Valvole per i respiratori stampate in 3D, mascherine in microfibra e lavabili in lavatrice: quando al fianco della creatività si affianca la tecnica.
Non è difficile capire il momento di crisi in cui ci troviamo e non solo per quanto riguarda i macrotemi, dagli economici ai sociali. Anche l’emergenza nella quotidianità sta avendo il suo da fare. Basti pensare all’assenza delle mascherine nelle farmacie o al paventato esaurimento delle sale rianimazione negli ospedali di tutta Italia. Se, per alcuni scenari, gli unici interventi possibili sono quelli del governo, con le dovute misure a supporto delle operazioni maggiori, un aiuto sostanziale può arrivare anche da settori alternativi, impregnati di tecnica, che stanno dando un contributo essenziale nel mitigare gli effetti del Covid-19. Ne abbiamo parlato con Antonino Caffo, giornalista esperto di tecnologia, che sta seguendo approfonditamente il panorama nazionale delle cosiddette startup.
«Davanti agli occhi abbiamo la dimostrazione che, come italiani, sappiamo andare ben oltre gli slogan e gli hashtag. Solo un paio di giorni fa, leggevamo la notizia dell’ospedale di Chiari, in provincia di Brescia, che si è ritrovato nell’impossibilità di utilizzare alcuni macchinari nelle sale di rianimazione per la necessità di sostituire delle valvole rotte. Viste le tempistiche dei fornitori abituali, una realtà imprenditoriale locale, Isinnova, è riuscita a realizzare circa 100 valvole sostitutive in più o meno sei ore, peraltro rischiando anche di incorrere in una denuncia per violazione del brevetto, visto che il modello di base del pezzo è partito da quello del fornitore originale, che non poteva assicurare un hardware di ricambio in tempi brevi (per i motivi di riduzione e blocco del lavoro che sappiamo)».
In che modo Isinnova ha costruito le valvole specifiche?
«Grazie alla stampa 3D. Analizzando il pezzo da cambiare, i ragazzi hanno realizzato un file buono da essere dato in pasto ad una stampante. Ovviamente ciò comporta dei costi, probabilmente inferiori a quelli della fornitura tradizionale ma pur sempre presenti. Ad ogni modo, è la dimostrazione che, nel piccolo di una azienda che conta solo 14 collaboratori, le soluzioni per aggirare problemi che possono costare la vita alle persone ci sono e alla portata di chiunque abbia gli strumenti tecnologici adeguati; di certo non più solo grosse aziende e multinazionali».
Qualcosa si può fare anche nell’ambito delle mascherine, sempre più ricercate in tutto il paese?
«Sicuramente. Online da pochissimo c’è Save Italy, altra idea nostrana, che mira a produrre mascherine in scala, lavabili in lavatrice. Trattandosi di un tessuto nato con procedimento tramite interlacciamento ad acqua, senza utilizzo di alcun legante sintetico né chimico, composto al 100% di microfibra, si ha un prodotto che rispetta l’ambiente e ancora utile. Non saremo a livello di una mascherina FP2 ma almeno andiamo leggermente oltre quelle di carta che si vedono in giro oppure alle soluzioni fai-da-te casalinghe».
Non è un caso se l’aiuto delle startup sia stato ben accolto anche da Bruxelles…
«Esatto. Bruxelles ha lanciato un bando-lampo da 164 milioni di euro per startup innovative. L’obiettivo è quello di individuare più rapidamente possibile tecnologie e strumenti per trattare, testare, monitorare l’epidemia. Il tutto ruota attorno all’acceleratore di idee EIC, che sta già supportando una serie di piccole imprese nel Regno Unito e in Norvegia, proprio contro il Coronavirus. Tra queste ci sono il progetto EpiShuttle (3,5 milioni di euro) per la realizzazione di unità di isolamento specializzate; m-TAP (2,8 milioni di euro) per filtrare le particelle nell’aria e purificarla e Mbent (1,6 milioni di euro), che sfrutta il cloud e l’intelligenza artificiale per migliorare il segnale del Wi-Fi, prevenendo le interferenze, soprattutto adesso che siamo, o dovremmo essere, tutti a casa».