Navi militari all’Egitto: l’affare militare non riguarda solo il caso Regeni Intervista a Giorgio Beretta (Osservatorio OPAL)

La notizia dell’autorizzazione all’esportazione all’Egitto di due fregate multiruolo Fremm ha suscitato le proteste della famiglia Regeni che si è detta “tradita dallo Stato”. La vendita delle due navi militari solleva diverse questioni di natura geopolitica e strategica, ma soprattutto sulla politica estera dell’Italia e sull’osservanza delle norme che regolano l’esportazione di armamenti. Ne parliamo con Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia.

 

Può spiegarci innanzitutto in cosa consiste questo contratto? Si tratta solo delle due navi militari o c’è dell’altro?

Questo è il punto principale perché riguarda l’informazione al parlamento e ai cittadini. L’esportazione all’Egitto delle due fregate Fremm, la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi,  originariamente destinate alla Marina Militare italiana, è infatti, secondo diverse e autorevoli fonti di stampa nazionale ed estera, solo una parte di un più ampio affare militare in trattativa tra Roma e il Cairo. Un maxi-contratto tra i 9 e gli 11 miliardi di euro che prevede, oltre alle due Fremm, altre quattro fregate missilistiche, 20 pattugliatori, 24 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon e altrettanti aerei addestratori M-346 più un satellite di osservazione. Negli ambienti del settore militare-industriale è stato già definito “la commessa del secolo”. Ma, al momento, non vi è stata alcuna informativa precisa al riguardo, nemmeno sull’autorizzazione all’esportazione all’Egitto delle due fregate Fremm.

Però ne ha parlato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, durante il “Question Time” alla Camera di mercoledì scorso…

Sì, ma il ministro Di Maio – nonostante l’interrogazione di Fornaro e Fratoianni (LeU) riguardasse l’intero affare militare di cui ho appena detto – ha menzionato soltanto le due fregate Fremm. E soprattutto ha affermato che “la procedura autorizzativa è tuttora in corso”. “Oltre al vaglio di natura tecnico-giuridica – ha aggiunto il ministro – il Governo ha ritenuto di svolgere una valutazione politica, che è in corso a livello di delegazione di Governo sotto la guida del Presidente del Consiglio dei ministri”. Niente quindi sarebbe stato definitivamente deciso o, almeno, così è stato fatto capire. Il giorno successivo, invece, diverse agenzie di stampa hanno riportato che, durante il Consiglio dei ministri, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, avrebbe svolto una “informativa” a conferma del “via libera” all’esportazione all’Egitto delle due fregate Fremm. Singolarmente però non vi è alcuna menzione di questa informativa nel comunicato stampa emesso da Palazzo Chigi. Proprio per questo Amnesty International, Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace con un’iniziativa congiunta hanno chiesto che la questione sia portata urgentemente all’attenzione del Parlamento.

 

Non si può però negare che, come ha detto proprio il ministro Di Maio, “l’Egitto resta uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante mediterraneo, nell’ambito di importanti dossier come il conflitto in Libia, la lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, nonché la gestione dei flussi migratori e la cooperazione in campo energetico”. Cosa ne pensa?

Penso, innanzitutto, che l’affermazione del ministro sia insufficiente. Dovrebbe, infatti, spiegare su quali prospettive si intende interloquire con l’Egitto, con quali garanzie e per quali finalità. Se, ad esempio, consideriamo il ruolo che l’Egitto del presidente al-Sisi sta svolgendo nel Mediterraneo, notiamo che il Cairo non solo sostiene direttamente l’offensiva militare in Libia del generale Haftar fornendo, tra l’altro, basi di supporto e materiali militari alle truppe del generale, ma contrasta apertamente le politiche dell’Italia e della comunità internazionale per un processo di pacificazione in Libia. Per quanto riguarda la cosiddetta “lotta al terrorismo”, diverse risoluzioni del Parlamento europeo hanno evidenziato che in Egitto – cito – “sono etichettati come terroristi, i dissidenti pacifici, gli attivisti per la democrazia e i difensori dei diritti umani” che vengono arrestati “esclusivamente per la loro attività pacifica e la legittima di difesa dei diritti umani”: è questo che si intende per “lotta al terrorismo”? Ciò che invece è molto chiaro sono gli interessi italiani in campo energetico, in particolare quelli dell’Eni, ma questo non autorizza la vendita di sistemi militari.

 

Cosa intende dire?

L’esportazione di armi e di sistemi militari non può essere equiparata alle normali pratiche commerciali non solo perché non rientra nei trattati sul commercio internazionale, ma perché – data la particolare natura degli armamenti – è vincolata da specifici trattati come il “Trattato sul commercio di armi” (Arms Trade Treaty – ATT), oltre che da normative europee e nazionali. Segnalo, per inciso, che l’Egitto non ha firmato questo trattato e che, di conseguenza, non ha assunto alcun impegno per osservarne le norme e non offre alcuna garanzia per quanto riguarda l’utilizzo, la diversione e il traffico di armi. Gli interessi economici e la cooperazione commerciale non legittimano né giustificano l’esportazione di sistemi militari: come noto, l’Italia ha ottimi rapporti commerciali con diversi Paesi, pensiamo alla Cina o anche alla Russia e prima delle sanzioni Usa anche all’Iran, ma non esporta armamenti a questi Paesi. Dobbiamo quindi dialogare con tutti e possiamo fare affari e accordi commerciali con tutti i Paesi, ma questo non ha niente a che fare con la vendita di sistemi militari.

 

L’azione promossa da Amnesty, Rete Disarmo e Rete della Pace non solo chiede il dibattito in Parlamento, ma si oppone alla vendita di armamenti all’Egitto: per quali motivi?

Le esportazioni di armamenti – come ho detto – non rientrano e non devono far parte delle politiche commerciali, ma come stabilisce la legge italiana n. 185 del 1990 “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”. Sarebbe perciò necessario che il governo si recasse in parlamento per spiegare in che modo esportare un così ampio arsenale militare all’Egitto del generale al-Sisi sarebbe conforme alla nostra politica estera e di difesa. Di più: le esportazioni di armamenti sono soggette a specifici divieti in particolare sono vietate “verso i Paesi in stato di conflitto armato” – e l’Egitto non solo è coinvolto nel conflitto in Libia ma anche in quello in Yemen senza alcun mandato internazionale – e “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa”. In proposito segnalo che le costanti violazioni dei diritti umani in Egitto sono stata ripetutamente denunciate oltre che dalle associazioni internazionali anche dalle recenti risoluzioni del Parlamento europeo (Risoluzione 13 dicembre 2018 e Risoluzione 24 ottobre 2019). Questo è ciò che stabilisce la legge ed è per questo che le tre organizzazioni chiedono, con un documento molto dettagliato, che vengano vietate.

 

C’è inoltre il terribile capitolo che riguarda la scomparsa, le torture e l’uccisione di Giulio Regeni. Nei giorni scorsi i genitori hanno detto che si sentono “traditi dallo Stato”.  Cosa ne pensa?

Come è noto, le autorità egiziane non solo non hanno mai contribuito a fare chiarezza sul feroce assassinio di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso in Egitto nel gennaio del 2016, ma hanno ripetutamente fornito ai magistrati italiani informazioni fasulle,  insufficienti e parziali. Non esiste Stato al mondo che accetti di fornire armamenti ad un regime che è in qualche modo coinvolto nell’omicidio di un suo cittadino: se quindi, come viene detto, il premier Conte ha ricevuto dal presidente al-Sisi specifiche garanzie riguardo al caso Regeni, sarebbe innanzitutto opportuno vedere dei passi concreti da parte delle autorità egiziane. Ma c’è un altro aspetto che mi preme evidenziare…

 

Dica pure.

Ho notato che c’è la tendenza nella stampa italiana a parlare della questione della vendita delle navi militari all’Egitto mettendola in relazione solo al caso Regeni quasi che sia l’unico o il principale problema nei rapporti con l’Egitto. Lo trovo limitativo e anche pericoloso per due motivi: il primo perché, come ho detto, questo affare militare va esaminato nelle sedi istituzionali con massimo rigore e trasparenza in tutti i suoi aspetti, in particolare nelle sue implicazioni sulla politica estera del nostro Paese. Ma soprattutto perché è inaccettabile considerare tutta la problematica come se dipendesse solo da qualche progresso sul caso Regeni, quasi che le migliaia di prigionieri politici e attivisti incarcerati non esistessero. Questa nuova fornitura di armamenti, dopo gli oltre 871 milioni di euro di esportazioni militari autorizzate nel 2019, non solo è in aperto contrasto con le norme vigenti, ma costituisce un esplicito sostegno al regime repressivo instaurato dal generale al-Sisi all’indomani del colpo di Stato del luglio 2013. Questo è bene dirlo con chiarezza per non finire con l’addossare ai genitori di Giulio Regeni anche il compito della protesta.

 

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