“NESSUNA ALTERNATIVA AD ARCELORMITTAL, SEMPRE PIÙ FORTE NELLA TRATTATIVA COL GOVERNO”. INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA

Da oggi, l’altoforno 2 è di nuovo sotto sequestro senza facoltà d’uso. Gli avvocati di Ilva in amministrazione straordinaria presenteranno l’impugnazione al Riesame contro il diniego alla proroga per l’altoforno in modo da discuterlo in udienza il 30 dicembre e così da fermare il cronoprogramma per lo spegnimento già delle prime battute per non compromettere ulteriormente la situazione della fabbrica. Resta tuttavia da trovare un’intesa con ArcelorMittal e far fronte all’intenzione dell’azienda di congedare 4.700 lavoratori. Ne abbiamo parlato Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, che dall’inizio segue le vicende della ex Ilva.

Sabella, come si inserisce l’ordine di spegnimento dell’altoforno 2 nella vertenza con Mittal?

Naturalmente, questo è elemento decisivo. Perché, a questo punto, l’azienda trova una conferma di quanto sostiene nel suo documento di recesso, ovvero di essere impossibilitata ad attuare il suo piano industriale e, in generale, a eseguire il contratto. L’ordine perentorio di fermo dell’altoforno 2 da parte della magistratura di fatto rende differente le condizioni sulle quali Mittal si è accordata col governo, al di là della vicenda dello scudo penale e al di là del fatto che, per le stesse ragioni, il rischio di spegnimento potrebbe estendersi anche agli altiforni 1 e 4. Quindi, a questo punto, il governo deve fare del suo meglio per convincere l’azienda che si trova in una posizione di forza, come del resto è sempre stata.

Qualcuno, in questi giorni, ha parlato di una lettera con cui Mittal avrebbe proposto un indennizzo al governo per risolvere consensualmente la vicenda…

Ho sempre pensato che si trattasse di una boutade e gli avvenimenti delle ultime ore lo confermano. Mittal è in una posizione di forza, sarebbe semmai più credibile che avesse chiesto di essere indennizzata. Tuttavia, la trattativa si sta facendo serrata. Vedremo in questi giorni cosa ne uscirà.

Secondo lei cosa potrebbe uscirne?

Penso che Governo e azienda abbiano l’obiettivo comune di trovare un’intesa entro il 20 di dicembre che permetta a Ilva in amministrazione straordinaria (ovvero al Governo) di chiedere al Tribunale di Milano un rinvio del pronunciamento del Giudice circa sul contenzioso in essere con Mittal, ovvero sulla discussione del ricorso cautelare urgente, ex articolo 700 del Codice di procedura civile, con cui i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria hanno impugnato il recesso dal contratto di fitto da parte di ArcelorMittal.

E come potrebbero intendersi in tempi così brevi governo e azienda?

Naturalmente, c’è tempo soltanto per un’intesa di massima che poi – in caso di rinvio del pronunciamento del Tribunale di Milano – potrà essere perfezionata. Quello che il governo sta proponendo all’azienda, al di là di una possibile partecipazione che vedremo in quali forme potrà attuarsi, è un piano quinquennale in cui una società pubblica si occuperà della sostituzione delle fonti energetiche che alimentano gli altiforni attraverso la tecnologia DRI (o preridotto), un rifacimento degli stessi integrandoli con uno o più forni a conduzione elettrica e il proseguo delle bonifiche ambientali. L’obiettivo finale è di innovare la produzione e di portarla ai livelli previsti un anno fa, in modo anche da ridurre al minimo eventuali esuberi. Qualche esubero ci sarà perché è inevitabile: l’introduzione delle nuove tecnologie innova la catena produttiva riducendo la forza lavoro. Ma credo che siamo lontani da questi 4.700 di cui si parla.

Perché ritiene che gli esuberi saranno ridotti al minimo e non saranno quelli di cui si fa menzione?

Ancora non conosciamo i dettagli di questa operazione, quindi possiamo solo ragionare per induzione. Tuttavia, in primis direi che il governo, in questa situazione, non può permettersi un licenziamento collettivo di questa portata. E, in secondo luogo, un progetto di rilancio del “cantiere Taranto” con il polo del consumo dell’acciaio (Fincantieri, Finmeccanica-Leonardo) può farci pensare che possibili soluzioni per non far morire Taranto ci sono. Sta al Governo lavorare per una proposta seria che convinca Mittal da una parte e politica e sindacato dall’altra. Al di là degli interlocutori e delle loro capacità – il Premier Conte, i ministri Patuanelli e Gualtieri oltre al consulente Caio – l’incertezza politica soprattutto rende molto complicata questa trattativa.

Dovendosi sbilanciare, governo e Mittal troveranno un accordo?

Si, penso che lo troveranno. Il governo non può permettersi di perdere Mittal e per l’azienda, dall’inizio, la ex Ilva è strategica. Le voci su Mittal che compra per poi chiudere sono fuorvianti, credo piuttosto che Mittal abbia capito poco in questo anno di come funziona il complesso impianto tarantino.

In che senso Mittal avrebbe capito poco?

Se ad un anno dagli accordi ci troviamo un’azienda che dice che al 2023 vuole ridurre i livelli occupazionali a 7.000 unità – da 11.700 – le cose sono due: o l’azienda un anno fa era in malafede, e come dice qualcuno ha comprato perché interessata ai clienti e per poi chiudere, oppure qualcosa ha sbagliato. Tertium non datur. Io penso che ci sia stato qualche errore di valutazione e qualche difficoltà a far funzionare al meglio la ex Ilva.

Può spiegare meglio questo punto?

Mittal dà la colpa alla crisi dell’acciaio ma l’andamento del comparto è altamente ciclico: possibile che il più importante produttore di acciaio non lo sapesse quando ha firmato gli accordi? Circa due settimane fa, si è appreso che l’azienda avrebbe allontanato l’ingegner Sergio Palmisano perché avrebbe detto ai pm di Milano che “i conti della fabbrica non andavano bene perché non si riusciva a smaltire la ghisa prodotta”. L’azienda non ha mai smentito questa ricostruzione ed è questo l’ultimo elemento che denota qualcosa che non funziona all’interno della catena produttiva. L’impressione è che Mittal abbia capito poco del complesso impianto tarantino e che abbia bisogno di essere aiutata da chi ne conosce il funzionamento. Nel sindacato, c’è chi conosce molto bene il sito produttivo di Taranto.

Quindi il futuro della ex Ilva sarà ancora targato Mittal? Patuanelli ha detto “avanti anche senza Mittal”…

La verità è che a Mittal non c’è alternativa. Il governo, o forse sarebbe meglio dire il M5S, sta interloquendo in modo molto riservato anche con qualche azienda cinese (Jingye, Baosteel) ma più che altro lo fa per tenere in pugno Mittal, al di là dell’interesse dei cinesi. Certo se con Mittal ci fosse rottura… ma, come dicevo prima, non credo. Piuttosto, dovremmo capire e valutare quanto ci costa porre rimedio a questa situazione in cui ancora una volta si evince che il made in Italy compete nel mondo zavorrato da politica e magistratura. Abbiamo bisogno di un ammodernamento rapito del nostro Paese, altrimenti ci ritroveremo tra 5/10 anni a essere pesantemente staccati dalle economie più avanzate e superati da quelle emergenti. Altro che secondo Paese manifatturiero d’Europa…

Crisi 5Stelle, chi comanda nel Movimento? Intervista a Nicola Biondo

Sono giorni difficili per il governo del nostro Paese. Indubbiamente tra gli elementi che suscitano tensione c’è la situazione dei 5Stelle. Un Movimento attraversato da divisioni. In questa intervista con il giornalista Nicola Biondo, autore con Marco Canestrari di due importanti saggi sul Movimento 5Stelle (Supernova, Il Sistema Casaleggio), cerchiamo di approfondire le ragioni di questo che è, per alcuni osservatori, un vero e proprio caos.

 

Nicola Biondo, lei ha studiato a fondo il Movimento 5stelle (le ha dedicato due libri inchiesta, scritti insieme a Marco Canestrari), è stato anche capo comunicazione del gruppo parlamentare dei 5stelle alla Camera. Conosce, quindi, gli “arcana” del Movimento. Partiamo dai recenti fatti di cronaca politica : la spaccatura avvenuta nel gruppo 5stelle a Strasburgo sulla Commissione Europea e alle posizioni espresse da Di Maio sul Mes. Le chiedo: ma il Movimento non era diventato europeista? Perché continua a subire il fascino della propaganda sovranista?

Il Movimento non ha una cassaforte di valori, è un prodotto di marketing. Per questo può cambiare idea su punti chiave della politica economica o estera. Subisce il fascino del potere e quindi della propaganda tout court.

 

Come si è visto, platealmente,  durante il dibattito alla Camera sul Mes i rapporti tra Di Maio e Conte sono assai usurati. Di Maio sembra ormai non fidarsi più di Conte, quasi lo considera un corpo estraneo, eppure gode della stima di Beppe grillo… Come si evolverà questo rapporto?

Per prevedere le mosse del Movimento bisogna guardare agli interessi del suo “proprietario e gestore” Davide Casaleggio. Sono i suoi interessi a far muovere la creatura che gestisce. Il resto è teatrino, e pure di bassa lega. Eppure c’è un grande spazio politico al momento vuoto. Ma il personale politico del Movimento, a partire dalla sua leadership, non è mai stato all’altezza.

 

Sarebbe interessante sapere cosa pensa Casaleggio di Conte. Che giudizio ne ha? 

Casaleggio è stato tenuto all’oscuro di alcuni passaggi del governo Conte. Ma non illudiamoci: Conte sa che la sua leadership esiste finché starà a Palazzo Chigi. Non parlerà mai per esempio del conflitto di interessi del sistema Casaleggio, un sistema integrato di relazioni, business e politica.

 

Parliamo più in profondità del Movimento. 

Di fronte a tante fibrillazioni dei gruppi parlamentari, con conseguente divisioni interne sorge spontanea la domanda: di chi è davvero il partito a 5 stelle, chi lo governa, chi garantisce sulla sua tenuta? 

Al di là di Casaleggio sono evidenti una serie di spinte che hanno consentito di raggiungere il 32% di voti alle ultime elezioni. Era il sogno di una moltitudine di portatori di interessi avere come classe politica di riferimento un gruppo assai debole e quindi controllabile. Grandi firme dei media, paesi esteri, grosse aziende: il Movimento è stato un gigantesco taxi che ha traghettato ai vertici della politica un gruppo dirigente raffazzonato, degli avatar in carne ed ossa. E a sua volta ha dato un passaggio ad interessi internazionali molto forti, come l’espansionismo cinese. Le fibrillazioni sono frutto di questa debolezza intrinseca del gruppo dirigente. È una storia di arrivismi, grandi e piccoli, di invidie e miserie, perché dietro come dicevo non c’è un impianto valoriale forte.

Partiamo da un fatto. C’è un’egemonia culturale e linguistica nei media, sulla rete, come nelle piazze che proviene dalle battaglie di Gianroberto Casaleggio. Il grillismo ha vinto. E la sua vittoria coincide con una totale evanescenza dell’Italia in seno alle istituzioni europee e internazionali e sui dossier più caldi, a partire dall’emergenza climatica alla Libia.

Chiariamoci: non è che prima l’Italia era bengodi. Quella che è stata sdoganata dalla propaganda di Casaleggio è un neo-berlusconismo: ancora più volgare nelle forme e assai più pericoloso nella sostanza. Berlusconi non ha mai incarnato un reale pericolo per le libertà democratiche. Il Movimento che guarda Putin, che beatifica ogni regime autoritario dalla Cina al Venezuela, all’Iran è sconcertante.

 

Cosa fa e quanto conta davvero Davide Casaleggio?

Lei come chiamerebbe la persona che gestisce un’azienda? Ecco, Casaleggio è il Presidente della ditta e Di Maio il suo amministratore delegato. In caso di scontro è il secondo che va via. Casaleggio gestisce il Movimento come braccio politico di un sistema che deve proteggere e fare da volano alla sua attività di imprenditore.

 

Qual è la mappa del potere di Davide Casaleggio? 

Aziende pubbliche, come Poste italiane, associazioni di categoria come Federmanager, aziende private e multinazionali, come Philip Morris: tutte queste realtà compongono il suo portfolio, sono suoi clienti o suoi interlocutori. La lista dei suoi clienti è la scatola nera che spiega tanti passaggi fatti dal suo Movimento. E poi media e università private, grand commis e banchieri come Matteo Arpe.

La domanda è: quando l’avventura governativa del Movimento terminerà, il fatturato della sua azienda ne soffrirà?

In questo momento Casaleggio è il lobbista più potente d’Italia.

 

Come sono, secondo lei, i rapporti tra Davide Casaleggio e Beppe Grillo?

Non si sono mai amati. L’ultima telefonata intercorsa tra Grillo e Gianroberto finì con un “vaffa” da parte di quest’ultimo come abbiamo raccontato in Supernova, che ho scritto con Marco Canestrari. Grillo non ha mai contato molto al livello pratico, era il megafono, il volto, la cui voce e le cui parole appartenevano ad una serie di ghostwriter, a partire ovviamente da Casaleggio senior. In questa lista ci siamo anche io e Marco…

 

Tra gli elementi di criticità del Movimento c’è la “Piattaforma Rousseau”. Una piattaforma, secondo alcuni, molto fragile… 

“Rousseau” è una macchina con gravi limiti. La deputata Gloria Vizzini, uscita dal Movimento, disse che per chi la gestisce “la privacy era un optional”. Casaleggio disse anche che c’era un ente terzo a garantire la correttezza del voto online. Io scoprii che l’entrata del terzo altro non era che l’azienda che aveva messo in piedi l’infrastruttura, era un cliente. Un po’ come chiedere all’oste se il vino è buono.

 

Come nasce la “simpatia” dei 5stelle verso la Cina? 

Nel 2013 viene esplicitata con un incontro presso Casaleggio associati tra Grillo, Gianroberto e l’allora ambasciatore cinese. Un incontro che i due fondatori hanno tenuto oscurato. L’ambasciata cinese ha redato un breve comunicato pubblicato sul suo sito in cui si accennava a “temi di comune interesse”. Oggi con l’asse ben rinsaldato possiamo  intuire di cosa si trattava, era l’inizio della nuova “via della seta”. Ma lo sa che Casaleggio ha rapporti con un’università cinese e con realtà imprenditoriali di quel paese?

 

Torniamo alla politica del 5stelle. Di Maio osteggia, nonostante Grillo, sempre di più gli accordi con il centrosinistra. La terza via di Di Maio, “non siamo nè di destra nè di sinistra”, non è un bel favore alla Destra?

Luigi ha un problema, così come lo hanno i suoi colleghi arrivati al secondo mandato. Come rimanere attaccati al taxi che li ha proiettati fin lì. A me risulta che Grillo, nonostante non ami Di Maio, non l’abbia mai messo in discussione. Il resto è la solita guerra di spin e tra uffici della comunicazione.

 

Ultima domanda: Quale potrà essere l’evoluzione dei 5stelle? 

Molto dipenderà dal quadro internazionale. Non sono riusciti ad attaccarsi al carro di Trump, hanno messo in disparte il legame con il regime di Putin,  e si sono rivolti alla Cina.

Se si dovesse andare alle elezioni a scadenza naturale, cioè nel 2023 forse il Movimento non ci sarà più. Io non mi aspetto scissioni, il presepe messo in piedi dalla propaganda di Casaleggio ha funzionato perché c’erano figure diverse ma in realtà il collante era questo brand, quello a cinque stelle. Mireranno a essere l’ago della bilancia, con percentuali assai più basse di oggi. E chissà se funzionerà. Ma mi lasci dire una cosa: il Movimento per come era stato immaginato oltre dieci anni fa dai primi attivisti, gente come Giovanni Favia o Serenetta Monti e Valentino Tavolazzi, è morto da tempo. Quello che abbiamo visto all’opera è un azienda-partito, lontano anni luce da quello che sarebbe dovuto essere e non è mai stato. È stata un’occasione persa, malamente.

 

Foto Ansa