L’ITALIA DELLA “NUOVA POVERTA’ “. INTERVISTA A NUNZIA DE CAPITE E FEDERICA DE LAUSO (CARITAS ITALIANA)

La pandemia da Covid-19 (coronavirus) ha scatenato in pochissimi mesi una gravissima crisi sociale. Sempre più nuovi poveri si affacciano nelle mense, nei centri di aiuto sociale del volontariato cattolico e non.  Le cifre fanno impressione. Quali sono i volti di questi poveri? E le politiche di contrasto alla povertà sono sufficienti? Lo abbiamo chiesto, in questa intervista, a due sociologhe della Caritas italiana: Nunzia De Capite (responsabile Politiche Sociali) e Federica De Lauso (Ufficio Studi).

Voi della Caritas avete pubblicato l’ultimo rapporto sulla povertà. E quello che emerge è un quadro drammatico.  I “nuovi poveri” avanzano e raddoppiano rispetto ai mesi pre-pandemia. Potete darci qualche dato?

Caritas italiana, al fine di monitorare e mappare le fragilità e i bisogni dei territori in questa fase di emergenza socio-sanitaria legata al Covid 19, ha avviato una rilevazione nazionale (condotta dal 9 al 24 aprile) i cui dati aiutano a leggere e comprendere gli effetti sociali di questa fase inedita ed emergenziale. Non si tratta di un vero e proprio rapporto sulla povertà (quello verrà pubblicato come di consueto in autunno) ma di un monitoraggio realizzato mediante la somministrazione di un questionario destinato ai direttori o responsabili delle Caritas diocesane, sparse su tutto il territorio nazionale e impegnate quotidianamente con i più poveri e i più vulnerabili. I dati che emergono da questa prima rilevazione sono molto preoccupanti, se si pensa che in circa due mesi i “nuovi volti” incontrati sui territori sono stati oltre 38mila, una media di circa 470 nuove prese in carico per ciascuna diocesi; dal periodo di pre-crisi si è registrato un aumento del 105%. Chi era povero in passato oggi si ritrova inevitabilmente più povero, chi si collocava appena al di sopra della soglia di povertà (le famiglie che l’Istat definisce “quasi povere” secondo i parametri della povertà relativa) inizia a non disporre delle risorse necessarie per la sopravvivenza.

Chi sono i “nuovi poveri” italiani e stranieri?

Tra i nuovi volti incontrati ci sono italiani e stranieri, giovani adulti ma anche anziani soli, famiglie con minori, nuclei con disabili. Sono persone che prima dell’emergenza, potevano contare magari su un impiego precario, stagionale o irregolare; o ancora i piccoli commercianti, i lavoratori autonomi, ma anche persone che versavano già da tempo in uno stato di disoccupazione. A loro si aggiungono però anche i cassaintegrati o liberi professionisti in attesa dei trasferimenti monetari di protezione e assicurazione sociale stanziati a marzo, non ancora accreditati.

A fare la differenza in questo particolare momento è la possibilità o meno delle famiglie di attingere a quei risparmi che permettono di “attutire il colpo”, impedendo lo scivolamento in uno stato di indigenza. E in tal senso purtroppo i dati Istat dimostrano che in Italia quasi i due terzi dei nuclei (esattamente il 62%) non riesce a risparmiare ed accantonare alcunché a fine mese e che il 36% delle famiglie non è in grado di far fronte ad una spesa imprevista di 800 euro circa. Il nostro Paese, se negli anni novanta si connotava infatti per essere una nazione di “risparmiatori” oggi risulta profondamente cambiato (a sferzare un duro colpo in tal senso è stata la grave crisi economica del 2008 i cui effetti sono ancora visibili). I dati OCSE ci collocano in fondo alla classifica dei paesi economicamente avanzati, con un tasso di risparmio netto delle famiglie del 2,5%, a fronte di una media europea del 6% (ben distanti dagli anni novanta quando l’incidenza dei risparmi superava il 15%). Detto ciò, la forte impennata delle richieste di aiuto in qualche modo non ci stupisce troppo.

 In questi mesi della pandemia i Centri Caritas delle Diocesi italiane le richieste di aiuto sono più che raddoppiate. Che tipo di  aiuto avete offerto? Qual’è quello che aumentato?

Rispetto alle richieste, si evidenzia soprattutto un aumento delle domande di beni e servizi materiali (in particolare cibo e beni di prima necessità), di sussidi ed aiuti economici (a supporto della spesa o del pagamento di bollette e affitti), del sostegno socio-assistenziale (assistenza a domicilio, compagnia, assistenza anziani), lavoro e alloggio. Forte anche la domanda di orientamento rispetto alle misure di sostegno pubbliche, messe in campo per fronteggiare l’emergenza sanitaria, così come la richiesta di aiuto nella compilazione delle domande. Di fronte alle tante necessità, gli interventi sui territori sono stati numerosi e diversificati. Registriamo in particolare l’attivazione di nuovi servizi legati all’ascolto e all’accompagnamento telefonico che hanno supportato in questa fase oltre 22mila famiglie; la fornitura dei pasti in modalità da asporto o con  consegne a domicilio; la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti (di cui hanno beneficiato circa 290mila persone); le iniziative a supporto della didattica a distanza (fornitura di tablet, pc), l’assistenza ai senza dimora (rimodulata per garantire gli standard di sicurezza), l’acquisto di farmaci e di prodotti sanitari.  A questi servizi pensati per l’emergenza, si aggiungono poi le attività ordinarie comunque potenziate: l’assistenza socio-assistenziale, tutte le attività di orientamento, quelle degli empori/market solidali, delle mense e dei centri di ascolto riorganizzati anch’essi nel rispetto delle nuove misure di sicurezza.

Si possono citare poi anche alcune esperienze inedite, che vanno al di là di una risposta al bisogno materiale, come ad esempio quella denominata #TiChiamoio, nata per offrire vicinanza, seppur solo telefonica, alle persone accompagnate prima dell’emergenza, cercando così una modalità per condividere fragilità, preoccupazioni e restituire un po’ di speranza. Questo perché i bisogni legati alla pandemia non sono solo di natura economica.

 Sono aumentati anche i contatti con i vostri Centri di supporto psicologico?

Dal nostro monitoraggio si sono palesate anche problematiche di natura socio-relazionale connesse alla solitudine, ansie, paure, senso di disorientamento, vulnerabilità legate all’incertezza sul futuro. Si evidenzia inoltre un incremento del disagio psicologico e delle problematiche familiari (in termini di conflittualità di coppia, violenza, difficoltà di accudimento dei bambini piccoli o di familiari disabili o anziani). Il tutto è stato registrato sia dai nostri centri di ascolto che dai servizi di supporto psicologico, attivati in alcuni casi proprio in queste settimane.

Insomma un quadro preoccupante davvero. Vi chiedo tra ale persone che si avvicinano a voi qual è il loro sentimento : Rabbia, Rassegnazione, sfiducia, umiliazione?

A tal riguardo vorrei riprendere la testimonianza del direttore della Caritas di Roma, don Benoni Ambarus, che proprio qualche giorno fa in occasione della pubblicazione dei dati diocesani, ha voluto sottolineare il “senso di umiliazione che le persone sperimentano” nel dover chiedere aiuto. Quando una persona si riscopre bisognosa magari di un pasto caldo, di un pacco spesa ed è costretta a far riferimento a centri Caritas, si creano delle vere e proprie “ferite” nel suo animo. In alcuni casi anche indelebili.

La  Chiesa opera attraverso di voi, anzi voi siete la “Chiesa ospedale da campo” sognata da Papa Francesco. Sia pure che in questo periodo non ci sono state liturgie eucaristiche, però voi siete stati il segno della donazione eucaristica concreta ai poveri. Laicamente questa sis chiama solidarietà. Sappiamo che sono aumentati i volontari. Di quanto? E le parrocchie che ruolo hanno avuto?

Un aspetto positivo di questo periodo, possiamo dirlo, è stato il grande coinvolgimento della comunità e l’attivazione solidale che ha riguardato enti pubblici, soggetti del terzo settore, ma anche gruppi di volontariato e singoli cittadini. Le parrocchie in particolare hanno giocato un ruolo centrale sia nell’intercettazione del bisogno che nell’erogazione di una qualche forma di intervento magari in coordinamento con le diocesi. Dalla rilevazione è emerso poi che nel 60% delle Caritas diocesane c’è stato un importante aumento dei giovani volontari che si sono sentiti interpellati e hanno voluto dare un contributo alle proprie comunità; questo ha consentito di far fronte al calo degli over 65, rimasti inattivi per motivi di prudenza e sicurezza. Questa grande partecipazione rappresenta il volto bello, generoso, altruista della nostra Italia.

Sappiamo che il governo ha approntato misure per contrastare questa drammatica situazione. Qual è il vostro giudizio? Ci sono strumenti più efficaci da quelli messi in atto dal governo?

Come ci dice Ocse e Banca Mondiale in tutti i paesi del mondo in questo periodo sono aumentate del 50% le misure di supporto messe in campo dagli stati per aiutare le persone in difficoltà. In genere sono misure che durano 3 mesi, molto generose (fino a un quinto del reddito medio pro-capite) e prevedono trasferimenti economici per l’assistenza sociale, sussidi per la disoccupazione e il sostegno al lavoro. Credito alle imprese e aiuti economici alle famiglie e sostegno ai posti di lavoro sono i tre pilastri attorno a cui tutti i governi si stanno muovendo e anche il nostro l’ha fatto a partire dal decreto cura Italia.  Lì mancavano molte fasce della popolazione colpite dalla crisi e ci auguriamo, come anche sembrerebbe emergere dalle prime indiscrezioni sulle bozze circolanti del decreto, che nel decreto maggio lo sguardo sia ampio ma soprattutto che gli interventi siano immediati, consistenti, a tempo. Il rischio che corriamo ora è di non intervenire per tempo. Questo sarebbe cruciale. Il repentino peggioramento delle condizioni economiche di molte famiglie nel nostro paese rischia infatti di far precipitare nella povertà moltissime persone, se non giungeranno per tempo i sostegni economici necessari. Ci sarà inoltre da evitare di segmentare e sminuzzare gli interventi: non dobbiamo dimenticare che la logica a cui dovrebbero ispirarsi questi interventi è quella della semplicità e della accessibilità da parte di tutti. Non possiamo permetterci di far incagliare le persone, assediate come sono dalle preoccupazioni per la propria sopravvivenza, nei meandri intricati di una burocrazia poco amichevole. Sarebbe come negare quello che sta accadendo fuori.

Il Forum sulle diseguaglianze ha fatto proposte?

Il Forum si è mosso sin da subito, viste le proporzioni immani che stava assumendo l’impatto sull’economia del Covid-19, per portare l’attenzione su una necessità ineludibile: non permettere che nessuno sia lasciato indietro da questa crisi. Concretamente questo significa prevedere una protezione universale per tutti e che sia a misura di tutte le persone, ovvero adeguata alle loro condizioni di vita e ai loro bisogni.

In particolare il Forum Disuguaglianze Diversità insieme ad Asvis e al prof. Cristiano Gori ha elaborato una proposta “CURARE L’ITALIA DI OGGI, GUARDARE ALL’ITALIA DI DOMANI” che integra e sviluppa il pacchetto di misure inserite nel decreto Cura Italia in vista delle misure in corso di approvazione nel decreto maggio. In particolare, la proposta parte da alcuni presupposti:

Avere uno sguardo sull’intera popolazione italiana evitando che qualcuno resti escluso dagli interventi del Governo (lavoratori dipendenti ma anche autonomi, saltuari e precari)

Non mettere in campo misure che possano acuire le disuguaglianze già profonde esistenti nel nostro paese (Sud; donne; stranieri)

Non inventare nuovi dispositivi ma in una fase emergenziale come quella attuale utilizzare le misure già esistenti ampliandole (in tre direzioni: aumentando la platea dei beneficiari, incrementando gli importi oppure integrando con altri servizi di supporto)

Rendere il più semplice e agevole possibile l’accesso alle misure per fare in modo che chi ne ha diritto possa usufruire da subito di tale aiuto e che tutti i destinatari previsti possano riceverlo (adottando per esempio meccanismi automatici di erogazione diretta del contributo a chi ne ha diritto senza che le persone ne facciano domanda).

In aggiunta alla Cassa integrazione e alla Cassa integrazione in deroga previste dal Governo, la proposta prevede due ulteriori misure: il SEA (Sostegno di emergenza per gli autonomi) che completa l’intervento previsto dal Governo (i 600 euro una tantum per il mese di marzo) del trasferimento legando l’ammontare del trasferimento alle condizioni di tutta la famiglia e alla caduta del reddito (supportando chi ha perso di più).

La seconda misura il REM  (Reddito per l’emergenza) che si rivolge a 6-7 milioni di lavoratori privati tra cui i lavoratori a tempo determinato che a scadenza di contratto si ritrovano disoccupati e senza copertura  (200-300 mila di contrattisti a chiamata) e disoccupati che hanno esaurito la Naspi, gli inoccupati e i tre milioni di irregolari. Si dovrebbe trattare di una variante molto semplificata e decisamente alleggerita del Reddito di cittadinanza che accelerare la procedura di accesso e che non prevede per esempio il vincolo del patrimonio immobiliare ora previsto nel Rdc.

Sia SEA che REM avrebbero la stessa durata delle altre misure e cioè fino all’estate 2020.

Ci auguriamo che il decreto maggio assuma l’esigenza di garantire a tutti un sostegno adeguato, robusto e che metta in sicurezza le persone dal rischio concretissimo di cadere in povertà, come si fa in ogni fase di emergenza

Volendo fare una possibile previsione: come pensate che si evolverà la situazione?               

Il Covid ci sta insegnando come prima cosa che le situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo non sono altro che una lente attraverso cui la nostra realtà può essere vista più da vicino: quello che c’è si amplifica e assume proporzioni ipertrofiche, al limite della gestibilità.

Le conseguenze economiche e sociali innescate dalla emergenza sanitaria stanno infatti facendo deflagrare una serie di situazioni di disagio sociale su cui pesava da tempo il deficit di interventi strutturali e organici: la condizione delle persone senza dimora (che in alcune grandi città non vedono riconosciuta loro la possibilità di residenza fittizia e dunque l’accesso a una serie di misure pubbliche), lo stato delle persone anziane e non autosufficienti (domiciliarizzazione vs accoglienza in struttura, dove tra l’altro la sanitarizzazione del sistema di servizi pubblici per la non autosufficienza impedisce di riconoscere la dimensione sociale della loro condizione e di realizzare interventi adeguati), il sovraffollamento delle carceri, l’emergenza abitativa, fra gli altri.

Faglie già aperte all’interno dei nostri sistemi di welfare su cui gli interventi realizzati negli anni, anche ad opera delle Caritas, hanno svolto quanto meno una funzione di contenimento rispetto al loro dilagare. Ma il fatto che non ci sia stata da parte del decisore pubblico una piena assunzione di responsabilità rispetto al da farsi ha trasformato gli interventi temporanei in “un eterno presente senza prospettive”.

A tutto questo si è aggiunto l’improvviso e ancora non determinabile con precisione ampliamento della quota di persone che avendo perso il lavoro a seguito della crisi, saranno dipendenti dal sistema di welfare per la loro sopravvivenza, e i “vulnerabili” che sommeranno alla espulsione dal mercato del lavoro anche la fragilità delle loro reti familiari e sociali (cfr. Castel 2000).

Lo scenario che si profila è una intensificazione e pluralizzazione dell’intervento delle Caritas sui territori in tre direzioni:

Intervenire strutturalmente su alcuni ambiti specifici: Azione diretta (interventi sui territori) e indiretta (advocacy) per affrontare strutturalmente le condizioni delle persone senza dimora, anziani non autosufficienti, bisogni abitativi, carcere.

Sostenere temporaneamente alcune fasce della popolazione: Sostegno economico e materiale di persone e famiglie che vivranno una temporanea assenza di reddito, dovuta per esempio al ritardo nella erogazione dei contributi della cassa integrazione in deroga (dipendendo dalle regioni i tempi per le erogazioni sono più lunghi se le banche non si dicono disposte a anticipare ai datori di lavoro le quote). Si tratta però di situazioni che non rientrano nella tipologia di beneficiari che ordinariamente si rivolgono alle Caritas. Vanno pertanto escogitate modalità di supporto che possano alleviare situazioni di difficoltà che potrebbero restare sommerse (soprattutto in assenza di risparmi a cui le famiglie possano attingere per far fronte alle esigenze economiche)

Guardare agli esclusi dalle misure: Sostegno economico e materiale per coloro che risulteranno non coperti dalle misure del Governo (si dovrà aspettare il Decreto Maggio per capire come si articoleranno gli interventi).

Il secondo insegnamento che la vicenda del Covid – 19 ci consegna è che quando ci eravamo ormai convinti del fatto che tutto fosse “virtualizzabile” ci siamo invece accorti che nulla può essere in realtà completamente “disintermediato”.  Nei giorni del Covid lo spazio pubblico svuotato a causa delle regole del distanziamento sociale è rimasto popolato da coloro che sul territorio nel solco di una continuità di rapporti di fiducia con le persone si sono fatti carico di garantire il sostegno materiale a chi era in difficoltà. Ma non si è trattato in nessun caso di una mera consegna di beni materiali: mai come in questi giorni la distribuzione è stata contatto denso di socialità. Proprio nel tempo della distanza, della soppressione della vicinanza fisica, la prossimità ha significato trovare il modo per “esserci”.

Questa funzione di prossimità dovrà essere declinata dalle Caritas in collaborazione con gli altri operatori sociali territoriali tenendo conto di due elementi:

Le ripercussioni psicologiche per adulti e bambine/i degli effetti che sono trasversali a tutta la popolazione

Il rischio che alcuni effetti del Covid impattino maggiormente su alcune fasce della popolazione che già scontavano divari socio-economici. In tal senso dobbiamo evitare di fare in modo che le disuguaglianze di opportunità già esistenti si accentuino ulteriormente.

A tal fine sono almeno due le direzioni in cui le Caritas possono sostanziare azioni con uno sguardo su tutta la popolazione:

Curare la tenuta degli equilibri psichici in bilico: Azioni di supporto e tutela della tenuta psico-fisica di coloro che stanno subendo i contraccolpi sociali ed economici della crisi (persone che hanno perso il lavoro, persone che non rientreranno al lavoro per via di esigenze di conciliazione legate al prolungamento della chiusura delle scuole, ecc.)

Gestire i vissuti e l’apprendimento di bambine/i al tempo del Covid per non fare della “povertà un destino”: supporto alle famiglie nella gestione e cura dei processi di rielaborazione psicologica ed emotiva dell’esperienza vissuta col lockdown, nel recupero delle lacune didattiche eventualmente accumulate, per prepararli ad affrontare la ripresa delle attività didattiche a settembre e non approfondire o stabilizzare i divari socio-economici esistenti.

Come dice Papa Francesco, “è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità”. Non si può più rimandare ormai e questo il Covid lo ha reso evidente in tutta la sua drammatica urgenza.

Sentenza Corte Costituzionale tedesca. “E’ un segnale negativo, ma può essere uno stimolo per rafforzare ancora di più l’Europa”. Intervista a Francesco Clementi

L’Alta Corte Federale tedesca

 

Com’era inevitabile la sentenza delle “toghe rosse” di Karlsruhe, la Corte Costituzionale tedesca, sta facendo discutere per le possibili implicazioni negative  sull’Europa. Abbiamo approfondito alcuni punti della sentenza, in questa intervista, con il professor Francesco Clementi, docente di Diritto pubblico Comparato all’Università di Perugia.

 

 

Professore, sta facendo discutere il mondo politico ed economico europeo la sentenza di ieri mattina della Corte Costituzionale tedesca sulla costituzionalità o meno del programma PSPP o “Quantitative Easing”. La sentenza dei giudici di Karlsruhe  è assai controversa.  Non è un bel segnale, vista la condizione in cui si trova l’Europa, per il disegno europeo. Per lei?

 

E’ un segnale negativo, molto negativo. Ma a maggior ragione deve servire da stimolo a tutta l’Europa per prendere atto che è ormai tempo di corroborare le sue attività, così come sta reagendo sulle misure economiche, anche sul piano delle istituzioni, facendo le riforme istituzionali che servono – per esempio riguardo alla necessità di un unico ministro per le finanze e le politiche fiscali dell’Unione – di modo che l’Unione parli sempre più con una voce sola.

 

 Quali sono i punti più controversi della sentenza?

 

Si tratta di una sentenza che andrà letta con molta attenzione. In ogni modo, innanzitutto, il punto principale ruota intorno al fatto che, per il Tribunale costituzionale federale tedesco, il Governo federale e il Bundestag non hanno adeguatamente controllato se la Banca Centrale Europea, nelle decisioni sull’adozione e sull’attuazione del programma PSPP sull’acquisto di titoli del debito pubblico sui mercati secondari, abbia superato o meno il suo mandato, violando dunque il principio di proporzionalità nel suo agire.

 

Tra i punti  più clamorosi della sentenza c’è il tono un poco arrogante nei confronti di una sentenza della Corte di Giustizia  europea. Insomma un vero proprio attacco a un pilastro portante dell’Europa. Sappiamo che la Commissione Europea ha ribadito il primato del diritto europeo sul diritto di ogni paese , ivi comprese le sentenze costituzionali. Però questa sentenza potrà offrire una bella arma ai sovranisti polacchi e  ungheresi per non rispettare le prossime sentenze della Corte di Giustizia sui migranti e s sull’ordinamento giudiziario? Insomma può essere un pericoloso  precedente?

 

Sì, è un precedente grave. Che getta un’ombra di poca comprensione, tra testo e contesto, dell’ordinamento europeo da parte degli stessi giudici della Corte; i quali, tuttavia, pur essendo Maestri del diritto, sanno bene non soltanto che la Corte di Giustizia dell’Unione europea è il più importante organo di giurisdizione dell’Unione europea e che le sue sentenze vincolano tutti, compresa Karlsruhe, ma anche che il diritto dell’Unione europea ha il primato sulla legislazione degli Stati dell’Unione. E questo non per la prepotenza di qualcuno, ma per la libera scelta degli Stati sovrani. In questo senso, il fatto che il Tribunale costituzionale federale tedesco abbia contestato così apertamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia dimostra che il conflitto giuridico in corso può solo contribuire, ancora una volta, a spingere il processo europeo un passo più avanti. Dubito, infatti, che il la Corte di Giustizia dell’Unione europea si sentirà intimidita, non da ultimo perché, a differenza di quanto sostiene questa sentenza, non ha per nulla ignorato i principi giuridici generali comuni alle legislazioni degli Stati membri.

 

I giudici hanno dato tre mesi di tempo alla BCE per dare spiegazioni alla Corte sulla loro “politica”. Ma questo non è un attacco all’autonomia delle Banche Centrali?

 

Beh…come gesto politico in parte lo è. Come atto giuridico direi di no, perché non hanno alcuna giurisdizione su di esse. Naturalmente le sentenze del Tribunale costituzionale federale tedesco incidono sulle decisioni della Bundesbank, ovviamente: ma non credo che finirà questa sentenza porterà la Bundesbank fuori da quel circuito, non da ultimo perché le misure discusse riguardano il vecchio Qe non il nuovo Qe, quello di questi giorni.

 

 

Per Gualtieri, il nostro ministro dell’economia, la sentenza non avrà alcun effetto sulle misure economiche europee che si prenderanno per far fronte alla crisi causata dalla pandemia. Non è pò troppo ottimista?

 

Concordo con il Ministro Gualtieri. E’ cambiato molto il contesto. E sempre più l’Europa ha dentro di sé la forza necessaria per spiegare anche ai più conservatori, come è stato il Tribunale costituzionale federale tedesco con questa sentenza, i motivi e le ragioni della necessità di entrare in un futuro più unito e più condiviso, tutti assieme. 

 

 

Ultima domanda: cosa può significare questo sentenza per l’Italia?

 

Per il nostro Paese la sentenza non ha un’incidenza diretta. Ma – in qualche modo – sottolinea ancora una volta l’importanza per il nostro Paese di confermare i suoi due assi strategici: l’alleanza europea e con essa quella atlantica; a maggior ragione recuperando, sulla spinta della crisi provocata dal coronavirus, tutti quegli elementi necessari per superare le resistenze ad una ricostruzione comune che favorisca una Unione sempre più unita, vero player globale nel mondo.

D’altronde, come disse bene il Presidente Ciampi,«l’Europa è nel sangue degli italiani, e senza l’Italia non c’è vera Europa».

 

 

Cosa può succedere dopo il coronavirus? Un testo di Leonardo Boff

Quale progetto per ricostruire il “mondo post-coronavirus”? Quali priorità? Di seguito pubblichiamo una interessante riflessione del teologo brasiliano Leonardo Boff.

Molti l’hanno predetto chiaramente: dopo il coronavirus, non sarà più possibile continuare il progetto del capitalismo come modo di produzione, né del neoliberismo come la sua espressione politica. Il capitalismo è buono solo per i ricchi; per il resto è un purgatorio o un inferno, e per la natura, una guerra senza tregua.

Ciò che ci sta salvando non è la concorrenza – il suo principale motore – ma la cooperazione, né l’individualismo – la sua espressione culturale – ma l’interdipendenza di tutti e tutte con l’umanità intera.

Ma andiamo al punto centrale: abbiamo scoperto che il valore supremo è la vita, non l’accumulo di beni materiali. L’apparato bellico che abbiamo, capace di distruggere più volte la vita sulla Terra, si è rivelato ridicolo di fronte a un invisibile nemico microscopico che minaccia tutta l’umanità. Potrebbe essere il Next Big One (NBO) che i biologi temono, “il prossimo grande virus” che distruggerà il futuro della vita? Non lo pensiamo. Speriamo che la Terra abbia ancora compassione per noi e ci stia dando solo una sorta di ultimatum.

Dato che il virus che ci minaccia proviene dalla natura, l’isolamento sociale ci offre l’opportunità di chiederci: qual è stato e quale dovrebbe essere il nostro rapporto con la natura e, più in generale, con la Terra come Casa Comune? La medicina e la tecnica, anche se molto necessarie, non sono sufficienti. La loro funzione è quella di attaccare il virus fino allo sterminio. Ma se continuiamo ad attaccare la Terra vivente, “la nostra casa con una comunità di vita unica”, come dice la Carta della Terra (Preambolo), essa colpirà di nuovo con altre pandemie mortali, fino a quella che ci sterminerà.

Succede che la maggior parte dell’umanità e dei capi di Stato non si rendono conto che siamo alla sesta estinzione di massa. Finora non ci sentivamo parte della natura, e nemmeno come la sua parte cosciente. Il nostro rapporto con essa non è il rapporto che abbiamo con un essere vivente, Gaia, che ha un valore in sé e deve essere rispettato, ma di mero utilizzo secondo il nostro comodo e per il nostro arricchimento. Stiamo violentemente sfruttando la Terra al punto che il 60% del suolo è stato eroso, nella stessa proporzione le foreste umide, e causiamo una devastazione incredibile di specie, tra 70-100 mila all’anno. Questa è la realtà attuale dell’antropocene e del necrocene. Continuando questa strada incontreremo la nostra stessa scomparsa.

Non abbiamo altra alternativa che fare, secondo le parole dell’enciclica papale “sulla cura della Casa Comune”, una “radicale conversione ecologica”. In questo senso, il coronavirus non è una crisi come le altre, ma esprime la richiesta di un rapporto amichevole e attento con la natura. Come si può realizzare questo in un mondo che si dedica allo sfruttamento di tutti gli ecosistemi? Non ci sono progetti già pronti. Tutti li stanno cercando. La cosa peggiore che ci potrebbe capitare sarebbe, dopo la pandemia, tornare alla situazione di prima: le fabbriche che producono a pieno ritmo, anche se con un minimo di attenzione ecologica. Sappiamo che le grandi aziende si stanno organizzando per recuperare il tempo e i profitti perduti.

Ma bisogna riconoscere che questa conversione ecologica non può essere immediata, ma piuttosto graduale. Quando il presidente francese Macron ha detto che “la lezione della pandemia è che ci sono beni e servizi che devono essere tolti dal mercato”, ha provocato l’immediato intervento di decine di grandi organizzazioni ambientaliste, come Oxfam, Attac e altre, che hanno chiesto che i 750 miliardi di euro della Banca centrale europea destinati a rimediare alle perdite delle imprese, siano utilizzati per la riconversione sociale ed ecologica dell’apparato produttivo nell’interesse di una maggiore attenzione per la natura, per più giustizia e uguaglianza sociale. Logicamente, questo sarà fatto solo ampliando il dibattito, coinvolgendo tutte le realtà, dalla partecipazione popolare alla scienza, fino a quando non emerga una consapevolezza e una responsabilità collettiva.

Dobbiamo essere pienamente consapevoli di una cosa: con l’aumento del riscaldamento globale e l’aumento della popolazione mondiale, devastando gli habitat naturali, avvicinando così l’uomo agli animali, questi ultimi trasmetteranno più virus, ai quali non saremo immuni, che troveranno in noi nuovi ospiti. Questo porterà a pandemie devastanti.

Il punto essenziale e inalienabile è la nuova concezione della Terra, non più come un mercato globale che ci pone come suoi signori (dominus), al di fuori e al di sopra di esso, ma come una super entità vivente, un sistema, autoregolato e in grado di auto ricrearsi, del quale noi siamo la parte cosciente e responsabile, insieme agli altri esseri come fratelli (frater). Il passaggio dal dominus (proprietario) al frater (fratello) richiederà una nuova mente e un nuovo cuore, cioè riuscire a vedere la Terra in modo diverso e poter sentire con il cuore la nostra appartenenza ad essa e al Grande Universo. Insieme a questo dovremo avere anche il senso di interrelazione tutti e tutte con l’umanità intera e una responsabilità collettiva verso un futuro comune. Solo in questo modo arriveremo, come prevede la Carta della Terra, a “uno stile di vita sostenibile” ed a una garanzia per il futuro della vita e della Madre Terra.

L’attuale fase di distanziamento sociale può significare una specie di ritiro riflessivo e umanistico per pensare a queste cose e alla nostra responsabilità nei loro confronti. È urgente e il tempo è poco, non possiamo fare troppo tardi.

*Leonardo Boff ha scritto Como cuidar da Casa Comun (Come prendere cura della Casa Comune), Vozes 2018, e A opção Terra: a solução da Terra não cai do céu (Opzione Terra: la soluzione per la Terra non cade dal cielo), Record 2009.

(Traduzione dal portoghese  di M. Gavito e S. Toppi)

Dal sito : https://leonardoboff.org/2020/05/03/cosa-puo-succedere-dopo-il-coronavirus/