Nel ventennale della morte di Bettino Craxi sono usciti diversi libri che ricordano la figura del leader socialista, tra questi c’è l’importante saggio di Fabio Martini, uscito per la casa editrice Rubbettino, dal titolo “Controvento. La vera storia di Bettino Craxi”. Il libro vuole raccontare il “vero” Craxi, l’ultimo leader della Prima Repubblica. Una figura che “parla” alla politica dei nostri giorni con la sua lunga gavetta, diversa dalle fulminee ascese di tempi più recenti: Craxi impiegò 24 anni prima di diventare segretario del Psi, un apprendistato che lo aiuterà a guidare uno dei governi più longevi dell’Italia repubblicana. Volle la migliore élite del Paese e prese decisioni impopolari, contribuendo all’ultima stagione di crescita dell’Italia. Leader accentratore e controverso, non fu mai populista. Fabio Martini getta, così, una nuova luce su molte pagine oscurate o inedite della vicenda politica e umana di Craxi… In questa intervista con l’autore cerchiamo, anche, di fare un ragionamento un pochino più profondo su alcuni “nodi” problematici della figura di Bettino Craxi. Fabio Martini è Cronista parlamentare del quotidiano “La Stampa”.
Fabio Martini, partiamo, nel ventennale della morte di Bettino Craxi, da un dato di cronaca: in pochissimi giorni sono usciti diversi libri, il tuo è uno di questi, un film, Hammamet, che fa registrare sale piene. A questo aggiungiamo il grande interesse della stampa nazionale. Insomma, come ti spieghi tutta questa rinascita di interesse nei confronti di Bettino Craxi? Cos’è nostalgia del leader forte o c’è qualcosa di più profondo?
Un insieme di motivi spiegano un interesse e un pathos che non ci furono 10 anni fa, quando anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano scrisse una lettera alla vedova Craxi, per la prima volta dando voce istituzionale alla teoria del capro espiatorio: in quel caso la sortita presidenziale cadde nel vuoto e nel persistere di un diffuso giudizio negativo. Già da qualche anno sulla Rete era in corso una riscoperta carsica del Craxi diffidente con i “poteri forti” ma non c’è dubbio che l’interpretazione di Pier Francesco Favino nel film Hammamet e anche le sue interviste televisive abbiano fatto da rompighiaccio. Anche se l’avvio di una riconsiderazione collettiva va collegata al gap – per certi versi enorme – tra l’attuale classe dirigente e quella della Prima Repubblica. Oltretutto Craxi aveva una dote – saper decidere in tempi stretti – che difetta assai all’attuale classe politica.
Rino Formica ha definito questa riscoperta “compassionevole”… Condividi?
Sì. Il film, quasi tutti i libri usciti e gran parte della discussione pubblica si sono concentrati sulle ultime settimane di vita di Craxi. Una vicenda drammatica, quella della malattia, ma il suo percorso politico – che viene prima – ha un interesse e una valenza quantomeno pari alla vicenda umana. Da questo punto di vista, direi che non c’è stata riscoperta e neppure una rivisitazione critica: finora è stata un’occasione mancata per una riflessione non faziosa.
Veniamo al tuo libro. Tu ricostruisci la vicenda politica e umana di Bettino Craxi. Offrendo anche, su alcuni aspetti, delle chiavi interpretative poco studiate nella saggistica sul leader politico milanese . Mi riferisco al tema del “vitalismo socialista”. È una categoria interessante. Sembra quasi una categoria “filosofica” e “psicologica”. Per me è la chiave di lettura del libro. Insomma Perché usi proprio questo termine?
E’ una lettura molto centrata . In effetti, il gruppo dirigente socialista raccolto attorno a Craxi espresse, per buona parte della sua storia, un marcato vitalismo politico e antropologico. Craxi, appena eletto esprime due concetti: “primum vivere” e l’autonomia per i socialisti è come l’aria. Autonomia politica significò segnare un confine netto dal Pci e dai suoi miti autoritari, a cominciare da Lenin e dalle dittature comuniste. Vitalismo è non accomodarsi nella gestione più o meno efficace del presente, ma dare un segno identitario: così fu per Sigonella e così fu per il decreto sulla scala mobile. Ma soprattutto il vitalismo socialista fu, per un gruppo dirigente laico, esprimere tutta la propria potenzialità politica qui ed ora. Per i socialisti non c’era un disegno provvidenziale da assecondare e neppure una terra promessa da raggiungere. Qui ed ora esauriva tutto. Nel bene e nel male.
Restiamo sempre nell’ambito, definiamola così, della antropologia politica. L’uomo Craxi lo hai definito come un ribelle, un libertario. Eppure, nel libro, mostri anche quanto lui sia stato un accentratore al massimo livello. È una contraddizione tipicamente craxiana questa?
Proprio così. Il Psi, prima che Craxi ne assumesse la guida, era un partito libero e libertario, politicamente quasi libertino, nel senso che era “dissoluto”, nella sua difficoltà a concentrarsi su un obiettivo politico forte. Craxi, che si era iscritto al Psi nel 1951, esprimeva quello spirito ma al tempo stesso lui stesso decise che quella dissoluzione andava superata. Lo fece, accentrando e sprigionando un’arroganza esibita e anche praticata. Era l’unico modo per salvare il Psi? Sul breve, probabilmente sì, sul lungo periodo forse no. Ma chi ragiona sulla successiva dissoluzione del Psi attribuendola a Craxi e alla sottovalutata questione morale, dice una parte di verità: dimentica che nessun partito della Prima Repubblica ha retto al crollo del Muro di Berlino.
La sua voglia di indipendenza, e tutta la vita politica di Craxi ha questo tratto, lo ha portato a fare scelte anche coraggiose. Dove si è manifestato di più questo autonomismo?
Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, essere anti-comunista a sinistra significava non soltanto apparire come “destri”, ma anche compromettere carriere. Craxi coerentemente combattè l’egemonia comunista quando era minoranza nel partito, ma anche quando diventò segretario del Psi. Quando i socialisti europei – Spd in testa – scommettevano sulla tenuta dei regimi comunisti dell’Est, Craxi fu quasi l’unico che sostenne finanziariamente e concretamente i dissidenti, contribuendo in alcuni casi alla loro liberazione. Quando gli Usa dirottarono illegalmente un aereo egiziano verso Sigonella, Craxi tenne duro ma al tempo stesso fu il segretario del Psi che diede il via all’installazione degli euromissili, decisione che gli Usa apprezzarono assai. L’ autonomismo di Craxi in politica fu questo: essere alleati senza essere sudditi”.
Hai ricordato la politica estera di Craxi. Qualcuno lo ha definito, con gli occhi di oggi, un sovranista… Mi pare una definizione senza senso…Cosa ne pensi?
Sì, senza senso. Il sovranista sostiene la difesa della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in contrasto con la globalizzazione e con le politiche sovrannazionali di concertazione. Craxi fu europeista e atlantista. Certo, lo fu in modo critico e vigile, nel senso che fu attento alla sovranità e all’orgoglio nazionale.
Nel libro tratti del rapporto di Craxi con Moro e Berlinguer…. Per il primo sappiamo, anche da recenti ricerche, quanto sia stato forte l`impegno per la sua liberazione. Calcolo politico o c’è qualcosa di più profondo?
Proprio così. Calcolo e convinzione: entrambe le cose. La posizione trattativista fu il primo, clamoroso smarcamento del Psi craxiano dal “duopolio” Dc-Pci e quello fu un investimento, calcolo. Ma Craxi credeva per davvero che non si potesse sacrificare la vita di un uomo sull’altare della ragion di Stato. Uno dei discorsi più belli di Craxi, riportato in Controvento, riguarda proprio questo aspetto. Tanti che allora erano convinti che non si dovesse trattare, oggi hanno cambiato idea.
Con Berlinguer il rapporto fu duro. Ricambiato con la stessa moneta dal segretario del PCI. Al di là della antipatia personale , quale è stato il motivo politico di rottura?
Craxi e Berlinguer furono, coerentemente e convintamente, due leader radicali. Craxi un socialdemocratico, duro e puro, Berlinguer un comunista italiano, duro e puro. Ecco perché non si trovarono mai.
Torniamo per un attimo alla “antropologia” e all’etica : il rapporto con i soldi. Quello di Bettino Craxi fu un rapporto maledetto….tanto da portarlo alla rovina. Possibile che un uomo forte non ci sia reso conto della maledizione del denaro?
Craxi, diventato segretario nel 1976, si adattò al sistema di finanziamento illegale che esisteva prima di lui e che coinvolgeva in forme diverse tutti i partiti, compreso il Pci. Potenziò quel sistema che gli pareva fisiologico, non lo considerava immorale, esattamente come gli altri partiti. Ma non soltanto era insensibile eticamente a quel “così fan tutti”, ma centralizzando sotto il suo controllo una parte del flusso illegale (non per arricchirsi), quando partirono le indagini, non fu difficile incastrarlo. Craxi detestava le tangenti, si rese conto della pervasività del sistema, ma non fece nulla per contrastarlo, anche perché in quegli anni – in tutta la classe politica – c’era un forte senso di impuni
Siamo alla fine della nostra conversazione. Cosa può dire Craxi oggi , con tutti i suoi limiti, alla politica italiana?
La politica è decisione. Craxi fece capire, allora come oggi, che dopo aver esaminato pro e contro, si decide. Anche in modo impopolare, se serve. La politica è anche tenuta su alcuni principii. Se credi in alcuni valori, ci credi per tutta la vita, ovviamente modificando le idee che si rivelano sbagliate. Ecco, non cambiare idea dalla sera alla mattina è un altro insegnamento di politici come Craxi. Fermiamoci un attimo e ripensiamo non solo a Craxi, ma anche a Berlinguer, a Moro, a Fanfani, a De Gasperi, a La Malfa: ce li vediamo che la sera dicono una cosa e la mattina dopo il suo opposto? Senza dubbio non ce li immaginiamo. E comprendiamo un’altra ragione della riscoperta di personaggi, pur controversi, come Bettino Craxi.