“Il Recovery fund imporrà stabilità alla politica italiana”. Intervista a Fabio Martini

Fabio Martini

Archiviate le elezioni regionali la politica italiana dovrà fare i conti con una realtà assai complicata sotto molteplici punti (dall’economia all’emergenza sanitaria). Come si svilupperà il posizionamento delle forze politiche nei prossimi, decisivi, mesi? Ne parliamo, in questa intervista, con l’inviato , e cronista politico, della “Stampa”Fabio Martini.

 Fabio Martini , le elezioni amministrative e il Referendum appena svolte ci consegnano alcuni elementi di riflessione politica. Analizziamoli separatamente. Primo elemento : la spallata dei sovranisti contro il governo Conte è fallita.  

Domanda: il fallimento della spallata dovrebbe essere un ottimo incentivo per la stabilità governativa e rendere l’azione di governo, come vorrebbe Zingaretti, più efficace. Eppure all’orizzonte si vedono elementi di difficoltà, dovute alle tensioni  nei Cinque stelle. Insomma la stabilità è una illusione ottica? 

«No, la stabilità non è un’illusione ottica: è un imperativo categorico imposto da un’emergenza imponente, dalla gestione di una pioggia di miliardi che inchioda i i governanti al loro posto, dall’atteggiamento dei principali personaggi di opposizione, che sembrano incapaci di suscitare una convincente “mozione popolare” che riallinei il “Paese legale” (che può contare su una legittima maggioranza in Parlamento) e il “Paese reale” delle intenzioni di voti e delle 15 Regioni di centro-destra contro le 5 di centro-sinistra. Soltanto un collasso sanitario e sociale può sconvolgere il quadro politico e d’ altra parte l’attuale decrescita dei Cinque stelle potrebbe diventare destabilizzante soltanto nell’improbabile caso che alle fine negli Stati generali dovessero vincere i fautori del ritorno alle origini, linea incarnata da Di Battista. Ma se invece i sostenitori del “Vaffa”, dopo aver perso il congresso, dovessero andarsene (cosa possibile), nella vasta palude dell’attuale Parlamento non mancherebbero i “responsabili”».

 

Secondo elemento di riflessione: il PD. Il partito democratico ha dimostrato una ottima tenuta (mantenere la Toscana e la Puglia). E Zingaretti si stabilizza e rafforza al suo interno. Però i problemi “ontologici”, chiamiamoli così, non sono risolti. È così Fabio?

«La “percezione” di una tenuta del Pd è legata all’aspettativa (motivata) di una possibile, storica sconfitta nella roccaforte Toscana. Qui, nell’ultima settimana, il “richiamo della foresta” ha funzionato, mentre in Campania e in Puglia a vincere sono stati i due Governatori uscenti, non certo il simbolo del loro partito. Dove invece poteva esprimersi un fattore-Pd – le Marche e la Liguria – i democratici hanno perso nettamente. I problemi “ontologici” restano tutti, ma ora il Pd è a favore di vento: il suo segretario è nettamente più saldo e dalle personalità più attrezzate del suo partito, può estrarre il know how necessario per provare a trasformare il Recovery fund in un autentico volano di crescita, anziché in una somma di micro-investimenti utili soltanto a carpire consensi effimeri da segmenti di opinione pubblica».

 

Il terzo elemento è rappresentato dai 5stelle. La vittoria del referendum sul taglio dei parlamentari non lenisce le ferite di un corpo indebolito. Anzi per certi versi le amplifica. Se l’unico risultato positivo, con la partecipazione di altri soggetti più o meno sinceri, è quello di una battaglia anticasta e poi perde sul territorio locale questo prova, ancora una volta, l’irrisolta identità. E questo favorisce le sirene del populismo interno. Intanto anche il fondatore, Beppe Grillo, torna a sparare sulla democrazia parlamentare e fa la pace con Casaleggio. Insomma il caos regna sovrano. Andremo verso una scissione? 

«Tra le ipotesi in campo, affidarsi subito ad un leader (di fatto di nuovo Di Maio), ad un Direttorio (con la presenza di un “contiano”) alla fine prevarrà quella di accostarsi agli Stati generali con un processo partecipato. Una soluzione al ralenti, che non premia nessuno dei contendenti, ma lascerà uno stato di tensione permanente: non esattamente un balsamo per il governo. Ma per la scissione è presto per fare previsioni».

 

Il quarto elemento riguarda il fronte sovranista (Lega e Fratelli dItalia). Anche qui i punti problematici non mancano. Mettendo tra parentesi, per ora i guai giudiziari di Salvini e Lega. Per la Lega riguarda la coabitazione Salvini – Zaia. Riuscirà Zaia ad avere un effetto moderato su Salvini?  

«Sulla Lega, sul suo leader e sul presidente della Regione Lombardia incombono diverse – e non trascurabili – vicende giudiziarie che potrebbero pesare, ma solo nel caso di una clamorosa evoluzione negativa. In questo senso andranno seguiti gli effetti della vicenda lombarda: se per caso la situazione dovesse precipitare verso uno scioglimento del Consiglio regionale, il risultato di eventuali elezioni anticipate potrebbe avere effetti di lunga durata. Sia sulla politica nazionale che sugli assetti del centrodestra. Non necessariamente a svantaggio di Salvini. Ma sono tutti scenari estremi: in mancanza di clamorose svolte extrapolitiche, Salvini resterà il capo della Lega. Sarà lui a decidere se, come e quanto “resettarsi”: impresa non facile, perché ogni leader ha un carattere e un’identità e travestirsi non porta mai bene. Certo, il Salvini comparso domenica da Lucia Annunziata era diverso dal solito: sempre determinato ma più discorsivo. Meno «è tutto sbagliato, è tutto da rifare». Un “nuovo” Salvini? Presto per dirlo».

 

La crescita di Fratelli d’ Italia è dovuta al carisma comunicativo della Meloni, ma appare evidente il problema della classe dirigente di Fratelli d’Italia. Anche per la Meloni si pone il problema di ammodernare il suo partito. Insomma nascerà un nuovo centro destra? 

«Fratelli d’Italia cresce gradualmente e senza soste: un fenomeno politico da non sottovalutare. Grazie alla grinta politica e ad una buona efficacia comunicativa, Giorgia Meloni sta per  entrare in una “categoria” – gli “over 20” per cento – che richiede uno spessore aggiuntivo: il carisma. Come dimostrano sia Salvini che Di Maio la grinta ti porta su, ma senza gravitas rischi di cadere. Meloni, se si escludono alcuni quadri ex An (Urso, La Russa, Storace) e un personaggio di spessore come Guido Crosetto, non dispone di una “tastiera” politico-culturale e di una rete di relazioni all’altezza delle sue ambizioni. I prossimi mesi diranno se avrà compreso la questione».

 

Una battuta su Forza Italia.. Sempre più in discesa… Sarà irrilevante?
«I risultati nelle Regionali dimostrano che oramai Forza Italia è in dissolvenza. La malattia di Berlusconi ha bloccato, per rispetto del vecchio leader, un’implosione che era già pronta. Ma tutto evolve verso un superamento di Forza Italia, comprese le tentazioni di affidare le chiavi del partito a Giorgia Meloni, Il duo Toti-Carfagna potrebbe presto dar forma ad un soggetto nuovo, il cui successo dipende dalla risposta a due domande: sarà una semplice e ben assortita somma di personalità? Oppure risponderà ad una domanda inevasa da anni, quella di un soggetto moderato e autenticamente liberale nel centrodestra? Con una chance in più: in un futuro dopo-elezioni Politiche, segnato dall’incertezza e da numeri ballerini, un soggetto di questo tipo potrebbe tranquillamente convergere con un centrosinistra che decidesse di emanciparsi dai Cinque stelle». 

 

Una seconda battuta veloce riguarda Renzi e Calenda. Hanno capito che il sogno centrista è finito? 

«Matteo Renzi ha dovuto prendere atto che persino nella sua Toscana l’appeal si è affievolito e dunque la sua Italia Viva rischia l’evanescenza. Carlo Calenda è molto diverso da Renzi: non si è misurato con la sua Azione ed è l’unico, fiammeggiante oppositore del governo che argomenta le sue ragioni. Il consolidamento di uno Zingaretti che guarda a sinistra, può aiutare Calenda nel tentativo di far crescere una forza liberale anche tra i progressisti. Impresa complicata dato il contesto, ma l’uomo ha coraggio, tenacia, idee. Certo, la ripetuta convinzione che quasi tutti gli altri, tranne lui, siano in malafede e impreparati, non aiuta la sua impresa».

Quinto elemento riguarda il premier Conte. Ha ricevuto una boccata di ossigeno dal referendum e dalle regionali. Però, anche per lui, è arrivato il momento di cambiare registro. La gestione dei fondi europei impone questo cambio. Riuscirà? 

«Anche i detrattori di Conte si stanno rendendo conto che l’uomo, al netto dell’ evidente autocompiacimento che muove pensieri e parole, dopo due anni ha imparato il “mestiere” e ha incrementato le relazioni. Ora Conte è chiamato alla stessa impresa che interpellò Mario Monti nella fase-1 del suo mandato: scontentare i partiti che lo sostenevano e fare riforme dolorose ma utili. Non servono necessariamente lacrime e sangue, ma sapersi emancipare dalle pressioni di tutte le lobbies, imprenditoriali, sindacali e di varia natura, e provare a mettere, come diceva una vecchia pubblicità, “il Tigre nel motore” del Paese. Se lascerà diluire il carburante, il rischio è che stavolta la macchina Italia vada in panne. I più recenti pronunciamenti di Conte su Quota 100 e reddito di cittadinanza, se portati avanti, potrebbero preludere ad una “fase 2” nella postura politica di Giuseppe Conte: da abilissimo notaio del patto Lega-5 stelle e poi Pd-Cinque stelle a battistrada. Da leader-follower a leader-leader. La scommessa è questa: non resta che attendere»
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Ultima considerazione riguarda il nuovo ruolo dei governatori. Indubbiamente la gestione del Covid li ha favoriti. Per qualche osservatore sta nascendo un nuovo populismo “virale”. Qual è il tuo pensiero? 

«Restiamo ai fatti: al netto di protagonismi esibiti, alcuni Governatori (non tutti) hanno svolto un ruolo trainante durante la crisi Covid. Il plebiscito raccolto da Vincenzo De Luca è il premio ad un’azione e ad una predicazione che è l’esatto opposto del populismo demagogico. Non appena il virus si è manifestato e non aveva ancora le dimensioni successive, il presidente della Campania ha subito indicato le misure più drastiche, che nei giorni successivi sono state letteralmente “copiate” dal governo e dalle altre regioni. E inizialmente lo ha fatto, andando contro il senso comune dei campani. De Luca sapeva che lasciare la briglia sciolta al ribellismo campano, avrebbe potuto portare ad una strage in una Regione ad altissima densità abitativa. Successivamente quel pugno duro si è trasformato in consenso da parte di cittadini, che hanno “delegato” al Governatore la gestione della loro ansia e si sono sentiti protetti dall’autorità pubblica. Per un politico-leader questa combinazione rappresenta il massimo: unire il proprio vantaggio politico con l’interesse generale».

Eni porta l’ex Ilva nel Green New Deal. Intervista a Giuseppe Sabella

Si è tenuto ieri pomeriggio un vertice al Ministero dello Sviluppo Economico a cui hanno preso parte il Ministro Patuanelli e i sindacati. Dagli elementi che sono emersi, anche in virtù di alcune dichiarazioni di chi era presente, la vicenda Ilva sembra giunta ad un punto di svolta. Anche perché, in assenza di un vero cambio di marcia, ArcelorMittal potrebbe lasciare Taranto dal 1 dicembre 2020. Inoltre, la notizia diffusasi in serata relativamente all’incarico affidato a Eni – da parte di Mittal – per la progettazione delle bonifiche di suoli e falda a Taranto, suona come una novità importante. Ne abbiamo parlato Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, che dall’inizio segue le vicende della ex Ilva.

Sabella, ieri sera – al termine del vertice al Mise – i sindacati hanno deciso di sospendere lo sciopero dei lavoratori dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal di Taranto previsto per oggi. Si tratta indubbiamente di un segnale positivo. Come sta evolvendo la situazione?

I sindacati ieri hanno avuto rassicurazione da parte del Governo soprattutto in relazione al confronto che dal primo ottobre si aprirà con ArcelorMittal relativamente al nuovo piano industriale e agli assetti proprietari del gruppo, in modo da chiudere presumibilmente la trattativa entro il mese di ottobre. Del resto non vi è alternativa: o il Governo si accorda con Mittal o la multinazionale franco-indiana lascerà l’Italia. Personalmente, come anche in altre occasioni ho avuto modo di dire a RaiNews, non ho mai creduto a questo scenario che sarebbe oltremodo funesto per la nostra industria.

Qual è intanto la situazione nella ex Ilva, in particolare a Taranto?

Com’è noto, recentemente è partita un’altra massiccia dose di cassa integrazione. Solo nel sito di Taranto vi sono quasi 5.000 lavoratori in cig per 9 settimane. La produzione di acciaio sta viaggiando a livelli molto bassi, si stima che a fine anno raggiungerà 4 milioni di tonnellate rispetto agli 8 previsti. Da una parte incide senza dubbio il rallentamento del commercio mondiale anche se i mesi di marzo e aprile – quelli con il lockdown più pervasivo – sono quelli in cui Arcelor Mittal è ricorsa meno agli ammortizzatori sociali, evidentemente sfruttando il fermo di qualche competitor diretto. Dall’altra, restano i problemi relativi alla crisi del settore auto – aggravatasi con la pandemia – e alla concorrenza cinese e turca. Ciò spiega le difficoltà che il colosso della siderurgia ha incontrato nel 2020. Vi sono però responsabilità del Governo che ne hanno rallentato la ripresa.

A cosa si riferisce in particolare?

Intanto, a marzo di quest’anno veniva finalmente risolto il contenzioso esploso con la revoca dello scudo penale: Mittal ritirava la sua volontà di recedere e il Governo si impegnava a realizzare investimenti green. Siamo quasi a ottobre e nessuno ha ancora contezza di cosa intende fare il governo. Addirittura, tra lunedì e martedì di questa settimana, a tal proposito il ministro Roberto Gualtieri ha rilanciato l’idea della produzione a gas (idrogeno, tecnologia DRI), molto costosa – è ciò in cui il Governo si è impegnato – ma in grado di avviare la grande fabbrica verso un vero percorso di sostenibilità ambientale. Poco dopo, il responsabile del Mise Stefano Patuanelli diceva che la produzione a gas non è un’ipotesi concreta. È evidente che al governo non hanno le idee chiare. Ed è grave, perché è ovvio che in questo contesto l’azienda ha tutto da guadagnare – scaricando i costi del personale sulle casse dello Stato con la cig – e a farne le spese sono i lavoratori.

Perché Mittal potrebbe lasciare l’Italia e perché secondo lei non lo farà?

Perché l’accordo del marzo scorso prevede che senza gli investimenti che il governo si è impegnato a fare – a cui seguirà un nuovo assetto societario con la partecipazione dello Stato in ArcelorMittal Italia – dal 1° dicembre 2020, Mittal potrebbe lasciare l’Italia esercitando una clausola rescissoria di 500 milioni di euro. Fino a quando il Governo non presenterà una proposta concreta a Mittal – che investimenti vuole fare, quanto vuole investire e che quota vuole di Arcelor Mittal Italia – il player franco-indiano farà sempre più rallentare lo stabilimento, producendo acciaio altrove e andando verso il recesso a dicembre. È auspicabile che non si verifichi questo scenario perché non sarà semplice trovare un altro player privato. A ogni modo, come dicevo, sono convinto che questo resterà solo un pericolo perché l’operazione che è alle porte sarà molto conveniente per ArcelorMittal.

Perché secondo lei questa operazione risulterà conveniente e interessante per ArcelorMittal? E se mai non lo fosse e Mittal lasciasse, esiste un altro investitore che potrebbe subentrare?

Non credo che possa esistere un altro investitore che, al punto in cui è giunta la vicenda, decida di immolarsi su una strada così patologica e complessa. E lo Stato non è in grado di gestire la situazione da solo, già lo abbiamo visto negli anni del Commissariamento (2012-2018). L’expertise del privato è fondamentale, il pubblico non riesce nemmeno a fare politiche per l’industria 4.0 tanto è il deficit di innovazione che registriamo in Italia figuriamoci a gestire uno dei siti più complessi che abbiamo. Quindi, bisogna che il Governo faccia di tutto per non perdere Mittal. A ogni modo, ieri sera Patuanelli ha dato queste rassicurazioni ai sindacati.

Nello specifico, cosa ha reso noto il Ministro ai sindacati?

Sulla base di qualche indiscrezione, possiamo dire che Patuanelli ha detto loro che a breve dovrebbe arrivare a conclusione la due diligence avviata da Invitalia e finalizzata al possibile coinvestimento in ArcelorMittal. Quanto agli investimenti, il titolare del Mise avrebbe parlato di un fondo da 3 miliardi di euro, risorse che in gran parte arrivano dall’Europa per riprogettare e modernizzare la grande fabbrica. Lo stabilimento dell’ex Ilva va indirizzato verso una sua evoluzione green. A Taranto vi è uno dei distretti industriali più importanti d’Europa, con vicino un porto strategico. Non solo va rilanciato con le risorse del Recovery Fund – il cui fine è il rilancio delle produzioni anche in un’ottica green – ma potrebbe anche diventare una delle operazioni più interessanti del Green New Deal tanto caro a Ursula von der Leyen e a Giuseppe Conte. La portata dell’operazione spiega da sé perché per ArcelorMittal sia conveniente.

Intanto, nelle ultime ore si è diffusa la notizia che Mittal ha incaricato Eni per la progettazione delle bonifiche di suoli e falda dell’ex Ilva a Taranto. Pare elemento dirimente, lei cosa ne pensa?

Sono d’accordo con lei. Questa è una notizia importantissima. Eni Rewind, società ambientale di Eni e centro di eccellenza nel risanamento e nella valorizzazione delle risorse naturali in ottica circolare, si occuperà di assistere ArceloMittal nella progettazione degli interventi di bonifica dell’area ex Ilva a Taranto. L’accordo tra Mittal ed Eni contempla anche l’assistenza specialistica nell’iter autorizzativo finalizzato all’approvazione da parte degli enti preposti del progetto di messa in sicurezza operativa dello stabilimento ArcelorMittal Italia a Taranto. Insomma, la scadenza elettorale alle spalle permette ora al Governo di dedicarsi ai dossier urgenti. Questo è uno di quelli. È l’ultima chiamata per la ex Ilva e, questa volta, non si può sbagliare.

5G e il “complotto” maledetto. Intervista a Vanessa Bocchi

Copertina di Alice CantoroNon c’è solo, tra le grandi infrastrutture strategiche, per la rinascita italiana, la rete a fibra ottica, c’è anche la rete 5G. Una tecnologia che fa fare un grande salto d’innovazione alla IT (information technology). Ma è anche oggetto di Fake News da parte di gruppi complottisti. Quali sono le più clamorose Fake sul 5G? Ne parliamo, in questa intervista, con la giornalista Vanessa Bocchi, autrice, insieme a Vincenzo Corrado, di un interessante ebook che smonta le “idee” dei complottisti . L’ebook è acquistabile su Amazon. La copertina è di Alice Cantoro.

Vanessa, il tuo ebook è un  “manuale”contro le Fake news sul 5g. Partiamo dalla definizione di 5G. In cosa si differenzia dalle altre reti?
Quando parliamo di 5G ci riferiamo a tecnologie e standard di nuova generazione per la comunicazione mobile che riguardano non soltanto gli smartphone, ma anche altri oggetti connessi (IoT, Internet of things) come elettrodomestici, auto, semafori, lampioni, orologi ecc. Una delle caratteristiche principali della rete 5G, infatti, è proprio quella di permettere molte più connessioni in contemporanea, con alta velocità e tempi di risposta molto rapidi. Di fatto il 5G dovrebbe soppiantare in futuro anche le attuali connessioni in fibra. Niente più modem da collegare alla rete telefonica, ma al massimo un modem 5G.

Come è strutturata una rete 5G? Un ruolo fondamentale è quello delle antenne, di che tipo?
Non ci sarà più modem da collegare alla rete telefonica, ma al massimo un modem 5G che sancirà l’avvento dell’era dei dispositivi (davvero) sempre connessi, e che non dovranno più passare continuamente da Wi-Fi a rete mobile. Le antenne 5G sono di dimensione inferiore rispetto alle antenne 4G, questo permeate di ottimizzare gli spazi urbani.
Grazie al beamforming la tecnologia 5G rende possibile direzionare il segnale verso aree specifiche intorno e nelle vicinanze della torre.

L’iperconnettività è la caratteristica del 5g, ovvero non solo scambi di dati e informazioni ma anche IoT. Quali saranno i vantaggi per gli utenti?
Come spiega Jaime D’Alessandro in un articolo per www.repubblica.it  “se con il 4G impieghiamo ad esempio circa 43 secondi per scaricare un film da un gigabyte – che richiedeva ben quattro ore con il 3G – con la rete di quinta generazione il tempo di attesa scenderebbe sotto la soglia del secondo.” Non solo. La latenza, ossia quanto ci mette un segnale inviato dal nostro smartphone ad andare a destinazione e tornare indietro, si fa infinitesimale sulla carta. Ciò per gli utenti significa poter connettere apparati produttivi che rispondono ai comandi in tempo reale, o guidare veicoli anche a chilometri di distanza Dall’industria all’agricoltura, dall’intrattenimento alle città smart, il 5G promette nel corso della sua evoluzione di cambiare le nostre vite.

Come si sta sviluppando nel mondo la tecnologia 5G?
Secondo l’Agi (Agenzia Giornalistica Italia), a maggio del 2020, 81 operatori in 42 Paesi hanno lanciato servizi commerciali 5G. A marzo 2019 erano meno di dieci. La grande accelerazione è arrivata a cavallo tra l’aprile e il settembre del 2019: in sei mesi le offerte 5G si sono quintuplicate e poi la crescita è proseguita al ritmo costante di circa dieci lanci commerciali ogni trimestre.
I dati della Gsa, l’associazione che rappresenta le compagnie dell’ecosistema mobile, raccontano quanto e dove la tecnologia di quinta generazione sia già disponibile. Gli 81 operatori che hanno puntato su offerte commerciali sono peraltro solo una piccola parte di quelli che hanno investito nelle nuove reti: ce ne sono ben 386 in 97 Paesi, numero praticamente raddoppiato nell’arco di un anno e mezzo.
Inoltre,  secondo i dati contenuti nell’Ericsson Mobility Report relativi al secondo trimestre 2020, cioè da aprile a giugno, il periodo del lockdown per il coronavirus, sembra esserci stata una crescita di 15 milioni di abbonamenti solamente durante il secondo trimestre.

E in Europa e in Italia?
In Italia sono già disponibili offerte Tim e Vodafone, mentre il grande assente in Europa, per ora, resta la Francia. Tra i Paesi più ricchi e industrializzati del mondo, i nostri Cugini d’Oltralpe sono gli unici a non avere ancora la disponibilità di offerte 5G. In Europa mancano anche, tra gli altri, Portogallo e Svezia.

Sappiamo che nel nostro paese,  e non solo, l’introduzione di questa tecnologia è contrastata da un “movimento”  no 5G. Un movimento composito. Che tipo di “ideologia”  esprime?  Vi sono collegamenti anche con altri “movimenti” simili come i “no vax”?
Le teorie complottistiche trovano principalmente il loro fondamento nella paura e nell’incapacità di reperire fonti veritiere. Le stesse persone che diffondono notizie imprecise o totalmente false spesso sono insofferenti o restie alle novità, fino al punto di arroccarsi su posizioni irragionevoli; altre volte non tengono in considerazione punti di vista differenti, nonostante siano riconducibili a fonti ufficiali, quali ad esempio l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) o l’ISS (Istituto Superiore di Sanità). Di base questi gruppi si oppongono all’ascesa della tecnologia di quinta generazione.

Quali sono le principali Fake news diffuse dai complottisti?
Tra le principali fake news c’è quella relativa alla salute, secondo i NO 5G la tecnologia di quinta generazione è da ritenersi una minaccia capace di provocare gravi effetti sulla salute dell’uomo.Sono riusciti a ricondurre anche la morte di un gruppo di animali al 5G, caso di cui parlo insieme al mio collega Vincenzo Corrado, nel nostro libro. Non solo, lo stesso inquinamento viene fatto ricondurre all’evoluzione della telefonia mobile secondo i complottisti, il tutto senza dati veritieri alla mano, anche di questo ne parliamo.
Come sta reagendo la politica ufficiale di fronte a questa propaganda?
La reazione di buona parte dei sindaci dei comuni italiani è stata quella di assecondare l’atteggiamento degli Anti 5G e di accogliere le loro richieste, tra cui, ad esempio, quella dello smantellamento delle antenne. Il tutto al fine di rassicurarli, visto il periodo difficile, questo ovviamente non ha fatto che aumentare il livello di disinformazione al riguardo e aumentare la paura.

Nel tuo ebook parli del caso emblematico del comune di Sabbioneta. Perché?
Parliamo del caso di Sabbioneta, in quanto, trattandosi di un comune di poco più di quattromila abitanti, quindi di una realtà decisamente piccola, la possiamo considerare un osservatorio privilegiato al fine di comprendere le motivazioni di una protesta immotivata, definirne i contorni, conoscerne la genesi e tutte le caratteristiche che, fatte le debite proporzioni, stanno ispirando vere e proprie guerre mediatiche contro il 5G in molte città e metropoli d’Italia e del resto del mondo.

Sappiamo che è la rete che diffonde queste Fake, trovi adeguata l’opera di contrasto alle Fake?
Se trovassi adeguata l’opera di contrasto alle fake news, forse non avrei scritto questo libro! Non penso ci sia un limite al riguardo. Le fake news vanno combattute e soprattutto è di fondamentale importanza dare un mezzo alle persone affinché siano autonome nel riconoscerle. Questo è quello che ci impegniamo a fare io e Vincenzo.

Torniamo, per un attimo, alla rete. Come si integrerà il 5g con quella che, speriamo, diventerà la fibra unica nel nostro paese? 
L’Italia, insieme a Canada, Russia, Brasile e pochi altri, si avvale della tecnologia Fwa (Fixed Wireless Access), vale a dirsi quella ibrida, che punta a sfruttare determinate frequenze per portare la banda larga fissa dove i cavi non possono arrivare (o non è conveniente che arrivino). Sono ancora pochi gli operatori che hanno lanciato un servizio Fwa 5G: 39 in 24 Paesi, tra i quali Cina, Stati Uniti, Germania, Australia, Sud Africa, Regno Unito e Finlandia. Rispetto al 5G mobile, sono molti meno anche i Paesi nei quali gli operatori stanno investendo sul Fixed Wireless Access.

Il 5G insieme alla rete in fibra potrà essere un elemento fondamentale nella rinascita italiana. In termini di PIL quanto sarà la crescita per il nostro paese?
Per rispondere a questa domanda mi rifaccio a quelle che sono le linee guida proposte dal premier Conte qualche giorno fa, per la definizione del Piano italiano di ripresa e resilienza per accedere ai fondi previsti dal Recovery Fund. Nel Pnrr sono previste sei missioni, tra cui la digitalizzazione e l’innovazione, quindi immagino che inciderà positivamente l’avvento della tecnologia di quinta generazione sul PIL.

“IL GREEN NEW DEAL È L’UNIONE DEL LAVORO E DELLA SALUTE”. INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA

Ursula Von Der Leyen (ApPhoto)

Salario minimo, nuovo patto per l’immigrazione e salute al centro dell’agenda europea. Questo il discorso di Ursula von der Leyen al Parlamento europeo che ha aggiunto che “assieme al presidente Giuseppe Conte, in occasione della presidenza italiana del G20, organizzerò un vertice mondiale sulla sanità in Italia (con molta probabilità a Roma) e questo dimostrerà agli europei che l’Europa c’è ed è pronta a proteggerli. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, esperto di politiche europee e autore del recente Ripartenza Verde (Rubbettino Editore), qui già presentato.

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