Ci avviciniamo al Natale. Un Natale, quello che celebriamo in questo anno tragico, pieno di sofferenza e con un futuro sospeso. Grazie ai vaccini intravvediamo una luce per uscire da questo infernale tunnel. Ma la ricostruzione incomincia dentro di noi, nella nostra interiorità. Una meditazione, così forte, come questa che pubblichiamo può aprirci orizzonti inediti. Il sermone è del Padre Maurice Zundel, teologo, filosofo e mistico cattolico svizzero del Novecento. Una grande personalità, amico di Papa Paolo VI, poco conosciuta al pubblico italiano. Eppure nella sua formazione Roma e l’Italia contano assai (ha studiato teologia all’Angelicum dai domenicani).. Il testo viene pubblicato per gentile concessione di Mario Bertin e Carlo Nicolais che hanno curato la traduzione dal francese.
Parlando dell’amore dell’uomo e della donna, Nietzsche ha usato parole sconvolgenti e magnifiche: “Che il vostro amore possa essere una pietà per gli dei sofferenti e velati”.
Ci sono poche parole che trovano in me un’eco più profonda di quelle pronunciate dal profeta dell’ateismo. Nulla infatti può commuoverci di più di questa professione di fede: “Che il vostro amore possa essere una pietà per gli dei sofferenti e velati”.
In queste parole vediamo che l’ateismo si definisce in rapporto a degli dei nemici e che un ateo, nel fondo del suo cuore, può avere conservato del Vangelo quello che esso ha di più prezioso e di più essenziale: perché nessuno nel mondo contemporaneo si è accostato al cristianesimo con una concisione maggiore di quella di Nietzsche, quando scrive: “Che il vostro amore possa essere una pietà per gli dei sofferenti e velati”.
La religione di Cristo, infatti, è la religione di un Dio sofferente e velato.
Se attraversiamo i diversi strati delle redazioni del Vangelo, che sono una preparazione alla grande rivelazione che si manifesterà nella Croce del Signore, ci imbatteremo in quel momento unico della Storia del mondo in cui il nostro Signore, in ginocchio davanti ai suoi discepoli, lava loro i piedi.
Gesù in ginocchio davanti ai suoi discepoli: è questo il cuore del Vangelo; questo è ciò che splende nel Mistero del Natale, è che Dio è dentro di noi. Non lassù, dietro il cielo stellato, come se regnasse in una corte faraonica, ma qui, ora, nel più intimo di noi.
Un altro volto di Dio appare nell’universo e ci rivela l’essenziale: che noi siamo liberati dagli idoli! Riconoscere Dio come una presenza nell’uomo è precisamente scoprire Gesù in ginocchio davanti ai suoi discepoli alla Lavanda dei piedi, Gesù che viene a liberarci per sempre da un dio idolo.
Mai l’Uomo è stato oggetto di un simile atto di fede. Mai l’Uomo è stato magnificato e glorificato fino a questo punto. E’ dunque in noi che dobbiamo cercare l’infinito. C’è in noi un valore illimitato che si tratta di scoprire se vogliamo raggiungere in noi l’autenticità dell’Uomo.
E tuttavia la maggior parte di noi di tutto ciò non è cosciente. Che noi siamo portatori della divinità, più intima a noi di noi stessi, e che essa costituisce, in qualche maniera, la nostra vera identità, è una cosa che sfugge completamente alla nostra immaginazione e alla nostra sensibilità.
E’ questa la ragione per cui se Dio in noi è un Dio velato, è per ciò stesso anche un Dio sofferente, perché è velato da noi, è velato dalle nostre complicità, dal nostro accecamento, dalla schiavitù alle nostre passioni. E’ velato da questo io di cui ci riempiamo la bocca, dall’io possessivo che ci impedisce di arrivare ad essere noi stessi e che costituisce il più formidabile schermo tra Dio che dimora dentro di noi e noi stessi.
Gesù è dunque infinitamente solidale al contempo con l’uomo che noi siamo, cieco e tuttavia portatore di Dio, e del Dio velato e sofferente che è in noi attesa infinita, ma che non vuole forzare lo sbarramento del nostro egocentrismo, che non vuole imporsi, nonostante non smetta di offrirsi.
Così noi siamo chiamati, oggi, giorno di Natale, a fare un atto di fede nell’Uomo, a scoprire nel più profondo di noi questo cielo interiore. Non ce ne sono altri.
Ma come scoprirlo in noi, se non infrangiamo lo schermo del nostro egocentrismo? Qual è la strada che porta al Dio nascosto nel più intimo di noi? Questa strada è Gesù, Lui stesso… Come?
E’ chiaro che, se Dio è dentro di noi, non deve discendere da nessun cielo immaginario. Se è in noi, lo era già da sempre. Egli non smette mai di prevenirci, di attenderci. Siamo noi a non esserci. Ed è esattamente questo capovolgimento che siamo chiamati a compiere nel Mistero di Gesù: Dio è sempre dentro di noi, è l’Uomo ad essere assente.
Egli è già venuto da sempre. E’ l’uomo che deve venire a Dio. Il Mistero dell’Incarnazione è precisamente il Mistero dell’Uomo che viene a Dio. E l’Umanità che soffre è l’Umanità che è radicata nell’Amore infinito che è Dio, in questo Amore che è soltanto Amore e che, a causa di ciò, è disarmato; che, a causa di ciò, è infinitamente povero, sempre incapace di imporsi.
Si parla dei diritti di Dio! E’ un linguaggio inadeguato. Dio è offerta infinita. Non può far altro che offrirsi agli altri, in una misteriosa crocifissione nel più intimo di noi. In Gesù l’Umanità, infine, si schiude nella Luce di Dio, radicata in Dio, sussistente in Dio, non avendo più altro legame con se stessa che Dio. Questo è Cristo, Nostro Signore.
Non una specie di personaggio fantastico e mitologico, ma un Uomo nella pienezza della sua grandezza, della sua dignità e della sua libertà, un Uomo… ma che non ha altro legame con sé che Dio, un Uomo il cui “io” è “l’altro”, un Uomo che può dire in maniera unica e incomparabile: “Io è un altro”, prefigurando così la nostra vocazione, poiché, finalmente, noi non riusciremo a realizzare questa grandezza e a fare risplendere il valore infinito che è Dio in noi, se non disappropriandoci di noi stessi affinché Dio possa divenire il nostro vero io, perché, anche in noi, Egli sia un altro.
Questa è la strada, non ce ne sono altre: è Gesù Cristo. Gesù porta al mondo questa novità che splende in questa santa notte: Gesù realizza in Sé stesso la pienezza dell’Uomo nella perfetta Incarnazione di Dio.
Dio che è da sempre quaggiù, prende il completo possesso dell’Umanità: l’Umanità immersa nel Suo Amore, radicata nella Sua Sostanza, che è l’Umanità di Gesù Cristo. Questa Umanità diafana, questa Umanità senza ombra, questa Umanità universale, questa Umanità capace di vivere in ciascuno di noi perché totalmente disappropriata di sé stessa, questa Umanità diviene in noi il fermento della nostra liberazione.
Gesù Cristo viene ad aspirarci verso la divinità che dimora in noi, facendo saltare lo sbarramento del nostro egocentrismo e identificandoci poco a poco al volto adorabile impresso nei nostri cuori. Egli ci insegnerà come rendere testimonianza con tutta la nostra vita alla Presenza unica che è il respiro della nostra libertà.
Gesù Cristo è il caso limite di ciò a cui noi siamo chiamati. Perché, infine, siamo veramente noi stessi, siamo davvero sorgente e origine, siamo veramente creatori di noi stessi e dell’universo, soltanto nella misura in cui facciamo in noi un vuoto senza limiti per accogliere la Presenza infinita che non cessa mai di attenderci nel più intimo di noi.
In Gesù Cristo questo vuoto è totalmente compiuto. La Sua Umanità è incapace di appropriarsi di qualsiasi cosa. Essa coglie se stessa soltanto attraverso la Divinità, attraverso la sussistenza del Verbo, attraverso l’eterna povertà del Figlio unico, il quale altro non è che una offerta eterna di Sé stesso al Padre.
Ed è in questo modo che Gesù Cristo ci guarirà di noi stessi, del possesso di noi stessi da parte di noi stessi.
Nella notte di Natale si rivelano contemporaneamente l’Uomo e Dio: l’Uomo che noi non siamo ancora, ma che siamo chiamati ad essere; e Dio che può apparire soltanto in una Umanità diafana, totalmente disappropriata di sé stessa, in una Umanità che fa passare attraverso di sé l’Amore che è soltanto Amore, in una sussistente ed eterna povertà.
Il Natale non è una fiaba da raccontare ai bambini. Il Natale, che segna il tornante della Storia universale, il Natale rispetto al quale da allora in avanti vengono ordinati tutti i secoli, il Natale è la nostra nascita a noi stessi, alla nostra dignità, alla nostra grandezza, alla nostra libertà.
Questa è la Rivelazione di Dio, non più come un Padrone che ci domina, ma come un Amore nascosto in noi che non lascia di attenderci perché non può far altro che amarci.
E’ quello che Nietzsche aveva intuito quando il suo ateismo alla fine si rivoltò contro un falso Dio. Ebbe allora il presentimento del vero Dio, che è dentro di noi, un Dio sofferente e velato.