
Fabio Martini
Archiviate le elezioni regionali la politica italiana dovrà fare i conti con una realtà assai complicata sotto molteplici punti (dall’economia all’emergenza sanitaria). Come si svilupperà il posizionamento delle forze politiche nei prossimi, decisivi, mesi? Ne parliamo, in questa intervista, con l’inviato , e cronista politico, della “Stampa”Fabio Martini.
Fabio Martini , le elezioni amministrative e il Referendum appena svolte ci consegnano alcuni elementi di riflessione politica. Analizziamoli separatamente. Primo elemento : la spallata dei sovranisti contro il governo Conte è fallita.
Domanda: il fallimento della spallata dovrebbe essere un ottimo incentivo per la stabilità governativa e rendere l’azione di governo, come vorrebbe Zingaretti, più efficace. Eppure all’orizzonte si vedono elementi di difficoltà, dovute alle tensioni nei Cinque stelle. Insomma la stabilità è una illusione ottica?
«No, la stabilità non è un’illusione ottica: è un imperativo categorico imposto da un’emergenza imponente, dalla gestione di una pioggia di miliardi che inchioda i i governanti al loro posto, dall’atteggiamento dei principali personaggi di opposizione, che sembrano incapaci di suscitare una convincente “mozione popolare” che riallinei il “Paese legale” (che può contare su una legittima maggioranza in Parlamento) e il “Paese reale” delle intenzioni di voti e delle 15 Regioni di centro-destra contro le 5 di centro-sinistra. Soltanto un collasso sanitario e sociale può sconvolgere il quadro politico e d’ altra parte l’attuale decrescita dei Cinque stelle potrebbe diventare destabilizzante soltanto nell’improbabile caso che alle fine negli Stati generali dovessero vincere i fautori del ritorno alle origini, linea incarnata da Di Battista. Ma se invece i sostenitori del “Vaffa”, dopo aver perso il congresso, dovessero andarsene (cosa possibile), nella vasta palude dell’attuale Parlamento non mancherebbero i “responsabili”».
Secondo elemento di riflessione: il PD. Il partito democratico ha dimostrato una ottima tenuta (mantenere la Toscana e la Puglia). E Zingaretti si stabilizza e rafforza al suo interno. Però i problemi “ontologici”, chiamiamoli così, non sono risolti. È così Fabio?
«La “percezione” di una tenuta del Pd è legata all’aspettativa (motivata) di una possibile, storica sconfitta nella roccaforte Toscana. Qui, nell’ultima settimana, il “richiamo della foresta” ha funzionato, mentre in Campania e in Puglia a vincere sono stati i due Governatori uscenti, non certo il simbolo del loro partito. Dove invece poteva esprimersi un fattore-Pd – le Marche e la Liguria – i democratici hanno perso nettamente. I problemi “ontologici” restano tutti, ma ora il Pd è a favore di vento: il suo segretario è nettamente più saldo e dalle personalità più attrezzate del suo partito, può estrarre il know how necessario per provare a trasformare il Recovery fund in un autentico volano di crescita, anziché in una somma di micro-investimenti utili soltanto a carpire consensi effimeri da segmenti di opinione pubblica».
Il terzo elemento è rappresentato dai 5stelle. La vittoria del referendum sul taglio dei parlamentari non lenisce le ferite di un corpo indebolito. Anzi per certi versi le amplifica. Se l’unico risultato positivo, con la partecipazione di altri soggetti più o meno sinceri, è quello di una battaglia anticasta e poi perde sul territorio locale questo prova, ancora una volta, l’irrisolta identità. E questo favorisce le sirene del populismo interno. Intanto anche il fondatore, Beppe Grillo, torna a sparare sulla democrazia parlamentare e fa la pace con Casaleggio. Insomma il caos regna sovrano. Andremo verso una scissione?
«Tra le ipotesi in campo, affidarsi subito ad un leader (di fatto di nuovo Di Maio), ad un Direttorio (con la presenza di un “contiano”) alla fine prevarrà quella di accostarsi agli Stati generali con un processo partecipato. Una soluzione al ralenti, che non premia nessuno dei contendenti, ma lascerà uno stato di tensione permanente: non esattamente un balsamo per il governo. Ma per la scissione è presto per fare previsioni».
Il quarto elemento riguarda il fronte sovranista (Lega e Fratelli d’Italia). Anche qui i punti problematici non mancano. Mettendo tra parentesi, per ora i guai giudiziari di Salvini e Lega. Per la Lega riguarda la coabitazione Salvini – Zaia. Riuscirà Zaia ad avere un effetto moderato su Salvini?
«Sulla Lega, sul suo leader e sul presidente della Regione Lombardia incombono diverse – e non trascurabili – vicende giudiziarie che potrebbero pesare, ma solo nel caso di una clamorosa evoluzione negativa. In questo senso andranno seguiti gli effetti della vicenda lombarda: se per caso la situazione dovesse precipitare verso uno scioglimento del Consiglio regionale, il risultato di eventuali elezioni anticipate potrebbe avere effetti di lunga durata. Sia sulla politica nazionale che sugli assetti del centrodestra. Non necessariamente a svantaggio di Salvini. Ma sono tutti scenari estremi: in mancanza di clamorose svolte extrapolitiche, Salvini resterà il capo della Lega. Sarà lui a decidere se, come e quanto “resettarsi”: impresa non facile, perché ogni leader ha un carattere e un’identità e travestirsi non porta mai bene. Certo, il Salvini comparso domenica da Lucia Annunziata era diverso dal solito: sempre determinato ma più discorsivo. Meno «è tutto sbagliato, è tutto da rifare». Un “nuovo” Salvini? Presto per dirlo».
La crescita di Fratelli d’ Italia è dovuta al carisma comunicativo della Meloni, ma appare evidente il problema della classe dirigente di Fratelli d’Italia. Anche per la Meloni si pone il problema di ammodernare il suo partito. Insomma nascerà un nuovo centro destra?
«Fratelli d’Italia cresce gradualmente e senza soste: un fenomeno politico da non sottovalutare. Grazie alla grinta politica e ad una buona efficacia comunicativa, Giorgia Meloni sta per entrare in una “categoria” – gli “over 20” per cento – che richiede uno spessore aggiuntivo: il carisma. Come dimostrano sia Salvini che Di Maio la grinta ti porta su, ma senza gravitas rischi di cadere. Meloni, se si escludono alcuni quadri ex An (Urso, La Russa, Storace) e un personaggio di spessore come Guido Crosetto, non dispone di una “tastiera” politico-culturale e di una rete di relazioni all’altezza delle sue ambizioni. I prossimi mesi diranno se avrà compreso la questione».
Una battuta su Forza Italia.. Sempre più in discesa… Sarà irrilevante?
«I risultati nelle Regionali dimostrano che oramai Forza Italia è in dissolvenza. La malattia di Berlusconi ha bloccato, per rispetto del vecchio leader, un’implosione che era già pronta. Ma tutto evolve verso un superamento di Forza Italia, comprese le tentazioni di affidare le chiavi del partito a Giorgia Meloni, Il duo Toti-Carfagna potrebbe presto dar forma ad un soggetto nuovo, il cui successo dipende dalla risposta a due domande: sarà una semplice e ben assortita somma di personalità? Oppure risponderà ad una domanda inevasa da anni, quella di un soggetto moderato e autenticamente liberale nel centrodestra? Con una chance in più: in un futuro dopo-elezioni Politiche, segnato dall’incertezza e da numeri ballerini, un soggetto di questo tipo potrebbe tranquillamente convergere con un centrosinistra che decidesse di emanciparsi dai Cinque stelle».
Una seconda battuta veloce riguarda Renzi e Calenda. Hanno capito che il sogno centrista è finito?
«Matteo Renzi ha dovuto prendere atto che persino nella sua Toscana l’appeal si è affievolito e dunque la sua Italia Viva rischia l’evanescenza. Carlo Calenda è molto diverso da Renzi: non si è misurato con la sua Azione ed è l’unico, fiammeggiante oppositore del governo che argomenta le sue ragioni. Il consolidamento di uno Zingaretti che guarda a sinistra, può aiutare Calenda nel tentativo di far crescere una forza liberale anche tra i progressisti. Impresa complicata dato il contesto, ma l’uomo ha coraggio, tenacia, idee. Certo, la ripetuta convinzione che quasi tutti gli altri, tranne lui, siano in malafede e impreparati, non aiuta la sua impresa».
Quinto elemento riguarda il premier Conte. Ha ricevuto una boccata di ossigeno dal referendum e dalle regionali. Però, anche per lui, è arrivato il momento di cambiare registro. La gestione dei fondi europei impone questo cambio. Riuscirà?
«Anche i detrattori di Conte si stanno rendendo conto che l’uomo, al netto dell’ evidente autocompiacimento che muove pensieri e parole, dopo due anni ha imparato il “mestiere” e ha incrementato le relazioni. Ora Conte è chiamato alla stessa impresa che interpellò Mario Monti nella fase-1 del suo mandato: scontentare i partiti che lo sostenevano e fare riforme dolorose ma utili. Non servono necessariamente lacrime e sangue, ma sapersi emancipare dalle pressioni di tutte le lobbies, imprenditoriali, sindacali e di varia natura, e provare a mettere, come diceva una vecchia pubblicità, “il Tigre nel motore” del Paese. Se lascerà diluire il carburante, il rischio è che stavolta la macchina Italia vada in panne. I più recenti pronunciamenti di Conte su Quota 100 e reddito di cittadinanza, se portati avanti, potrebbero preludere ad una “fase 2” nella postura politica di Giuseppe Conte: da abilissimo notaio del patto Lega-5 stelle e poi Pd-Cinque stelle a battistrada. Da leader-follower a leader-leader. La scommessa è questa: non resta che attendere»
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Ultima considerazione riguarda il nuovo ruolo dei governatori. Indubbiamente la gestione del Covid li ha favoriti. Per qualche osservatore sta nascendo un nuovo populismo “virale”. Qual è il tuo pensiero?
«Restiamo ai fatti: al netto di protagonismi esibiti, alcuni Governatori (non tutti) hanno svolto un ruolo trainante durante la crisi Covid. Il plebiscito raccolto da Vincenzo De Luca è il premio ad un’azione e ad una predicazione che è l’esatto opposto del populismo demagogico. Non appena il virus si è manifestato e non aveva ancora le dimensioni successive, il presidente della Campania ha subito indicato le misure più drastiche, che nei giorni successivi sono state letteralmente “copiate” dal governo e dalle altre regioni. E inizialmente lo ha fatto, andando contro il senso comune dei campani. De Luca sapeva che lasciare la briglia sciolta al ribellismo campano, avrebbe potuto portare ad una strage in una Regione ad altissima densità abitativa. Successivamente quel pugno duro si è trasformato in consenso da parte di cittadini, che hanno “delegato” al Governatore la gestione della loro ansia e si sono sentiti protetti dall’autorità pubblica. Per un politico-leader questa combinazione rappresenta il massimo: unire il proprio vantaggio politico con l’interesse generale».