Un anno vissuto pericolosamente. Intervista a Federico Gervasoni

Federico Gervasoni ha 28 anni e da undici fa il giornalista. Freelance, da un anno e mezzo, vive sotto vigilanza a causa delle pesanti minacce ricevute da gruppi neofascisti. Il giornalismo è rendere noto dei fatti che si vorrebbero nascondere. A Brescia esiste un cuore nero che non smette di pulsare. E a testimoniarlo ci sono fatti ed episodi documentati e raccontati in un libro di bruciante attualità, “Il cuore nero della città”, scritto appunto da Gervasoni e pubblicato esattamente un anno fa per la casa editrice Liberedizioni.

Federico, ci fai una sintesi di quello che è accaduto dopo l’uscita del volume?

E’ stato un anno molto intenso. Ho effettuato molteplici presentazioni in tutta Italia e all’estero. Da Genova a Londra, passando per Catania e Bologna, fino ad aprire il tour autunnale a Tunisi. Naturalmente non dimentico i centri più piccoli che mi hanno splendidamente accolto. Da tutte queste esperienze ho imparato tanto e incontrato persone speciali. Un grande ringraziamento va inoltre alle forze dell’ordine (carabinieri e poliziotti della Digos) che in qualsiasi evento mi hanno scortato e protetto. Sono stati bravissimi sia a prevedere che a intervenire.

Ancora prima della sua uscita il tuo libro aveva scatenato una violenta reazione da parte di gruppi neofascisti attivi in tutta Italia. Ci vuoi raccontare qualcosa?

Non parlo mai delle minacce che ricevo. Non mi piacciono né le icone né le etichette altrimenti sarei un’attivista. Io sono solo un giornalista che ha fatto il suo lavoro, ovvero quello di informare. Tuttavia, posso affermare che non è stato affatto un anno facile poiché vissuto con la forte consapevolezza del rischio. Sono tante le volte in cui mi sono ritrovato isolato e messo sotto pressione. Va poi evidenziato che chi si occupa di estrema destra in Italia sa che diventerà automaticamente un bersaglio da colpire. In tutto questo, la mia condizione di giornalista precario (vive dei pezzi che scrive, ndr) non mi ha affatto aiutato. Brescia è inoltre una città dalle piccole dimensioni e poco dispersiva. Lavorando in strada e non all’interno di una redazione, il pericolo di trovarsi a ridosso certi personaggi è concreto.

Tu non hai ancora trent’anni e dopo aver scritto un libro sul neofascismo, sei costretto a parlare pubblicamente solamente davanti alla presenza delle forze dell’ordine. E’ un fatto allarmante, nel 2020, in Italia.

Questo aiuta a comprendere come al giorno d’oggi i fascisti siano alla ricerca di una legittimazione da parte dell’opinione pubblica. Il neofascismo che io racconto è diverso da quello storico del Ventennio. Eppure, ci sono nuove sigle pericolose che propagandano ideali razzisti, xenofobi e di intolleranza. Ciò che davvero mi spaventa è la paura di non denunciare.

Tornassi indietro, ripubblicheresti “Il cuore nero della città”?

Certamente, di quanto ho fatto in passato non rinnego nulla. Volevo accendere un’attenzione dell’opinione pubblica su un argomento che spesso rimane volutamente nascosto. La storia ci insegna che Brescia è stata gravemente ferita dal fascismo. Il 28 maggio 1974, una bomba di matrice nera, causò otto morti e centinaia di feriti in piazza della Loggia. Questo fatto terribile e cruento, accaduto nella città in cui sono nato e cresciuto, ha inciso sulla mia vita e influenzato inevitabilmente la mia ambizione letteraria. Prima di laurearmi in filosofia a Pavia, ho studiato nel liceo “Veronica Gambara”, la cui biblioteca è intitolata a Clementina Calzari Trebeschi, una delle vittime della strage fascista.

Con la ristampa raggiunta praticamente subito, il tuo libro ha ottenuto parecchio successo. In questi mesi hai pensato a scriverne un secondo?

Purtroppo il territorio in cui vivo (la provincia di Brescia ndr) nelle scorse settimane è stato pesantemente colpito dall’emergenza sanitaria e anch’io come molte altre persone ho perso parenti, amici e conoscenti nella tragedia del Covid-19. Compatibilmente con la situazione drammatica vissuta, tra febbraio e maggio mi sono chiuso in casa a scrivere e a divorare tonnellate di carta. Entrambe le attività mi hanno aiutato a superare i momenti di maggiore sconforto e solitudine. Oggi, posso ammettere che in cantiere c’è qualcosa di concreto. Spero di poterne parlare quando la situazione sarà davvero tornata alla normalità. Il consiglio che posso dare ai lettori è quello di continuare a seguirmi perché ho tante novità importanti da raccontare.

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