Ieri il Senato ha confermato la fiducia al governo sulla Manovra. Il provvedimento è quindi approvato in via definitiva dal Parlamento. Parallelamente il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nella rituale conferenza stampa di fine anno, ha spiegato le intenzioni del Governo circa il Recovery Fund, dicendo che conta di andare in Consiglio dei ministri già nei primi giorni di gennaio e poi subito in Aula. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, cercando di capire anche come si muoverà l’economia nel nuovo anno.
Sabella, si chiude un anno molto complicato e non solo da un punto di vista sanitario naturalmente. Considerando i problemi dell’economia, cosa c’è di interessante nella manovra di bilancio?
È da marzo che il governo Conte fa manovre economiche. Gli va riconosciuto un grosso sforzo tenendo conto, soprattutto, che al momento è stato fatto tutto in deficit considerato anche che le risorse dei fondi europei saranno a disposizione soltanto dal prossimo anno. Tra l’altro, se vi sono questi fondi è anche merito del governo italiano. Ciò premesso, sono state tutte manovre di contenimento, finalizzate a evitare il crollo dell’economia. Tuttavia, nella legge di bilancio appena votata vi sono misure interessanti che non sono soltanto di contenimento; sono provvedimenti che agiscono su quella che potremmo definire l’economia di domani. Resta il fatto che i conti veri e propri col futuro li faremo col Recovery Fund. Conte dice che a febbraio il governo sarà pronto ma le incognite sono tante. Questo governo arriva a febbraio? Ma, soprattutto, credo che questo governo abbia quantomeno bisogno di qualche innesto di sostanza e di esperienza – soprattutto in ambito di sviluppo economico e di politica industriale – per gestire il Recovery Fund che è la grande occasione che ha l’Italia per restare tra le economie avanzate. Se la perdiamo, i costi saranno ingenti.
Andiamo con ordine rispetto a ciò che dice, quali sono i provvedimenti che le paiono interessanti in ottica futura?
Le misure sulla digitalizzazione, il superecobonus, gli incentivi per l’auto elettrica, l’investimento sul personale medico infermieristico, gli ammortizzatori sociali per le partite iva, il fondo per la parità salariale di genere… ecco, queste sono tutte misure che guardano avanti, a cominciare dall’investimento nell’infrastruttura digitale. Teniamo poi conto che il quadro normativo edilizio è ancora quello del 1942 e oggi è necessario realizzare interventi in ambito di efficienza energetica, antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici. A ogni modo, gli incentivi per l’auto sono anche per il motore a combustione e per le ibride. Il mercato italiano registra un calo di circa il 30%: sono misure che consentono di rimettere in moto la filiera. E proprio l’auto elettrica sarà uno dei simboli del ciclo alle porte.
Non è di questo avviso Akio Toyoda, il numero uno di Toyota oltre che presidente di Japan Automobile Manufacturers Association, l’associazione dei costruttori di automobili giapponese che denuncia i costi energetici e sociali insostenibili della mobilità elettrica…
Mah… sono dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano e che a me sembra vogliano minimizzare il grande sforzo industriale che sta facendo l’Europa e che ha tra i suoi obiettivi più importanti proprio la mobilità elettrica. In tutto il mondo cominciano ad avere chiaro che sarà un po’ meno facile penetrare nel mercato europeo. Del resto, il grande investimento che l’UE sta facendo col Recovery and Resilience Facility (o Recovery Fund) starà in piedi se in primis il mercato europeo risponderà all’industria locale. E poi non dimentichiamoci due cose: tutto il mondo, anche gli USA, percepisce la nascente Stellantis come europea; e tutte le superpotenze – USA, Cina e anche Giappone – hanno chiaro che l’UE col suo Green Deal ha lanciato un nuovo multilateralismo che rafforzerà la sua egemonia. Ciò non vuol dire che USA e Cina, in particolare, staranno a guardare; significa però che l’Europa sta uscendo da un ciclo di crescita debole ed è, a ragion veduta, osservata speciale.
Cosa temono in particolare Cina e USA del nuovo corso europeo?
L’Europa sta viaggiando spedita verso la carbon neutrality. Questo non è soltanto un aspetto ambientale ma è anche un fattore di nuovo business che va dalla mobilità elettrica alle energie rinnovabili. Ora: è vero che rispetto a USA e Cina abbiamo un ritardo in innovazione digitale – anche questo è fattore che contribuisce alla sostenibilità delle produzioni – ma è anche vero che nessuno come la UE ha reso così sistemica la politica economica per lo sviluppo sostenibile. Ancora, non è soltanto un discorso di conformità all’Agenda Onu 2030 e di responsabilità sociale… il punto vero è che il vecchio modello di sviluppo ha ormai esaurito la sua spinta: pensiamo al petrolio e a ciò che è successo ad aprile negli USA: chi investirà ancora in un sistema che non garantisce più profitti?
Ma, riprendendo le parole di Toyoda, sono sostenibili i costi della transizione ecologica ed energetica?
Intanto non dimentichiamoci che “salvare il pianeta” non è solo uno slogan ma è una missione che non possiamo fallire: anche questo è segno della fine del modello di sviluppo legato al motore a combustione. Si dice, tra l’altro, che il motore elettrico è più piccolo della metà rispetto a quello tradizionale e che, quindi, a livello di componentistica e di manodopera richieda molto meno di ciò che richiedeva prima. Ricordiamoci però che lo stesso motore a combustione è più piccolo del 40% rispetto al motore che si produceva negli anni ‘80. Questo per dire che il progresso tecnico scientifico è inevitabilmente legato ad un fattore di efficienza che ottimizza non solo la fatica ma anche il lavoro. Questo da sempre è ciò che caratterizza le rivoluzioni industriali. La verità, invece, è un’altra: non torneremo a crescere se non colmiamo il gap di innovazione digitale che abbiamo nei confronti di USA e Cina, i Paesi che più hanno investito in intelligenza artificiale e che fino a prima della pandemia non manifestavano particolari scompensi da un punto di vista dell’occupazione. Proprio perché, per dirla con Schumpeter, l’innovazione distrugge ma allo stesso tempo crea.
A proposito di USA e Cina, come vede le due superpotenze nel corso che viene?
Gli USA faranno più fatica di noi a riprendersi dalla pandemia per via di un sistema sanitario che ha mostrato tutti i suoi limiti in questa fattispecie. Per quanto riguarda la Cina, non sono del parere di Prodi e Forchielli che continuano a vedere questa crescita forte del Dragone. Credo invece che i cinesi avranno qualche problema serio. In primis perché Joe Biden riavvicina il mondo anglosassone a quello europeo e questo riavvicinamento avrà come obiettivo di contenere l’avanzata della Cina, anche in ragione di elementi che il mondo occidentale fa sempre più fatica a tollerare: si pensi alla repressione di Hong Kong ma anche alla gestione fortemente autoritaria della pandemia. In secondo luogo perché alcuni nodi verranno al pettine: Xi Jinping ha una forte opposizione interna che potrebbe portare ad una seria crisi politico-istituzionale. E non è da escludere nemmeno che allo stesso tempo emergano le fragilità strutturali di quel sistema che si è sviluppato in modo molto accelerato negli ultimi due decenni: qualche problema per Pechino arriverà anche da noti aspetti demografici oggi sempre più seri – ricambio generazionale debole, città che si spopolano, carenza di forza-lavoro ad es. – e dalla crescente siccità nella Cina settentrionale. Le stesse proiezioni della Via della seta non sono più così ispirate. In un modo o nell’altro, il rapporto tra la Cina e il resto del mondo cambierà.
La ripresa europea farà bene all’Italia? E come il nostro Paese può approfittarne?
Quella che si presenta è un’opportunità storica. L’Italia non è solo il secondo Paese manifatturiero d’Europa ma è anche potentemente integrata con la grande piattaforma tedesca. La locomotiva europea tornerà a correre e con lei anche la nostra manifattura, in particolare metalmeccanica (che vale il 50% del nostro export). Resto quindi dell’idea che la ripresa che nel secondo trimestre del 2021 cominceremo ad avvertire in modo evidente – anche per merito dei vaccini – e che nel terzo e quarto crescerà progressivamente, toccherà anche il nostro Paese. Noi dobbiamo sfruttare la forza del nostro made in Italy e incentivare lo sviluppo – anche a livello di competenze – di quei settori che costituiranno l’economia di domani: economia circolare e energie rinnovabili. Certo, dobbiamo fare sistema: non si può fare battaglie contro la Tap e poi volere l’Ilva a idrogeno.