“Governo e Mittal vicinissimi all’accordo”.  Intervista a Giuseppe Sabella

 

L’affaire Ilva sembrava approdato su un binario morto, anche perché la tensione montata sulle elezioni regionali – in particolare in Emilia Romagna – pareva rendere incerta la tenuta dell’esecutivo. La vittoria di Bonaccini ha dato fiato al governo e, così, anche il dossier Ilva è a un punto di svolta. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, secondo il quale “governo e ArcelorMittal sono molto vicini ad accordarsi”.

Sabella, a che punto è la situazione?
La trattativa sembrava essersi incagliata e lo sarebbe stata se in Emilia Romagna avesse prevalso la candidata della Lega Lucia Borgonzoni, la cui vittoria avrebbe innescato una forte turbolenza per il governo. Anche la rottura consumata nell’emisfero a cinque stelle non è certamente un fatto positivo per la tenuta del Conte 2. La vittoria di Bonaccini ha però allontanato il fantasma di una crisi di governo – non di un probabile rimpasto – e ha restituito centralità al dossier Ilva, anche in ragione delle imminenti scadenze giudiziarie.

Come stanno procedendo azienda e governo?
Anzitutto, com’è noto la procura di Milano attende un accordo entro il 31 gennaio, vale a dire questa settimana. Diversamente, il giudice si pronuncerà circa l’atto di citazione depositato da Mittal per il recesso del contratto di affitto, preliminare all’acquisto, dello stabilimento di Taranto e delle altre sedi del gruppo.

E questo accordo ci sarà?
Ho sempre sostenuto – anche su queste pagine – che a Mittal non c’era alternativa e che Mittal non voleva lasciare Taranto a tutti i costi. Cercava un’intesa, oggi vicinissima, per ridiscutere il piano industriale dopo la revoca dello scudo penale che, di fatto, ha creato le condizioni per questa discussione. In questo, bisogna riconoscere che Conte e Gualtieri hanno fatto un buon lavoro predisponendo un’operazione di rilancio importante della ex Ilva.

Su quali basi?
La cosiddetta area a caldo sarà affiancata da un’area green che produrrà  attraverso due forni elettrici e la tecnologia DRI (gas, idrogeno e monossido di carbonio). Ciò ha il pregio di innovare la produzione e di avviare una rilevante fase di decarbonizzazione.

E, come si dice da tempo, lo stato sarà azionista di ArcelorMittal Italia. Ma a che prezzo?
Lo stato sarà azionista di AM Italia in una percentuale importante (30/40%) ma c’è ancora qualche variabile. Mittal e governo comunque si sono intesi, siamo ai conteggi finali dei tecnici della produzione. Chiaro che l’investimento è importante, solo per i due forni elettrici si parla di 900 milioni di euro. Poi vi sono i costi dell’investimento sul preridotto (o DRI) ma qui il governo sta coinvolgendo i privati. Poi potrebbe esserci qualche concessione a Mittal come quella sul fitto (180 milioni anno) e la cassa integrazione per una parte di lavoratori, con l’obiettivo di reintegrarli tutti entro il 2023.

Come mai in questi giorni l’azienda ha avvicendato quasi interamente la direzione aziendale?
Ho interpretato queata scelta come la volontà di ArcelorMittal Italia di farsi più italiana, per facilitare la sua restart e la miglior integrazione possibile con il nuovo azionista tutto italiano. Mi è sembrato un fatto positivo, ad ogni modo Mittal non può più commettere errori, perché è evidente che in questo anno e mezzo circa qualcosa non ha funzionato.

Quali volumi di produzione prevede l’accordo?
Sono dettagli non ancora trapelati per una comprensibile riserva nei confronti del sindacato a cui il nuovo piano andrà sottoposto. Tuttavia, possiamo dire che l’azienda vuole mantenere la produzione di acciaio attorno ai 4 milioni di tonnellate. Questi livelli produttivi saranno integrati dalla produzione DRI che significa circa 2/2,5 milioni di tonnellate.

E con il sindacato ci sarà accordo?
Credo che ci siano elementi per far comprendere alle Parti la qualità del nuovo piano industriale. Il problema degli esuberi potrebbe riguardare soltanto 2000 lavoratori con l’obiettivo di reintegrarli entro il 2023 quando la produzione sarà portata a 8 milioni di tonnellate. Il governo ha sbagliato a coinvolgere le Parti sociali solo in questa fase, tuttavia ritengo si possa gestire con intelligenza questa transizione. Il sindacato, durante tutta la vicenda Ilva, è stato attore responsabile. Lo sarà anche ora perché è consapevole che è troppo importante per il nostro Paese salvare la siderurgia. Bisogna però imparare a gestire le crisi industriali in un modo più consono ad un Paese manifatturiero come il nostro.

 

 

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