
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte interviene alla Camera dei Deputati (LaPresse)
Con questa intervista a Fabio Martini, cronista parlamentare del quotidiano “La Stampa”, facciamo un bilancio dell’anno che sta per finire provando ad immaginare, anche, i possibili sviluppi.
Fabio Martini, tra poche ore si chiude il 2019. Proviamo a fare un bilancio della politica italiana. Per cominciare partiamo dal Premier. In conferenza stampa è apparso tonico. Possiamo dire che il 2019, tra l’altro, è stato l’anno della emancipazione, o maturazione, politica di Giuseppe Conte?
In una stagione come quella che sta attraversando l’Italia, si può diventare Presidenti del Consiglio per caso, ma per restare un anno e mezzo a palazzo Chigi in una fase instabile ed emotiva come questa, serve stoffa. Il professor Giuseppe Conte ha percorso esattamente questo tragitto: è approdato casualmente ai piani alti della politica, ma ci è restato perché ha dimostrato di avere doti politiche per nulla scontate. Nella seconda metà del 2018 Conte ha preso le misure, parlando pochissimo, tenendosi lontano dai bagni di folla, distillando le sue apparizioni sui Social, disertando i talk show e prendendo dimestichezza con i dossier. Ma nel 2019 ha cambiato approccio. Nei primi sette mesi dell’anno, la litigiosità tra Salvini e Di Maio gli ha consentito via via di “esporsi”, assecondando la nascita di un “personaggio” sorridente, ansiolitico e competente. E’ riuscito a sopravvivere alla crisi di agosto, che avrebbe potuto cancellarlo dalla scena politica, per una ragione più forte di altre: per Pd e Cinque stelle era difficile trovare un presidente del Consiglio che rispondesse alla sua duttilità. Così capace di interpretare con professionalità l’incarico di avvocato di due cause così diverse. Sì, il 2019 è stato l’anno dell’emancipazione dai Cinque stelle e della maturazione, perché – per dirne solo una – un conto è incontrare i grandi della Terra per la prima volta, altro è rivederli ripetutamente.
Quale è stata la qualità che gli ha consentito di reggere una “barca”, non certo robusta, che fatica a trovare una direzione unitaria?
Un mare politico così tempestoso come quello che si è agitato tra il maggio 2018 ed oggi non si vedeva da anni e Conte è riuscito ad evitare che la barca naufragasse essenzialmente per tre ragioni: una sapienza politica evidentemente innata e accoppiata ad un’ambizione fortissima; una cultura giuridica che gli ha consentito di risparmiarsi infortuni legislativi, quasi inevitabili per un novizio come lui. La capacità di guadagnarsi la fiducia dei poteri forti, interni e internazionali, forze assai diverse tra loro. Uno Zelig dotato del talento “giusto” per interpretare questo ruolo, in una stagione nella quale la coerente visione del mondo non è l’attitudine più ricercata. Ma dovendo sintetizzare la virtù che gli ha consentito di tenere la barca, si potrebbe dire che è il personaggio che, a sorpresa, ha rivelato maggiore qualità politica rispetto agli altri leader di questa stagione. Tutti leader-follower, ma tra questi Conte ha dimostrato una professionalità che ne fa il più capace, in una stagione povera di classe dirigente.
Veniamo al governo, provando a dargli un voto, per carità provvisorio, che sintetizzi il suo operato, che voto daresti? Quali sono i risultati, oltre al blocco dell’Iva, che può mettere in “vetrina”?
La domanda ci sta, la risposta in questo caso deve essere interlocutoria in termini di voto. In termini di misure e provvedimenti siamo ancora in attesa di un segno forte e sinora l’unico effetto non misurabile ma palpabile riguarda la psicologia collettiva: Matteo Salvini aveva puntato sulla maieutica dei sentimenti: tirar fuori l’aggressività che ognuno di noi tiene sotto controllo. Questo governo è meno aggressivo e di conseguenza anche gli italiani sono portati a tenere sotto controllo questa pulsione.
Continuiamo con il governo. Sappiamo, però, che le insidie per il “Conte 2” sono tante: le elezioni regionali in Emilia-Romagna e quelle calabresi, la giustizia, la legge elettorale, il Caso Gregoretti, il referendum sul taglio dei parlamentari, le crisi aziendali.. Davvero un territorio molto minato, qual è il pericolo più grosso?
Le elezioni in Emilia-Romagna. Ci sono diversi risultati che risulterebbero destabilizzanti. Ovviamente una sconfitta del Pd. Ma paradossalmente altrettanto destabilizzante sarebbe anche il risultato al momento più probabile: una vittoria(netta!) del Governatore uscente, Stefano Bonaccini, e un risultato molto deludente dei Cinque stelle. Gli altri problemi sono tutti governabili.
Ragioniamo in prospettiva, sempre tenendo conto dell’estrema aleatorietà della politica italiana, vediamo , in sintesi, i possibili sviluppi per le principali forze politiche italiane.. Incominciamo dai 5Stelle… La vicenda delle dimissioni di Fioramonti da ministro è un ulteriore segnale del Caos che regna nei pentastellati.. Domanda : il 2020 sarà l’anno più pericoloso per i 5 Stelle?
Assolutamente sì. Sta venendo a maturazione la fisiologica contraddizione tra un movimento nato e cresciuto come anti-sistema e che una volta arrivato al potere, si scopre senza una cultura di governo. O meglio senza una gran voglia di averla. Ma poiché il lievito che teneva assieme elettori ed eletti era quello genericamente antagonista, è altrettanto fisiologico che affiorino sensibilità (per comodità chiamiamole di destra e di sinistra) che erano rimaste “affogate” dalla principale. L’implosione dei Cinque stelle è l’unica vera mina che può esplodere e far saltare il governo.
Veniamo al PD. Un partito in cerca di una identità. Pensi che il 2020 sarà l’anno, salvo clamorosi eventi negativi, di un maggior protagonismo politico per il PD (un qualche segnale in questa direzione Conte nella Conferenza stampa lo ha mandato)…
Dopo l’”emigrazione” a Bruxelles di Paolo Gentiloni, a guidare il Pd sono rimasti in due – Nicola Zingaretti e il capo delegazione al governo Dario Franceschini – che coltivano una naturale vocazione al quieto vivere. Certo, dopo un’iniziale e plateale acquiescenza, entrambi hanno capito che con i Cinque stelle è più produttivo farsi sentire, ma per vocazione si fanno vivi quando proprio non ne possono fare a meno. O a cose fatte. Come nel caso della prescrizione. La conferenza programmatica di Bologna, che aveva fatto registrare qualche segnale identitario, è esemplare: è tutto caduto nell’oblio. A cominciare dalla bella relazione di Fabrizio Barca, che era ricca di spunti per una moderna sinistra di governo. Non se ne è saputo più nulla. Ma una resipiscenza identitaria è fatale che si manifesti: se dopo aver contrattato l’Agenda 2000, i Cinque stelle dopo qualche mese dovessero ricominciare ad essere inquieti, a quel punto il Pd sarà spinto a trarne le conseguenze.
Matteo Renzi sembra in sofferenza. Sappiamo quanto sia importante per Renzi il potere. È questo può rappresentare un pericolo per Conte. Come sarà il 2020 di Renzi?
Per Matteo Renzi la cosa più importante è esserci, sempre e comunque. Il potere è un mezzo per continuare a pesare. In questo senso la stella polare di Renzi è rappresentata dalla consistenza dei suoi gruppi parlamentari. Con i Gruppi Renzi può continuare a condizionare la politica italiana: mantenere – o non compromette più di tanto – quella dote in nuove elezioni, sarà la stella polare di Renzi nel 2020. Ciò detto, i tanti errori che ne hanno compromesso la carriera e bloccato l’ascesa, non hanno cancellato la qualità politica di Renzi, quel mix di intuito, velocità, decisionismo, conoscenza dei dossier e di come vanno le cose nel mondo, che consentono all’ex sindaco di Firenze di restare uno degli artefici della politica nazionale.
Matteo Salvini. La sua continua campagna elettorale è fonte di tensioni per la democrazia italiana. Pensi che l’aumento di consensi della Meloni lo preoccupi? Il 2020 sarà l’anno del conflitto per la leadership sovranista?
Il consenso, non solo virtuale, che accompagna l’ascesa di Giorgia Meloni infastidisce Matteo Salvini, ma non al punto di determinare un conflitto a destra. Il leader della Lega sta dentro il solco democratico, con parole di destra alla quali il “sistema” non era abituato. Ma se il governo saprà rilanciarsi, il problema di Salvini, più che la Meloni, è come restare a galla, continuando ad alimentare per anni l’antagonismo, l’aggressività. La strategia della tensione prima o poi crea ansia. Ecco, Salvini sarà chiamato a trovare un equilibrio: restare ansiogeno sì, ma al punto “giusto”.
I sondaggi per Forza Italia sono pessimi. Ci sarà un destino sempre più leghista?
Silvio Berlusconi, al suo apparire uno dei leader più innovatori nella storia del dopoguerra, non ha saputo gestire il suo crepuscolo politico: anche se Salvini ha fatto il pieno degli elettori forzisti delusi, il centrodestra sembra inesorabilmente vincolato da una vocazione sovranista.
Infine le “6000 sardine”. Il movimento, sul piano della visibilità mediatica, fino adesso, ha creato non pochi problemi a Salvini. E questo sarà determinante per il voto in Emilia. Pensi che si consoliderà questo ruolo?
Le sardine per ora sono un termometro, che esprimono uno stato d’animo. Di stanchezza per i partiti tradizionali, per una politica aggressiva e parolaia. Certo, sono progressiste e anti-Salvini e senza di loro molti giovani emiliani genericamente di sinistra non sarebbero andati a votare. Certo, se da movimento diventassero partito, per il Pd sarebbero dolori: finirebbero per sottrarre consensi e preziose percentuali. Anche per questo motivo, la cosa più probabile è che il loro destino finisca per riprodurre quello dei Girotondi: favorire la partecipazione, la protesta di piazza ma senza strutturarsi in partito, anche se la Sardine più ambiziose o più motivate finiranno in qualche lista.
Ultima domanda: la parola chiave per il 2020?
Due parole-chiave. La prima è “destra”. Se dopo le elezioni inglesi, il centro-destra dovesse vincere le importanti Municipali francesi di marzo, potrebbe determinarsi un’onda di destra chiamata a trovare conferma – o smentita – nelle presidenziali americane di novembre. La conferma di Trump, dopo 4 anni nei quali non si è certo nascosto, sarebbe un evento trascinante. L’altra parola-chiave è “partecipazione attiva”: dopo anni di virtualità trionfante – tutti chiusi a casa, dietro ad un computer o su una metropolitana a compulsare cellulari – si moltiplicano i segnali che invocano “fisicità”, voglia di esserci, di incidere. La straordinaria partecipazione ai comizi di Salvini e quella alle piazze delle Sardine, tante iniziative sottostimate nelle periferie della città, un volontariato giovanile silenzioso e generoso ma anche un ambientalismo sempre meno parolaio sono tutti segnali che fanno capire che in giro ci sono fermenti che potrebbero trasformare la partecipazione attiva in un fenomeno di stagione.