
FABIO MARTINI
I prossimi mesi saranno decisivi per l’Italia. Le sfide della “ripartenza” sono tante, la politica sarà all’altezza? Ne parliamo, in questa intervista, con con Fabio Martini inviato e cronista parlamentare del quotidiano “La Stampa”.
Fabio Martini, come era facilmente prevedibile, la fase tre (quella della convivenza con il virus) si è avviata in maniera un poco caotica. Anche la “fase tre” della politica (quella della progettazione e della ripartenza) non pare all’altezza. Siamo agli inizi, certo, ma l’impressione è che questi benedetti “stati generali”, come il piano Colao, siano capitoli di un libro ancora tutto da scrivere. E rischiamo grosso con l’Europa, la nostra unica ancora di salvezza. Insomma c’è una idea di Paese?
«Un’idea di Paese è esattamente quello che in questo momento servirebbe al governo per poter uscire in piedi dalla crisi sanitaria ed economica. Si può immaginare che qualche idea per il Paese, il presidente del Consiglio l’abbia cercata, e magari trovata, nella consultazione delle parti sociali a Villa Pamphili. Una consultazione viziata da due dubbi: il suo carattere neo-corporativo e la piegatura auto-promozionale dell’operazione. Questo sospetto sul fatto di procedere per annunci&eventi ha trovato puntuale conferma in conclusione degli Stati generali: Conte ha annunciato che si starebbe studiando la riduzione dell’Iva. Un annuncio per rilanciare su un nuovo miraggio l’attenzione dell’opinione pubblica? Di sicuro all’ annuncio è seguita una correzione. Al Paese, per ripartire da 20 anni di stallo, lo sanno tutti, servirebbe una scossa capace di incidere sui vizi atavici del sistema. Soltanto un gravissimo infarto sociale ed economico può fare cadere questo governo, che dunque proseguirà il suo cammino ma per la natura delle forze che lo compongono, questo esecutivo sembra più adatto ad una navigazione sotto costa che ad una sfida nel mare aperto delle sfide capaci di far rinascere un popolo».
Veniamo alla politica . La maggioranza, per ora, regge. Anche grazie alla “rendita di posizione” (non ci sono alternative) e all’equilibrismo di Conte. L’impressione è che in autunno, qualcuno dice anche a settembre , i rischi saranno alti per la maggioranza. Questo non solo per l’esplosione del malcontento, ma anche per le elezioni regionali. Le elezioni regionali saranno il detonatore? È un calcolo sbagliato? È solo uno spauracchio?
«Effettivamente le elezioni Regionali di settembre – che pure chiamano in causa un campione elettorale limitato – potrebbero contribuire – più che a buttar giù il governo – a ridisegnare gli schieramenti politici. Nessuno ragiona attorno ad una questione: in Emilia il Pd ha già vinto a febbraio con una coalizione di centro-sinistra, facendo a meno dei grillini e se per caso dovesse riconquistare Campania e Toscana con lo stesso assetto, si dimostrerebbe vincente il modello dell’autosufficienza. Dell’orgoglio Pd. Dando argomenti importanti a chi, in quel partito, tende ad allentare la presa dai Cinque stelle e da una personalità capace ma di inafferrabile identità politica come Conte. E ancora: in Liguria e nelle Marche Pd e Cinque stelle si coalizzeranno? Questa eventuale alleanza porterà vittorie o sconfitte? Ultimo dato: se in Veneto il Governatore Zaia dovesse vincere con una percentuale “fuori misura”, di fatto si conquisterebbe un posto in prima fila per la futura leadership del centrodestra, insidiando seriamente Matteo Salvini. Se gli elettori premieranno il centrosinistra a vocazione indipendente e maggioritaria e Zaia dovesse svettare, le prossime elezioni regionali potrebbero configurarsi come un Big bang sulla politica italiana».
Focalizziamoci sui principali attori della scena politica. Incominciamo dal PD. Ha fatto scalpore l’uscita di Gori contro Zingaretti. Uscita stoppata dai maggiorenti del Partito. Cosa cova sotto le ceneri del PD? A qualche osservatore è apparsa una uscita, quella di Gori, in stile “renziano”. È così?
«Nel senso del primo Renzi? Assolutamente sì. Nei sei mesi più felici della sua storia politica, Renzi prima vince le Primarie del Pd e poi conquista palazzo Chigi (con l’appoggio implicito ma decisivo dei bersaniani e di D’Alema) sulla linea del rinnovamento della linea politica, della vocazione maggioritaria, dell’orgoglio Pd. Poi si inebria e inizia il declino, ma in quei sei mesi il suo è un modello di successo, non solo per sé stesso e per il partito, ma anche per il Paese. Giorgio Gori ha semplicemente detto quel che a voce bassa, sostiene il 95 per cento del gruppo dirigente del partito e anche molti elettori: un Pd passivo non aiuta il Paese ad uscire dalla crisi e, vivacchiando, fa male a sé stesso e alla prospettiva dei progressisti. La leadership pacifista di Zingaretti ha letteralmente salvato il Pd, perché Renzi – dopo aver perso il congresso – era pronto a mandarlo in frantumi. Ma questa è un’altra stagione. Al Pd – questo dicono sottovoce in tanti e Gori a voce alta – non serve una leadership agnostica, ma una leadership – se non progettuale – almeno convincente e trascinante dal punto di vista delle cose (serie e non di manutenzione) da fare. Non domattina, ma con un orizzonte che guardi ai prossimi 12-24 mesi»
Vedi un possibile rafforzamento nel PD di Stefano Bonaccini? Ovvero di una figura dotata di un riformismo pragmatico?
«Da presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini ha dimostrato due cose: cultura e prassi di governo, ma anche capacità di presa e di recupero elettorale su un territorio che era diventato molto accidentato, come dimostrano le poderose percentuali (che i media disattenti non hanno notato) che il centro-destra ha conquistato nelle province di confine, Ferrara e Piacenza. Bonaccini è interessato a giocarsi la partita. In tempi e modi ancora da valutare ma il modello-Emilia è un asso che prima o poi sarà calato».
I 5stelle anche loro, parafrasando Woody Allen, non stanno tanto bene. Il ritorno di Grillo e Di Battista – Casaleggio, porta con sé antichi rancori. L’apparenza dice: che il più saggio in questo frangente è proprio Beppe Grillo. Come ti spieghi questo?
«Dopo una stagione nella quale nel Movimento nessuno stava più a sentire Grillo – esemplare il gelo nel quale calò la sua proposta di togliere il voto agli anziani – la perdurante crisi dei Cinque stelle riconsegna forza ai punti di riferimento, alle figure “carismatiche”, espressione che usiamo per farci da capire e da non prendere alla lettera. Grillo è intervenuto per stroncare chi – come Di Battista – invocava il rispetto di un impegno elementare: celebrare finalmente il primo congresso del Movimento per fare decidere alla mitica base la linea politica. Con un intervento apparentemente di buon senso ma di fatto autoritario, Grillo ha aperto la strada ad una soluzione dorotea: tutto il potere ai “capi-corrente”».
Salvini, Meloni e Berlusconi. Il centro destra è attraversato da movimenti. Ormai sappiamo che la competizione all’estrema destra sarà Salvini – Meloni. E La Meloni non concederà molto a Salvini. Insomma dobbiamo prepararci ad una destra guidata da una discendente del neo fascismo?
«Giorgia Meloni proviene dalla scuola politica che parte dal Movimento sociale e ha ereditato dai due leader di maggior peso di quella storia (Giorgio Almirante e Gianfranco Fini), la grinta contestativa e argomentativa, ma non quella gravitas, che in alcune fasi del lungo dopoguerra italiano consentì ai due segretari del Msi di “parlare” ad una platea più vasta di quella degli elettori nostalgici. Ciò premesso, si fatica ad etichettarla come neofascista ma anche ad immaginarla leader di uno schieramento: per quanto la Lega abbia perso intenzioni di voto, resta di gran lunga la forza maggioritaria del centrodestra, con oltre il 50% dei consensi interni e dunque la premiership toccherà a loro. A chi, come detto, è tutto da vedere».
È riapparso Silvio Berlusconi…. Che ruolo sta giocando….?
«Se Berlusconi non fosse… Berlusconi, lo avrebbero già fatto accomodare in maggioranza e forse anche al governo. Ma su Berlusconi pesa, nell’immaginario grillino, una pregiudiziale etica della quale si possono comprendere le ragioni. E dunque il Cavaliere si è ritagliato un ruolo di saggio moderatore, in particolare nei rapporti con l’Europa, ma senza rompere con Salvini e Meloni. Anche per lui le Regionali saranno una cartina di tornasole: il Berlusconi moderato torna ad aggregare? Se le risposte fossero nette – in un senso o nell’altro – anche le conseguenze sarebbero nette».
Matteo Renzi sempre più alla ricerca della sua visibilità, alterna momenti di lontananza (con azioni di disturbo) e vicinanza dalla maggioranza. Una tattica che non porta molti voti….
«Renzi si ritrova nella spiacevole situazione per la quale qualsiasi cosa faccia o dica, viene letta sempre nella logica dell’interesse personale. Poco importa che su diverse questioni abbia visto prima degli altri o che alcuni dossier da lui indicati siano stati poi adottati dalla maggioranza: tutto questo non si tramuta in intenzioni di voto. Un caso esemplare di auto-dissipazione, alla quale hanno contribuito l’alto senso di sé e qualche “bidone” rifilato qua e là. Ma attenzione: una certa inaffidabilità – per quanto non generalizzabile – è abbastanza comune: Renzi l’ha pagata di più, forse anche perché la qualità politica del personaggio rende ancora più imperdonabili le sue leggerezze».
Una battuta sulla Presidenza della repubblica. Il grande oggetto del desiderio… È ancora troppo presto?
«Tutti i candidati – e sono tanti – sono già al lavoro e ogni giorno, senza che ce ne accorgiamo, aggiungono una tesserina al proprio mosaico. Ma è presto per azzardare scenari, perché non sappiamo assolutamente quale sarà la platea dei grandi elettori.: Poniamo che ad eleggere il successore di Mattarella sia questo Parlamento: nei giorni delle votazioni quale maggioranza sosterrà il governo? L’attuale o una di salvezza nazionale? A due maggioranze diverse equivalgono, in linea di massima, due diversi Presidenti. E se invece la legislatura si chiuderà prematuramente? A quel punto avremo una maggioranza di centrodestra autosufficiente o nessuna maggioranza? Tutti scenari che portano a presidenti diversi. Una cosa possiamo però anticiparla: “voci di dentro” del Quirinale ci dicono che Mattarella non chiederà di restare per altri sette anni»