmente vedrà più protagoniste di ieri le organizzazioni di rappresentanza di lavoro e impresa. Di questo abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0.
Sabella, dalle elezioni europee è emersa una commissione che sembra più aperta della precedente a politiche di sviluppo. Parallelamente in Italia, dopo la crisi d’agosto aperta da Matteo Salvini, è nato un governo che sembra trovarsi piuttosto allineato alla compagine guidata da Ursula Von der Leyen. È così?
Si, mi ritrovo nella sua analisi dei rapporti che intercorrono oggi tra Roma e Bruxelles aggiungendo un particolare: se consideriamo ciò che sta avvenendo in Gran Bretagna, non possiamo non dire che – per via diverse – il sovranismo inglese e quello italiano stanno sbattendo contro il muro. È presto per dare per morto il nazionalismo ma è evidente che, da questo nuovo ciclo che si sta avviando, la democrazia europea si sta rivelando più forte e longeva di quello che pensavamo. Aver fermato l’ascesa del nazionalismo italiano a trazione Salvini – che ci ha messo molto del suo – è fattore importante: è, insieme alla Brexit che si inceppa forse definitivamente, un colpo per l’intero movimento sovranista europeo. Dall’Europa devono però arrivare risposte concrete per le persone e per il lavoro, onde evitare che i movimenti nazionalisti tornino a rinsaldarsi. In questo quadro, la ripresa italiana è determinante.
E questo governo sarà in grado di dare la spinta a questa ripresa?
Benché non vi siano personalità di spicco, vi sono elementi che mi inducono a pensare che l’esecutivo Conte 2 può farsi male solo con le sue mani. La Commissione così ben disposta nei nostri confronti – e Gentiloni agli affari economici è il segno di una considerazione importante per il nostro Paese – è presupposto importante per questa spinta. E le organizzazioni di rappresentanza di lavoro e impresa possono giocare un ruolo nuovo, per ragioni diverse.
A cosa si riferisce?
Lavoro e sviluppo economico sono guidati da due ministri a cinque stelle. Il sindacato in particolare, per quanto un po’ lento e macchinoso, è soggetto robusto ove c’è consapevolezza piuttosto diffusa su bisogni e risposte da dare oggi al lavoro. Credo che il sindacato possa essere un interlocutore importante per questo governo. In secondo luogo, sono sicuro che sia M5s che Pd vedano nel sindacato quel soggetto utile anche per finalità politiche: per i due azionisti del Conte 2, il bisogno di allargare il proprio consenso è forte, lavorare bene con il sindacato significa – anche indirettamente – aiutare il governo a essere più popolare.
Maurizio Landini, che guida la Cgil, sembra piuttosto contento di questo nuovo governo. Non vi è pericolo che la Cgil torni a essere in modo nuovo “cinghia di trasmissione” di una parte della politica?
Sono in molti a chiederselo e, del resto, il consenso di cui godeva la candidatura di Vincenzo Colla alla segreteria generale – che fino all’ultimo ha tenuto testa a Landini – aveva proprio questa forte propensione: quella dell’autonomia del sindacato dalla politica. Sono tuttavia convinto che, oggi, per Landini sia più importante l’unità del sindacato che il ponte con la politica. E credo che, all’interno del sindacato, siano tutti consapevoli del fatto che il loro destino si gioca sull’unità sindacale.
Possiamo dire che siamo all’inizio della fine della disintermediazione?
È presto per affermarlo in modo così netto, anche perché mentre la politica ha fortemente accelerato sui processi decisionali – al di là del bene e del male – il sindacato ha sicuramente fatto progressi su questo punto ma il passo va velocizzato. Ad ogni modo, è evidente che sta avvenendo qualcosa per cui politica e sindacato stanno tornando nuovamente a cercarsi: del resto, i cantieri aperti in particolare su salario minimo e reddito di cittadinanza – misura che va assolutamente perfezionata se non vogliamo continuare a sprecare denaro – chiedono risposte intelligenti. La questione del salario minimo, in particolare, esprime tutta la complessità del nostro sistema lavoro e solo in modo condiviso si possono evitare danni: la soluzione passa attraverso la validazione dell’efficacia erga omnesdei contratti e la fissazione dei criteri di misurazione della rappresentatività. Si può scrivere una pagina importante a cinquant’anni dall’autunno caldo.
Si parla anche del taglio del cuneo fiscale…
Si. E onestamente credo che anche questo sia un aspetto da considerare con molta attenzione. Innanzitutto, parliamo di taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori, come – oltre ai sindacati – chiede la stessa Confindustria. In Italia, gli stipendi sono da 25 anni fermi e, come ci ha detto il rapporto Coop in questi giorni, lavoriamo mediamente 360 ore in più all’anno dei tedeschi con stipendi inferiori del 30% e, praticamente, lo stesso livello di cuneo fiscale. In questo momento non favorevole per l’economia, la leva fiscale è l’unico strumento che può riportare equilibrio nello scambio lavoro-salario, anche se qualcosa dovrà migliorare nel nostro modello contrattuale: senza la contrattazione territoriale, in tutte quelle aziende dove non vi sono accordi di secondo livello, vi sono forti limiti di distribuzione della ricchezza che, nella migliore delle ipotesi, avviene in modo unilaterale e del tutto arbitrario.
Proprio il taglio del cuneo fiscale, insieme a forme di incentivi annunciati per le imprese green e industria 4.0, è provvedimento piuttosto oneroso per le casse dello stato. È sicuramente interessante questa (per il momento apparente) virata di Bruxelles e Italia su politiche di sviluppo, ma con quali risorse può avvenire tutto questo?
Questo naturalmente è un aspetto fondamentale. Vedremo quali scelte concrete farà il governo. Detto questo, è chiaro che molto dipende anche da come i soldi vengono spesi: se sforando il deficit si scelgono misure di mero assistenzialismo, evidentemente non vi è nessun ritorno dal circuito dell’economia; se invece le stesse risorse vengono investite in un piano infrastrutturale, non solo si porta efficienza al nostro sistema produttivo ma si creano effetti positivi su occupazione e consumi. Credo che un paese come il nostro, che eccelle nell’industria e nella manifattura, debba fortemente innovarsi nelle sue infrastrutture che oggi creano un gap in termini di competitività.
E questo riavvicinamento di politica e sindacato, a che tipo di “autunno” prelude?
È sicuramente un fatto positivo che, se passa attraverso i giusti interventi, può essere preludio di una nuova stagione. Naturalmente ce lo auguriamo tutti anche se non sarà semplice. Le variabili sono diverse e molto dipenderà anche dalle politiche che l’Europa deciderà di mettere in campo. Da questo punto di vista, l’annuncio della BCE di far ripartire il Quantitative Easing, va visto con molta attenzione: il QE è strumento prezioso per un Paese come il nostro. E non solo per noi. Tuttavia, l’auspicio più grande è che tra il nazionalismo e la burocrazia possa esistere una terza via. E continuo a pensare che questa terza via è quella della democrazia liberale di cui l’Europa è terra d’origine. O, per usare parole di Karl Popper care a me e a Giulio Giorello, della “società aperta”.