“CONTE RISPONDE ALLA PAURA DI MITTAL” – INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA

Roma, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte incontra i vertici Mittal a Palazzo Chigi (LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili)

“Pronti al coinvolgimento pubblico” ha detto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte intervenendo sul caso Mittal aggiungendo che “l’importanza del siderurgico per l’economia italiana è strategica”. Il Governo è quindi vicino ad un accordo con ArcelorMittal? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0 che segue la vicenda Ilva dall’inizio.

Sabella, perché il Premier Conte dice che il Governo è pronto al coinvolgimento pubblico? Non è la proposta che è già stata presentata ad ArcelorMittal?

No, semmai è la richiesta che ArcelorMittal ha fatto al Governo. E con importante tempismo, Conte ha verificato condizioni politiche e possibilità dell’operazione.

Ma non si è sempre detto che Mittal non voleva il coinvolgimento del pubblico?

Sono cambiate molte cose, ad iniziare dallo stato d’animo della famiglia Mittal circa la loro permanenza nel nostro Paese. Quello che è successo di recente li ha spaventati.

Si spieghi meglio…

Da una parte vi è una situazione difficile dovuta alla difficoltà del mercato dell’acciaio. Deigli 8 milioni di tonnellate previsti per il 2019, ne saranno prodotti solo 4,5. L’azienda perde 2 milioni di euro al giorno e chiuderà l’esercizio 2019 con una perdita di circa 700 milioni. È quando hanno dichiarato al Tribunale di Milano e che risulta anche da fonti sindacali. Dall’altra, l’instabilità della politica italiana e la vicenda dello scudo penale ha spaventato l’azienda. Il 15 ottobre scorso, in ragione di questi timori, è maturata la nomina di Lucia Morselli, esperta manager italiana. E quando il 23 ottobre lo scudo penale viene stralciato dal decreto salva imprese, l’azienda dà un ultimatum al governo: o in 15 giorni ci ridate scudo o recediamo dal contratto. E così è stato: dopo averlo comunicato ai lavoratori e alle loro organizzazioni sindacali, hanno presentato il loro recesso.

In che modo, quindi, il Governo è riuscito a riaprire una trattativa con Mittal?

Fonti vicine all’azienda, confermano quello che il Premier Conte ha dichiarato ieri a Repubblica: il sig. Mittal è stato molto colpito dalla sua visita ai lavoratori della fabbrica di Taranto. Da quando è iniziata la gestione Mittal, gli “indiani” – come li chiama un importante esponente del Governo – sono stati abbandonati a loro stessi in un campo minato, dove le istituzioni, non solo locali, hanno fatto a gara ad alimentare la tensione inneggiando ad una fantomatica guerra di sovranità. Conte ha introdotto una tregua, il suo è un atto distensivo. Non poteva sfuggire al sig. Mittal. E bisogna dare atto a Giuseppe Conte di aver ripreso per i capelli una situazione disperata dopo che l’azienda aveva depositato il recesso dal contratto in Tribunale.

Perché Conte si è preso questa responsabilità andando in forte contrasto politico con Di Maio e Lezzi in particolare?

In prima istanza direi che Conte ha un’altra sensibilità politica che, dall’inizio dell’esperienza giallorossa, è in evidente contrasto con la linea Di Maio Lezzi. In secondo luogo, questa è l’occasione giusta per far vivere nel concreto il suo Green New Deal. Il Governo potrebbe trovare una sponda importante in Europa anche sotto forma di incentivi economici: ecco perché l’intesa sta facendo contenti tutti. Tranne i padri della revoca dello scudo penale che, involontariamente, hanno dato il via a una grande operazione non solo industriale.

Quali sono le condizioni di questo coinvolgimento pubblico?

Si è parlato di un coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti ma nelle ultime ore è maturata l’ipotesi Invitalia che potrebbe entrare direttamente nell’azionariato di ArcelorMittal Italia. Invitalia, infatti, non ha nessun vincolo statutario – come invece ha CDP – che le impedisce di entrare nel capitale di società in difficoltà come del resto è già avvenuto con IIA (Industria Italiana Autobus). È chiaro che se questa cosa si concretizza diventa più facile tutta l’operazione, anche in relazione ai paventati esuberi.

Oltre al coinvolgimento del pubblico e agli esuberi, su cosa stanno discutendo Governo e Mittal?

Stanno discutendo sul piano industriale e sul futuro dell’acciaieria di Taranto in particolare. Mittal vorrebbe tenere la produzione a 4,5 milioni di tonnellate quando per il rilancio di Taranto ne erano previste 8. E, soprattutto, Mittal vorrebbe produrre con più forni elettrici e meno altiforni a ciclo integrale, cosa che corrisponde a una minor occupazione. In sintesi: è sul futuro di Taranto in particolare che si stanno accordando.

Quali sono le variabili e le incognite di questa operazione?

Al momento è presto per aver le idee chiare sul nuovo piano industriale, anche se – oltre a quello di cui abbiamo appena parlato – sappiamo che il Governo sta lavorando per creare il cosiddetto polo del consumo dell’acciaio a Taranto coinvolgendo Fincantieri e Leonardo-Finmeccanica. Vi è tuttavia qualche grossa incognita politica e giudiziaria. In primis, a gennaio vi è un importante turno elettorale che per quanto locale potrebbe avere delle ripercussioni nazionali. Auguriamoci che, per il bene del Paese, si possa archiviare prima questa operazione e che eventuali scossoni politici non la compromettano. Non è un caso che Salvini oggi abbia detto che in economia meno cose lo Stato fa e meglio è. L’altra variabile è quella giudiziaria: tutto dipende dalla tregua che i commissari straordinari riusciranno a ottenere mercoledì 27 dal giudice del tribunale di Milano che deve decidere sul ricorso di urgenza contro il recesso. Se vi fosse, come probabile e auspicabile, il rinvio dell’udienza, si potrebbe guadagnare un mese di tempo, utile per definire quei dettagli indispensabili per trovare un accordo con Mittal. Tuttavia, già qualche buon segnale si sta manifestando…

Ovvero?

Non mi pare un caso che proprio oggi si è saputo che l’azienda entro domani pagherà il 100% dello scaduto al 31 ottobre.

In sintesi, come le sembra questa operazione di coinvolgimento pubblico del Governo?

Mi sembra una cosa molto importante. Stiamo attraversando tempi molto difficili: lo fa la Francia, lo hanno fatto anche gli USA, anche se con qualche specificità, al tempo della Joint Venture Fiat-Chrysler. Non vedo perché non può farlo l’Italia. Certo, operazioni come questa hanno senso su asset strategici. E questo lo è.

 

“Benvenuti in Mare aperto “. Il Manifesto delle “Sardine “

La manifestazione delle sardine in piazza verdi davanti al treatro Massimo, Palermo (ANSA/IGOR PETYX)

Il testo, presentato nella mattinata di ieri , inizia con una frase che richiama una delle espressioni più criticate di Salvini, quella rivolta verso i migranti appena arrivato al ministero dell’Interno: «La pacchia è finita». Per le sardine, invece, «la festa è finita» per i populisti, colpevoli di «aver rovesciato bugie e odio sui cittadini».

Ecco il manifesto integrale del movimento delle sardine.

«Benvenuti in mare aperto.

Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita.

Per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata. Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo. Avete approfittato della nostra buona fede, delle nostre paure e difficoltà per rapire la nostra attenzione. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota. Di quei contenuti non è rimasto più nulla.

Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare.

Per troppo tempo avete ridicolizzato argomenti serissimi per proteggervi buttando tutto in caciara.

Per troppo tempo avete spinto i vostri più fedeli seguaci a insultare e distruggere la vita delle persone sulla rete.

Per troppo tempo vi abbiamo lasciato campo libero, perché eravamo stupiti, storditi, inorriditi da quanto in basso poteste arrivare.

Adesso ci avete risvegliato. E siete gli unici a dover avere paura. Siamo scesi in una piazza, ci siamo guardati negli occhi, ci siamo contati. È stata energia pura. Lo sapete cosa abbiamo capito? Che basta guardarsi attorno per scoprire che siamo tanti, e molto più forti di voi.

Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto.

Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie.

Non c’è niente da cui ci dovete liberare, siamo noi che dobbiamo liberarci della vostra onnipresenza opprimente, a partire dalla rete. E lo stiamo già facendo. Perché grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare.

Siamo già centinaia di migliaia, e siamo pronti a dirvi basta. Lo faremo nelle nostre case, nelle nostre piazze, e sui social network. Condivideremo questo messaggio fino a farvi venire il mal di mare. Perché siamo le persone che si sacrificheranno per convincere i nostri vicini, i parenti, gli amici, i conoscenti che per troppo tempo gli avete mentito. E state certi che li convinceremo.

Vi siete spinti troppo lontani dalle vostre acque torbide e dal vostro porto sicuro. Noi siamo sardine libere, e adesso ci troverete ovunque. Benvenuti in mare aperto.

È chiaro che il pensiero dà fastidio, anche se chi pensa è muto come un pesce. Anzi, è un pesce. E come pesce è difficile da bloccare, perché lo protegge il mare. Com’è profondo il mare.

Firmato: 6000 sardine

“Le sardine possono intralciare il cammino di Salvini”. Intervista a Fabio Martini

Manifestazione delle Sardine a Bologna (LaPresse)

Dopo Bologna e Modena e in vista di domenica a Rimini, le ‘sardine’ sono pronte a farsi vedere anche a Reggio Emilia e Parma. “Reggio Emilia non si Lega”, questo il titolo dell’appuntamento di sabato 23 novembre alle ore 18.30 nel cuore della città, in piazza Prampolini. Presto, poi,  sarà la volta di Torino, Milano, Genova, Firenze, Puglia e altre città, tra cui Benevento, Reggio Emilia e Sorrento. Il movimento delle sardine (nato per proporre un’alternativa a Salvini e alla sua Lega) cresce e si moltiplica in tutta Italia, da Nord a Sud, con ritmi e numeri per certi versi inaspettati.  Con una strategia comunicativa  efficace: tallonare Salvini per togliere visibilità mediatica.  Così il boom di Piazza Maggiore nel capoluogo emiliano e poi il bis a Modena hanno creato emulazione, tanto che le manifestazioni già convocate in altre città hanno raggiunto in poche ore quasi migliaia  di adesioni. E il trend è in continua espansione, la controprova viene dalla pagina Facebook “Arcipelago delle Sardine” aperta in Puglia, che ha fatto segnare quasi 39mila iscrizioni in neanche 48 ore. Intanto la politica italiana, quella dei partiti di Governo, è alle prese con il problema dell’Ilva e della legge di bilancio. Con Fabio Martini, cronista parlamentare della Stampa, facciamo il punto sulle nuove dinamiche politiche.

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“IL FUTURO DELLA EX ILVA È TARGATO ARCELORMITTAL” INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA

Dopo l’incontro di venerdì scorso al Ministero dello Sviluppo economico in cui ArcelorMittal, rappresentata dall’ad Lucia Morselli, ha ribadito la volontà del suo disimpegno a far data dal 4 di dicembre, l’annunciata “battaglia del secolo” – parole di Luigi Di Maio – pareva inevitabile. La tensione tra ArcelorMittal e Governo Italiano, esplosa circa due settimane fa quando l’azienda ha presentato il suo recesso dal contratto, era tale da rendere impensabile un riavvicinamento. Si è parlato di nazionalizzazione della ex Ilva, di nuove/vecchie cordate e di nuovi soggetti privati (tipo i cinesi della Jingye, protagonisti del salvataggio di British Steel in UK) interessati a subentrare alla multinazionale franco-indiana. Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, ha sostenuto dall’inizio del caso – anche su queste pagine – che il dialogo si sarebbe riaperto. E così è stato.

Sabella, cosa le ha fatto credere che non ci sarebbe stata rottura tra Governo e ArcelorMittal?

Nonostante il clamoroso incidente – la revoca dello scudo penale – vi sono degli elementi nella vicenda che mi hanno sempre portato a pensare che Mittal non cercava la rottura e che il Governo italiano è consapevole che non ce la possiamo permettere; perché lo Stato Italiano è il primo a essere inadempiente e, quindi, a rischiare un risarcimento danni a favore di Mittal. L’azienda, da par suo, anzitutto da tempo segnalava le difficoltà di proseguire come da intese dello scorso settembre in ragione della contrazione del mercato dell’acciaio; quindi, al di là dello scudo penale, questo è il vero cuore della crisi della ex Ilva. E lo stesso avvicendamento al vertice, Lucia Morselli al posto di Matthieu Jehl, non ha senso nell’ottica di un disimpegno; ce l’ha invece in una prospettiva di vertenza, che è ciò, sin dall’inizio, è nelle intenzioni di Mittal.

In questo senso, la vicenda dello scudo penale ha offerto un grande pretesto all’azienda…

È così. Nell’accordo non vi è espressamente il richiamo allo scudo penale, ma vi è scritto che in caso di mutamenti della normativa ambientale che rendano impossibile l’esecuzione del contratto, dallo stesso si possa recedere. Quindi, facendo leva su questo errore del Governo, l’azienda ha esercitato il suo diritto di recesso; non per scappare ma, appunto, per arrivare a trattare i livelli occupazionali e, più in generale, le condizioni su cui poggia il suo investimento in Italia. In sintesi, possiamo dire che quella dell’azienda è una prova di forza nei confronti di una controparte inaffidabile e impreparata.

E come può finire questa vertenza?

È difficile fare una previsione dettagliata anche in ragione del coinvolgimento diretto della Cassa Depositi e Prestiti. Si sta sempre più delineando la possibilità che CDP faccia da capofila per creare attraverso società a partecipazione pubblica come Fincantieri e Finmeccanica un polo di nuove iniziative produttive legate al consumo di acciaio e localizzate nell’area tarantina. Questo polo potrebbe assorbire lavoratori in esubero da Mittal, sconti sull’affitto e un po’ di ammortizzatori sociali potrebbero fare il resto… ad ogni modo, la cosa importante è che un negoziato tra Mittal e Governo sia iniziato: auguriamoci che sia occasione di rilancio anche per il Sud che ha un bisogno estremo di ritrovare occasioni di ripresa.

Intanto, sia la Procura di Taranto sia quella di Milano stanno mettendo alle strette ArcelorMittal e, proprio ieri, la Guardia di Finanza di Milano è stata nella sede milanese dell’azienda: l’ipotesi al vaglio dei pm è che la crisi della ex Ilva sia stata pilotata. Lei cosa ne pensa?

Vedremo quali accertamenti farà la GdF. È auspicabile che l’azione della magistratura sia contenuta. Voglio appunto pensare che l’iniziativa del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – che ha ricevuto i Segretari Generali di Cgil Cisl Uil – introduca una nuova tregua dentro la vicenda perché questa tensione, anche giudiziaria, non fa bene a nessuno. Mittal ha vinto legittimamente una gara che l’ha portata a prendere possesso della ex Ilva (anche se non ne è ancora proprietaria), la cordata perdente Arvedi-Jindal non fece alcun ricorso. Io direi che è il momento di ragionare su come è andato questo primo anno, in particolare a Taranto, sia da un punto di vista industriale che ambientale. Mittal è player importante, non lasciamolo solo: approfittiamo di questa situazione per rilanciare il cuore dell’industria italiana – la siderurgia – e il recupero del territorio a Taranto.

Pochi giorni fa, si è appreso che ArcelorMittal ha investito 6 miliardi di euro per un’acciaieria in India. Secondo diversi osservatori, questo sarebbe un evidente segnale del suo disimpegno italiano. Lei come ha valutato questa notizia?

Effettivamente si tratta di un’operazione di rilievo e anche con numeri interessanti: si parla di una produzione di 10 milioni di tonnellate di acciaio e 4.000 lavoratori a fronte della produzione italiana di 4,5 milioni di tonnellate e 10 mila lavoratori (considerando quelli attualmente in cassa integrazione). Anzitutto, sull’affare indiano Mittal lavorava da due anni. E poi, Taranto è sito industriale importante anche da un punto di vista strategico per via del porto. In sintesi, credo che l’acciaieria di Taranto continui a essere interessante per Mittal. Il Governo deve però, come prima cosa, reintrodurre lo scudo penale.

E lo farà?

Si, lo scudo penale sarà reintrodotto, al di là delle dichiarazioni di facciata anche di quest’oggi. Non c’è alternativa, anche perché vorrei capire quale investitore sarebbe disposto a lavorare in un contesto devastato e reso pericoloso da chi c’era prima di lui sapendo che se succede qualcosa ne subisce delle conseguenze penali. Aggiungiamo che l’altoforno 2 è sotto sequestro da parte della magistratura perché non a norma ed entro il 13 dicembre, salvo proroghe, rischia lo spegnimento. Spegnere gli altiforni è operazione che ne mette in dubbio la tenuta e la successiva riaccensione. Ma dal 13 dicembre è difficile immaginare che non via sia tutela legale nell’area ex Ilva…

Sempre ieri, secondo fonti sindacali, ArcelorMittal avrebbe esplicitamente parlato della possibilità di fermare le cokerie. Non era stato detto che gli altiforni non saranno spenti? Perché fermare le cokerie?

Ieri i vertici aziendali hanno convocato d’urgenza i sindacati territoriali per via dei disagi che seguono alla protesta delle aziende che vantano pagamenti arretrati, in particolare il blocco della portineria C. Nella stessa riunione sindacale, il capo del personale Ferrucci ha assicurato che le aziende dell’indotto-appalto siderurgico saranno pagate. La sensazione è che ArcelorMittal abbia tirato la corda sentendosi a sua volta danneggiata. E che, nello specifico, la situazione con le aziende si normalizzerà non appena si inizieranno a trovare soluzioni all’intera vicenda. Speriamo che questa sia la lettura giusta perché le imprese dell’indotto e i loro imprenditori, anche piccoli, non meritano di pagare questo pegno.

Il ministro Patuanelli ha di recente parlato di “area a caldo nel breve periodo e poi decarbonizzazione”. Può essere questo il futuro di Taranto?

Può certamente essere impostato un percorso come questo, ma finalmente anche al Governo è chiaro che uno stabilimento a ciclo integrale non può essere decarbonizzato dall’oggi al domani, come da sempre sono andati dicendo diversi esponenti della maggioranza. E, anche in questo caso, serve accordarsi con ArcelorMittal: l’attuale piano industriale non prevede la decarbonizzazione dell’impianto.

Questa vicenda ha dato linfa al sentimento antindustriale che in Italia è ancora vivo. Possiamo permettercelo?

Ovviamente no, come non possiamo permetterci di trattare le multinazionali come dei rapaci predatori. Il punto vero è che con la complessità dell’industria dobbiamo interloquire e non siamo attrezzati: lo dimostrano i 160 tavoli di crisi aperti – oltre a Ilva, Whirlpool, Embraco, IIA, Pernigotti, etc – che da troppo tempo sono senza soluzione. E anche col processo dell’investimento dobbiamo imparare a relazionarci in un modo migliore, nel nostro interesse: il futuro del lavoro ci chiede di essere sempre più attrattivi come sistema Paese.

Benigno Zaccagnini nella storia della Repubblica. Un testo di Guido Formigoni

PIETRO CALABRESE BENIGNO ZACCAGNINI FLAMINIO PICCOLI MARIANO RUMOR 1979, FOTO CONTRASTO

Questo che pubblichiamo, per gentile concessione, è il testo dell’intervento di Guido
Formigoni, ordinario di Storia Contemporanea all’ Università IULM di Milano, durante
la commemorazione, a trent’anni dalla morte, di Benigno Zaccagnini. Alla
commemorazione, che si è tenuta a Ravenna martedì scorso, ha partecipato il Presidente
della Repubblica Sergio Mattarella. Continua a leggere