È possibile la fraternità umana universale con tutte le creature? Un testo di Leonardo Boff

Pubblichiamo, in esclusiva per l’Italia, la prima parte di una riflessione di Leonardo Boff, teologo brasiliano, sulla fraternità umana. Una prospettiva, quella della fraternità, lanciata da Papa Francesco nella sua ultima enciclica sociale. Un testo denso, questo di Boff, che propone una vera e propria etica della fraternità universale. La seconda parte della riflessione sarà pubblicata nei prossimi giorni.

Nell’enciclica sociale Fratelli tutti (2020) Papa Francesco presenta il suo “sogno” di una nuova umanità fondata sulla fraternità universale e sull’amore sociale (n.6), ispirato alla figura e all’esempio di san Francesco d’Assisi, il fratello universale.

Questo tema della fraternità universale è stata la preoccupazione insistente di uno dei migliori conoscitori degli ideali di Francesco di Assisi: il francese Eloi Leclerc in molte delle sue opere, specialmente nella Saggezza di un povero (Parigi 1959) e Il Sole nasce ad Assisi (Parigi 1999). Non parla in modo teorico ma da una terrificante esperienza personale. Giovane frate francese, anche se non ebreo, fu portato in Germania precipitando nell’inferno dei campi di sterminio nazisti a Buchenwald e Dachau. Ha conosciuto la banalità del male, le uccisioni compiute dalle SS per il semplice gusto di uccidere, le torture e le umiliazioni che segnavano la sua anima come ferro rovente.

Dopo la Shoah è possibile la fraternità umana?

Scosso nella fede nell’essere umano e dubitando dell’intero ideale di una fraternità umana, cercò disperatamente un raggio di luce che provenisse dal nulla. Anche dopo la sua liberazione per opera degli Alleati nel 1945, iniziò ad avere paura di ogni essere umano. Confessa: “di notte, mi svegliavo di soprassalto, il sudore colava e la mia anima si riempiva di paura; quelle immagini di orrore ritornavano sempre e mi perseguitavano; non potevo cancellarle” (p.33). E continua: “Che il Signore mi perdoni, se a volte di notte, questo vecchio che sono diventato, alza gli occhi inquieti al cielo, cercando un poco di luce” (p.31).

Caricava dentro di se i carnefici nazisti che lo perseguitavano e li suscitavano terrificanti domande sul destino umano e la sua capacità di distruggere vite indifese. Lo stesso trauma, più che psicologico, che invade e distrugge ogni essere umano dentro e fuori, è stato vissuto dal domenicano brasiliano padre Tito Alencar, che è stato barbaramente torturato dal delegato di polizia Fleury. Ha interiorizzato la sua immagine perversa in una forma tale da sentirsi sempre perseguitato da lui fino a quando, non sopportandolo più, ha posto fine alla sua vita, preferendo morire piuttosto che vivere una tortura permanente. Questa terribile esperienza è stata vissuta anche da padre Eloi Leclerc che, dopo una lunga e dolorosa riflessione, ci ha donato una piccola luce tremula indicando la possibilità di una fraternità universale, ispirata nei poverelli di Assisi.

In mezzo all’agonia: il Cantico delle Creature

È stato l’incontro con questa figura e con il suo esempio che ha fatto sì che alcuni raggi di sole apparissero nella sua anima ossessionata, facendogli sopportare le immagini dell’inferno umano. Narra di un fatto misterioso accaduto sul treno scoperto e carico di prigionieri che per 28 giorni da Buchenwald viaggiò da un luogo a un altro fino a fermarsi a Dachau, alla periferia di Monaco. C’erano tre confratelli, uno dei quali agonizzante. Nel mezzo dell’inferno irruppe qualcosa dal cielo. Senza sapere perché, mossi da un impulso superiore, iniziarono a cantare con voci quasi impercettibili il Cantico delle Creature di San Francesco. La fitta oscurità non poteva impedire la luce del Signore e del fratello Sole e la generosità della madre e della signora Terra. Nel Cantico si celebrano l’incontro dell’ecologia interiore con l’ecologia esteriore e il rapporto tra Cielo e Terra, da cui nascono tutte le cose. La domanda che sempre attraversava la sua gola: è possibile la fraternità tra gli esseri umani e con gli altri esseri della creazione? Questa esperienza tra agonia e abbaglio non potrebbe contenere un’eventuale risposta piena di speranza? Almeno si è aperto un tremulo lampo. Tale shock esistenziale lo motivò a studiare e ad approfondire quella che sarebbe stata la singolarità di questa figura assolutamente eccezionale nell’insieme delle agiografie.

La scoperta della fraternità nel volto del Crocifisso

Leclerc descrive, allora, il processo di costruzione della fraternità universale nella storia di Francesco di Assisi. Figlio di un ricco mercante di stoffe, considerato il re della gioventù dorata della città che viveva di feste e abbuffate, cominciò improvvisamente a rendersi conto della futilità di quella vita. Passava ore nella cappella di San Damiano, contemplando il volto dolce e tenero di un crocifisso bizantino. Qualcosa di simile faceva Dostoievsky: una volta l’anno viaggiava fino a Dresda in Germania per contemplare in una chiesa, per ore, la bellezza di un quadro di Maria straordinariamente sbalorditivo. Aveva bisogno di questa contemplazione per placare la sua anima tormentata. Nel romanzo I fratelli Karamasov ha lasciato questa frase stimolante: “la bellezza salverà il mondo”.

Così fu la dolcezza e lo sguardo misericordioso del Cristo bizantino che, similmente a Dostoevskij, conquistò quel giovane in profonda crisi esistenziale, cambiando il destino della sua vita. Lo convinse la fede nel Creatore che creò una fraternità fondamentale, facendo sì che tutti gli esseri, piccoli e grandi, inclusi gli umani e lo stesso Gesù di Nazareth, fossero tutti originati dalla polvere, dall’humus della Terra. Tutti hanno la stessa origine, formano una fraternità terrena.

In questo contesto di umiltà vale la pena ricordare ciò che San Paolo scriveva ai lettori della sua lettera agli Efesini: “Abbiate gli stessi sentimenti che aveva Cristo. Essendo Dio, non faceva caso alla sua condizione divina; si fece ultimo e assunse la condizione di servo per solidarietà con gli esseri umani; si presentò come un uomo semplice; si umiliò obbedientemente fino alla fine e alla morte in croce” (la più umiliante delle pene imposte ai sovversivi: Flp 2,5-8).

Alla luce di queste intuizioni, Francesco dimenticò la sua condizione di figlio di un ricco mercante, scoprì l’origine comune di tutti gli esseri, dalla polvere della terra, dal suo humus e contemplò l’umiltà di Cristo ritratto nel sereno e dolce volto del crocifisso bizantino. Siccome era concreto e risoluto in tutto ciò che si proponeva, ne trasse subito una conclusione: mi unirò solidariamente a coloro che sono più vicini al Crocifisso: i lebbrosi e con loro vivrò quello che ci fa, per la creazione, fratelli e sorelle e creerò una fraternità radicale con loro. Confessa nel suo testamento: “quella che prima mi sembrava amarezza ora emerge come dolcezza”. Conosciamo il resto della saga del Sole di Assisi come la chiama Dante nella Divina Commedia.

Tuttavia, Eloi Leclerc non si accontentò con l’esperienza illuminante del Cantico delle Creature. Una domanda angosciante non gli dava tranquillità: qual è l’ostacolo maggiore che impedisce la fraternità umana e con tutte le creature? Quale energia perversa è questa che produce i massacri e l’eliminazione sommaria di persone, considerate inferiori o subumane, come avvenne nei campi di sterminio? È giunto a questa conclusione: è la volontà di potenza.

Dove predomina il potere, non c’è né amore né tenerezza

Come aveva già percepito C.G. Jung, questa volontà di potenza costituisce l’archetipo più pericoloso dell’essere umano, perché gli dà l’illusione di essere come Dio, disponendo a suo piacimento della vita e della morte degli altri. E concludeva: “dove predomina il potere non c’è tenerezza né amore”. Quando diventa assoluto, il potere si rivela micidiale ed elimina tutti quelli che fanno sentire un’altra voce (p.30). Ora, le nostre società storiche (con l’eccezione dei popoli originari) sono strutturate intorno alla volontà del potere-dominio e di sottomissione di tutto ciò che si presenta: l’altro, i popoli, la natura e la vita stessa. Egli introduce la grande divisione tra quelli che hanno potere e quelli che non l’hanno.

Finché prevarrà il potere-dominio come asse strutturante di tutto, non ci sarà mai fraternità tra gli esseri umani e con il creato. Poiché quest’archetipo è umano, è latente dentro ciascuno di noi. In noi si nascondono un Hitler, uno Stalin, un Pinochet e un Bolsonaro. Lo stesso Leclerc confessa: “Mi sono sentito risvegliare in me stesso, la bestia assetata di vendetta” (p.32). Dobbiamo mettere sotto un severo controllo questa figura funesta che vive in noi, se vogliamo mantenere la nostra umanità. Se ci consegniamo alla seduzione del potere-dominio, rompiamo tutti i legami e l’indifferenza, l’odio e la barbarie possono occupare l’intero spazio della coscienza, come sta accadendo in diversi paesi del mondo, specialmente tra noi in Brasile. Allora emergono le sinistre figure, persino necrofile, menzionate.

Questo fatto drammatizza ulteriormente la domanda audacemente proposta da Papa Francesco in Fratelli tutti: l’urgenza della fraternità universale e dell’amore senza frontiere. Saranno possibili o costituiscono una mera e santa ingenuità? O forse sia un appello tra disperante e speranzoso, comprensibile di fronte a quanto più volte ripetuto da Papa Francesco: “O ci salviamo tutti o nessuno si salva”. Può darsi che ci sia offerta dalla Terra stessa, chissà, dall’universo stesso, una definitiva chance: o cambiamo e così ci salveremo o la Terra continuerà a girare intorno al sole, ma senza di noi.

Due anni fa, nel febbraio 2019, Papa Francesco, in visita negli Emirati Arabi Uniti, firmò ad Abu Dahbi un importante documento con il Grande Imam Al Azhar Amad Al-Tayyeb “Sulla fraternità umana in favore della pace e della comune convivenza”. In seguito, l’ONU ha stabilito il 4 febbraio come la Giornata della fraternità umana.

Sono tutti sforzi generosi che mirano, se non a eliminare, almeno a minimizzare le profonde divisioni che prevalgono nell’umanità. Aspirare a una fraternità universale sembra essere un sogno lontano, ma sempre desiderato.

Il grande ostacolo alla fraternità: la volontà di potere

L’asse strutturante delle società mondiali e del nostro tipo di civiltà è la volontà di potere come dominio, chiaramente presente nei padri fondatori della modernità nel XVII secolo, Decartes, Francis Bacon e altri.

Non ci sono dichiarazioni sull’unità della specie umana e della fraternità universale, né la più nota Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948 dell’ONU, arricchita dei diritti della natura e della Terra, che riescono a imporre limiti alla voracità del potere.

La sua ragione è acutamente denunciata da Thomas Hobbes nel suo Levitan (1615): “Indico, come tendenza generale di tutti gli uomini, un desiderio perpetuo e irrequieto di potere e più potere che cessa solo con la morte; la ragione di ciò sta nel fatto che il potere non può essere garantito se non cercando ancora più potere ”. Gesù fu una vittima di quel potere e fu assassinato giudizialmente sulla croce. La nostra cultura moderna ha padroneggiato la morte, perché con la macchina di sterminio totale già creata, può eliminare la vita sulla Terra e se stessa. Come controllare il demone del potere che ci abita? Dove trovare la medicina?

Rinuncia a tutto il potere mediante un’umiltà radicale

Qui San Francisco ci ha aperto una strada: la rinuncia a tutto il potere attraverso l‘umiltà radicale e la pura semplicità. L’umiltà radicale implica porsi insieme all’humus, alla terra, dove tutti s’incontrano e si fanno fratelli e sorelle perché provengono tutti dallo stesso humus. Il cammino per questo consiste nello scendere dal piedistallo, dove ci collochiamo come signori e proprietari della natura e operare un radicale spogliamento di qualsiasi titolo di superiorità e potere. Consiste nel farsi veramente poveri, togliendo tutto ciò che si frappone tra l’io e l’altro. Là si nascondono gli interessi. Questi devono essere allontanati poiché sono ostacoli all’incontro con gli altri, occhi negli occhi, a faccia a faccia, con le mani vuote per abbracciarci come fratelli e sorelle, non importa quanto siamo diversi.

La povertà non rappresenta alcun ascetismo. È il modo che ci fa scoprire la fraternità, tutti insieme sullo stesso humus, sulla sorella e madre Terra. Quanto più povero, tanto più fratello del Sole, della Luna, del miserabile, dell’animale, dell’acqua, della nuvola e delle stelle.

Francesco ha calpestato umilmente questa strada. Non negò le origini oscure della nostra esistenza, l’humus (da cui deriva homo in latino) e in questo modo fraternizzò con tutti gli esseri, chiamandoli con il dolce nome di fratelli e sorelle, persino il feroce lupo di Gubbio.

Un altro tipo di presenza nel mondo

Abbiamo a che fare con una nuova presenza nel mondo e nella società, non come chi immagina che la corona della creazione sia in cima a tutti, ma come chi è allo stesso livello e insieme agli altri esseri. Attraverso questa fraternità universale il più umile ritrova la sua dignità e la sua gioia di essere, sentendosi accolto e rispettato e per avere il suo posto garantito nell’insieme degli esseri.

Leclerc ripete ostinatamente la domanda, come se non fosse del tutto convinto: “Sarà che è possibile la fraternità tra gli esseri umani?”. Lui stesso risponde: “È possibile solo se l’essere umano si pone con grande umiltà, tra le creature, all’interno di un’unità della creazione (che comprende l’essere umano e la natura nel suo insieme) e nel rispetto di tutte le forme di vita, anche le più umili; allora lui potrebbe sperare un giorno di formare una vera fraternità con tutti i suoi simili. La fraternità umana passa per questa fraternità cosmica” (p.93).

La fraternità è accompagnata dalla semplicità. Questa non è un atteggiamento banale. Si tratta di un modo di essere, rimuovendo tutto ciò che è superfluo, tutti i tipi di cose che andiamo accumulando, che ci rendono ostaggi, creando disuguaglianze e barriere contro gli altri, impedendoci di convivere in solidarietà con loro e di vivere con il sufficiente, condividendolo con gli altri.

Questo percorso non fu facile per Francesco. Si sentiva responsabile per il cammino della radicale povertà e fraternità. Al crescere, a migliaia, del numero di quanti lo seguivano, s’impose la necessità di un’organizzazione minima. C’erano bellissimi esempi del passato. Francesco aveva una vera antipatia per questo. Arriva a dire: “Non parlatemi delle regole di Santo Agostino, di San Benedetto o di San Bernardo; Dio voleva che fossi un nuovo pazzo in questo mondo (novellus pazzus)”. È la chiara affermazione dell’unicità del suo modo di vita e del suo stare nel mondo e nella Chiesa, come un semplice laico, in mezzo e insieme ai poveri e invisibili e non come un chierico della potente Chiesa feudale.

La grande tentazione di San Francesco

Tuttavia, a un certo punto della sua vita, entrò in una crisi travolgente, poiché vide che il suo cammino evangelico di radicale povertà e fraternità stava essendo spazzato  via dai suoi stessi seguaci. Profondamente sopraffatto, si ritirò in un eremo e nei boschi, per due lunghi anni, accompagnato dal suo intimo amico fra Leone “la pecorella di Dio”. È la grande tentazione cui le biografie danno poca rilevanza, però essenziale per comprendere l’unicità della proposta di Francesco.

Infine, si spoglia di questo istinto di possesso spirituale. Accetta un cammino che non è il suo, ma che era inevitabile. Dove dormiranno i frati? Come si sosterrebbero? Preferisce salvare la fraternità piuttosto che il proprio ideale. Accoglie con letizia la logica ferrea della necessità. Già non pretende più nulla. Si è spogliato totalmente persino dei suoi desideri più intimi, nonostante fosse, come scrisse il suo biografo San Bonaventura, un vir desideriorum (un uomo dei desideri).

Ora, completamente spogliato del suo spirito, si lascia guidare da Dio. Lo Spirito sarà il padrone della sua vita e del suo destino. Lui stesso non si propone altro. Sta alla mercé di ciò che la vita gli chiede, vedendola come volontà di Dio. In ciò sente la massima libertà di spirito possibile, che si esprime in una gioia sfrenata al punto da essere chiamato “il fratello sempre allegro”. Non occupa più il centro. Il centro è la vita guidata da Dio. E questo basta.

Ritorna tra i confratelli e ritrova la convivialità e la piena gioia di vivere. Ma seguendo la chiamata dello Spirito, come all’inizio, torna a convivere con i lebbrosi, che chiama “i miei cristi” in profonda comunione fraterna. Non abbandona mai la comunione profonda con sua sorella e Madre Terra. Quando muore, chiede di essere collocato nudo sulla Terra per l’ultima carezza e la comunione totale con lei.

(Continua)

 

(Traduzione dal Portoghese di Gianni Alioti)

“Abbiamo bisogno di un vero amore politico”. Lettera alla Costituzione del Cardinale Matteo Zuppi

Un grande gesto d’amore nei confronti della nostra carta fondamentale come fonte di ispirazione alta per la politica. Proprio nel momento in cui la politica non da un esempio di attenzione alla drammatica situazione del Paese, questa del Cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, è un forte richiamo, tra l’altro, alla serietà della politica. La lettera ha molto colpito l’opinione pubblica italiana. La pubblichiamo integralmente, la offriamo,  così, alle riflessioni dei lettori.

 

 

Cara Costituzione

Sento proprio il bisogno di scriverti una lettera, anzitutto per ringraziarti di quello che rappresenti da tanto tempo per tutti noi. Hai quasi 75 anni, ma li porti benissimo! Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare. E poi che cosa ci serve litigare quando si deve costruire?

Come cristiano la luce della mia vita è Dio, che si è manifestato in Gesù. E’ una luce bellissima perché luce di un amore, esigente e umanissimo, che mi aiuta a vedere la storia dove Dio, che è amore, si manifesta. Mi insegna ad amare ogni persona, perché ognuno è importante. Mi chiede di farlo senza interessi perché l’unico interesse dell’amore è l’amore stesso, quindi gratuitamente, senza convenienze personali, in maniera universale. Fratelli tutti! E questo, in un mondo che si è fatto piccolo e con tanti cuori troppo ristretti perché pieni di paura e soli. Penso ci sia bisogno di questa luce, anche nelle Istituzioni, perché dona speranza, rende largo e umano il cuore, insegna a guardare al bene di tutti perché così ciascuno trova anche il suo.

Stiamo vivendo un periodo difficile. Dopo tanti mesi siamo ancora nella tempesta del COVID. Qualcuno non ne può più. Molti non ci sono più. All’inizio tanti pensavano non fosse niente, altri erano sicuri che si risolvesse subito tanto da continuare come se il virus non esistesse, altri credevano che dopo un breve sforzo sarebbe finito, senza perseveranza e impegno costante. Quanta sofferenza, visibile e quanta nascosta nel profondo dell’animo delle persone! Quanti non abbiamo potuto salutare nel loro ultimo viaggio! Che ferita non averlo potuto fare! Sai, molti di quelli che ci hanno lasciato sono proprio quelli che hanno votato per i tuoi padri. Anche per loro ti chiedo di aiutarci. Quando penso a come ti hanno voluta, mi commuovo, perché i padri costituenti sono stati proprio bravi! Erano diversissimi, avversari, con idee molto distanti eppure si misero d’accordo su quello che conta e su cui tutti – tutti – volevano costruire il nostro Paese. Vorrei che anche noi facessimo così, a cominciare da quelli che sono dove tu sei nata. C’era tanta sofferenza: c’era stata la guerra, la lotta contro il nazismo e il fascismo e si era combattuta una vera e propria guerra fratricida. Certo. Non c’è paragone tra come era ridotta l’Italia allora e come è oggi! Tutto era distrutto, molte erano le divisioni e le ferite. Eppure c’era tanta speranza. Adesso ce n’è di meno, qualche volta penso – e non sai quanto mi dispiace! – davvero poca. Non si può vivere senza speranza! Quando sei nata c’erano tanti bambini e ragazzi, quelli che ora sono i nostri genitori e nonni. Vorrei che ci regalassi tanta speranza e tanti figli, tutti figli nostri anche quelli di chi viene da lontano, perché se abbiamo figli possiamo sperare, altrimenti ci ritroviamo contenti solo nel mantenere avidamente quello che abbiamo, e questo proprio non basta e in realtà non ci fa nemmeno stare bene.

Cara Costituzione, tu ci ricordi che non è possibile star bene da soli perché possiamo star bene solo assieme. Tu ci ricordi che dobbiamo imparare che c’è un limite nell’esercizio del potere e che i diritti sono sempre collegati a delle responsabilità collettive: non va bene che la persona – che tu ritieni così importante, che tu difendi e di cui vuoi il riscatto da ogni umiliazione – si pensi in maniera isolata e autosufficiente. I diritti impongono dei doveri. Ognuno è da te chiamato a pensarsi, progettarsi e immaginarsi sempre insieme agli altri. Tu, infatti, chiedi a tutti di mettere le proprie capacità a servizio della fraternità, perché la società come tu la pensi non è un insieme di isole, ma una comunità tra persone, tra le nazioni e tra i popoli. Fondamentale l’art. 2 in cui parli dei diritti inalienabili dell’uomo, di ogni uomo non solo dei cittadini e dei doveri inderogabili di solidarietà. Ci ricordi (art. 4) il dovere, per ogni cittadino, di impegnarsi in attività che contribuiscano al progresso sociale e civile. Si tratta di due dei “principi fondamentali”, che fanno parte del volto e dell’anima della Repubblica. Per te la libertà (e tu sapevi bene cosa significava non averla e combatti contro ogni totalitarismo, non solo ideologico, ma anche economico, militare o giudiziale) non è mai solo libertà da qualcosa ma per qualcosa. Nell’art. 4 affermi infatti che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta (quindi in piena libertà di risposta alla propria vocazione), una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”, trasformando così tutte le “libertà da” – elencate soprattutto, ma non solo, dall’art. 13 all’art. 25 – “in libertà per”. Certo, purtroppo per questo la fratellanza è rimasta spesso indietro, perché senza essere liberi per qualcosa e per gli altri abbiamo finito per costruire una libertà distorta, che tradisce la vera uguaglianza. Tu ci dici che siamo uguali (art. 3), ma non è una enunciazione vaga, perché ci dici anche che uno dei compiti primari dello Stato è rimuovere gli ostacoli nella vita delle persone e del loro sviluppo esistenziale e civile (artt. da 35 a 38 e poi 41 e 42). In sostanza ci dai il fondamento di una società basata su una vera fratellanza ed eguaglianza e non solo una fredda e impersonale imparzialità.

Cara Costituzione, abbiamo tanto bisogno di serietà e i tuoi padri ce lo ricordano. Spero proprio che noi tutti – a partire dai politici – sappiamo far tesoro di quello che impariamo dalle nostre sofferenze, cercando quanto ci unisce e mettendo da parte gli interessi di parte, scusa il gioco di parole. Abbiamo bisogno di vero “amore politico”!

Tu ci rammenti che non possiamo derogare dai doveri della solidarietà (art.2) che sono intrecciati con i diritti. Questi esistono e si sviluppano (insieme alla personalità) nei gruppi sociali intermedi tra l’individuo e lo Stato: la famiglia, prima di tutto, ma anche le associazioni e i gruppi sociali, religiosi, ecc. Per te l’unità prevale davvero sul conflitto (artt. 10 e 11).

La stessa salute va curata – altro che vivere come viene: siamo davvero responsabili gli uni degli altri! (art. 32) – perché la salute non è solo un fondamentale diritto dell’individuo, ma interesse dell’intera collettività. Questo non vale solamente per difenderci meglio dai contagi o per gestire in maniera più efficiente il sistema sanitario, ma perché l’attenzione alla salute di tutti e di ciascuno è uno dei presupposti basilari di una vera cittadinanza attiva. Insomma: star bene anche per potersi impegnare per gli altri e quindi per tutti.

Anche per questo (art. 35) la Repubblica “cura” (che bel verbo, invece di “tutela” o “garantisce”) non solo la formazione, ma anche “l’elevazione” professionale dei lavoratori. Questo significa dare una visione umanizzante del lavoro e del contributo che ci si aspetta dai lavoratori. Tu dici una cosa bellissima: (art. 36) il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro; e aggiungi che questa retribuzione deve essere “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Per te il lavoro è collegato allo sviluppo umano. Io vorrei che dopo la crisi della pandemia si smettesse di praticare il precariato, il caporalato e il lavoro nero, e che ci potessimo impegnare nel mettere in regola i lavoratori, dando continuità e stabilità alla vita delle persone. Certo a qualcuno conviene avere la possibilità di non “sistemare” i lavoratori, ma come si fa a vivere e a progettare la vita senza sicurezze e senza sufficienti garanzie di futuro? Come non pensare anche a tutti coloro che sono in seria difficoltà e rischiano di perdere il lavoro in questo tempo di pandemia e in quello del dopo pandemia, quando emergeranno anche i problemi adesso sommersi! Ecco, per questo abbiamo bisogno di lavoro, di chi lo crea, non specula e di garantire equità e opportunità a tutti. Non c’è dignità della vita senza lavoro. Spero che tu ci possa aiutare a non aspettare sempre qualche bonus e a smettere di speculare.

Cara Costituzione, incoraggiaci a costruire, ad essere imprenditori che rischiano per sé e per gli altri mettendo in gioco tutta la nostra capacità e dedizione, sapendo che si tratta del futuro delle persone. Insieme, imprenditori e lavoratori. Tu (art. 41) garantisci la libertà dell’iniziativa economica, ma dicendoci che tale iniziativa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e aggiungi che la legge deve preoccuparsi affinché “l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Papa Francesco ce lo ha ricordato più volte parlando della proprietà privata. Qualcuno si è spaventato, tradendo un pregiudizio oppure manifestando di volere per sé quello che, invece, deve servire per il bene di tutti, perché solo così si giustifica e si conserva. Tu (art. 42) stabilisci che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Insomma, siamo per davvero sulla stessa barca! Facciamo ancora tanta fatica a capirlo, ma è proprio così! Per questo aggiungi (art. 45) che lavorare insieme è importante riconoscendo la “funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità”. Quanto è utile che tu ci ricordi che solo insieme ne veniamo fuori, che chi resta indietro non lo possiamo abbandonare e che siamo chiamati come cittadini responsabili a lavorare per dare a tutti delle opportunità concrete.

L’ascensore sociale non può restare guasto, perché altrimenti quelli che si trovano più in basso non riescono a rialzarsi, in quanto sono senza possibilità reali di riscatto e progresso. E così non solo non è giusto, ma ci depriva di ogni vero futuro! Per questo ci ricordi quanto è importante riunirsi, parlare, discutere, confrontarsi. Tu ci garantisci (art. 18) il “diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione…”, questo lo sottolinei non solo perché nessuno lo limiti ma perché è importante custodire ed incoraggiare la vita sociale e comunitaria. Hai voluto garantire espressamente un diritto fondamentale per la formazione della personalità (non era di per sé necessario, perché rientrava comunque nelle libertà già in altre norme genericamente riconosciute, ma tu hai voluto sottolinearlo con forza e decisione). Ma ci ricordi che la casa comune significa diritti e doveri e che è importante partecipare tutti. A te i furbi, furbetti, di vario genere proprio non vanno giù! Adesso che abbiamo tanti problemi come si fa a essere furbi, speculare per sé invece di aiutarsi (art. 53)? Perché poi ci rimettono i più deboli, quelli che non ce la fanno, i poveri, vecchi e nuovi. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Insomma, bisogna pagare le tasse e perché nessuno si lamenti che non serve, anzi, rubi (in tanti modi perché non pagarle significa togliere agli altri!) hai chiesto (art. 54) a tutti i cittadini il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. E anche che “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Oggi direi con correttezza esemplare, anche perché ne va della fiducia degli altri nella cosa di tutti! Ecco come si fa a vivere bene assieme. Come in famiglia.

“Infatti, la nostra società vince quando ogni persona, ogni gruppo sociale, si sente veramente a casa. In una famiglia, i genitori, i nonni, i bambini sono di casa; nessuno è escluso. Se uno ha una difficoltà, anche grave, anche quando ‘se l’è cercata’, gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono; il suo dolore è di tutti. […] Nelle famiglie, tutti contribuiscono al progetto comune, tutti lavorano per il bene comune, ma senza annullare l’individuo; al contrario, lo sostengono, lo promuovono. Litigano, ma c’è qualcosa che non si smuove: quel legame familiare. I litigi di famiglia dopo sono riconciliazioni. Le gioie e i dolori di ciascuno sono fatti propri da tutti. Questo sì è essere famiglia! Se potessimo riuscire a vedere l’avversario politico o il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli, i mariti, i padri e le madri. Che bello sarebbe!” (FT 230). È solo pensando alla famiglia e all’intera famiglia umana che ci può essere la pace (FT 141). “La vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, e questo si dimostra specialmente nei periodi critici”. La pandemia ci ha coinvolto tutti, in tutto il mondo. Quanto vorrei che crescesse il sogno di ricercare il bene di tutti nella stanza del mondo dove viviamo assieme e dove possiamo riconoscerci “Fratelli tutti”.

A proposito. La famiglia (art. 29) è riconosciuta come “società naturale”, perché volevi sottolineare che la famiglia è una realtà umana precedente lo Stato e in qualche modo realtà autonoma da questo, perciò usi il bellissimo termine “riconosciuta”. Parola che utilizzi poche volte e sempre per diritti o realtà la cui esistenza è appunto “riconosciuta” e non originata dallo Stato, come per i diritti inalienabili dell’uomo (art. 2) in cui ci ricordi che l’educazione, la casa e il lavoro sono indispensabili per vivere. In questo quadro ci inviti anche ad essere accoglienti e ospitali. Nella nostra storia ci hanno accolto e ora noi non accogliamo? Forse dobbiamo ricordarci che dobbiamo agevolare “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi” e sottolinei che bisogna avere particolare riguardo alle famiglie numerose (art. 31). Non dobbiamo finalmente mettere in pratica questa tua indicazione di proteggere “la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”? E’ così sconfortante non vedere bambini e senza bambini c’è meno speranza e cresce la paura. Cosa ci richiede proteggere la maternità?

Un’ultima preoccupazione. Tu ricordi che la pace va difesa ad ogni costo (art. 11). Tu sei nata dopo la guerra. Avevi nel cuore l’Europa unita perché avevi visto la tragedia della divisione. Senza questa eredità rischiamo di rendere di nuovo i confini dei muri e motivo di inimicizia, mentre sono ponti, unione con l’altro Paese. Solo insieme abbiamo futuro! Abbiamo tanto da fare in un mondo che è bagnato dal sangue nei tanti pezzi della guerra mondiale! E se, come affermi solennemente, ripudiamo la guerra, dobbiamo cercare di trasformare le armi in progetti di pace, come Papa Francesco – grande sognatore e realista come te – ha chiesto. “Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa” (FT 262). Ripudiare la guerra vuol dire costruire la pace praticando il dialogo per arrivare ad abolire la guerra! La pace e la stabilità internazionali non possono essere fondate su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di una distruzione reciproca o di totale annientamento. “L’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e umanitario”, scrive Papa Francesco senza mezzi termini.

Grazie. Cara Costituzione, ascoltando te già sto meglio perché mi trasmetti tanta fiducia e tanta serietà per la nostra casa comune. Se ce ne è poca anch’io devo fare la mia parte! Proprio come tu vuoi.

  • Matteo

Gennaio 2021

P.S.: Ti farà piacere, carissima Costituzione, rileggere queste parole di uno dei tuoi padri. Ti voleva bene e parlava spesso di te con amore grande e lo insegnava ai giovani che non ti conoscevano.

“Alla fine, vorrei dire soprattutto ai giovani: non abbiate prevenzioni rispetto alla Costituzione del ‘48, solo perché opera di una generazione ormai trascorsa. La Costituzione americana è in vigore da duecento anni, e in questi due secoli nessuna generazione l’ha rifiutata o ha proposto di riscriverla integralmente, ha soltanto operato singoli emendamenti puntuali al testo originario dei Padri di Philadelphia, nonostante che nel frattempo la società americana sia passata da uno Stato di pionieri a uno Stato oggi leader del mondo…E’ proprio nei momenti di confusione o di transizione indistinta che le Costituzioni adempiono la più vera loro funzione: cioè quella di essere per tutti punto di riferimento e di chiarimento. Cercate quindi di conoscerla, di comprendere in profondità i suoi principî fondanti, e quindi di farvela amica e compagna di strada. Essa, con le revisioni possibili ed opportune, può garantirvi effettivamente tutti i diritti e tutte le libertà a cui potete ragionevolmente aspirare; vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro, contro ogni inganno e contro ogni asservimento, per qualunque cammino vogliate procedere, e per qualunque meta vi prefissiate” (Giuseppe Dossetti, Discorso tenuto all’Università di Parma, 26.IV.1995).

IL RUOLO DELL’EUROPA E DEGLI ACCORDI DI PARIGI NELLA CRISI ITALIANA. INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA  

 

In Italia la crisi di governo si sta sempre più complicando. I problemi dell’economia sembrano dirimenti dentro l’ingarbugliata matassa che non sarà semplice sciogliere. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Think-industry 4.0, che spiega perché a suo parere vi è un ruolo importante della politica internazionale che inciderà sulle scelte che condurranno a un nuovo governo.

Sabella, secondo lei in questa crisi – ed eventualmente nella sua soluzione – vi è una questione di fondo che, al di là dei protagonisti, potrebbe delineare un nuovo quadro politico?

Si, secondo me questo fil rouge esiste e non va cercato in casa nostra. O, almeno, vanno considerati alcuni elementi che sono sempre più visibili a livello di politica internazionale. Infatti, mentre hanno preso il via le consultazioni, nel mondo avvengono cose importanti.

Per esempio?

Martedì, intervenendo al World Economic Forum di Davos, Angela Merkel ha preso una posizione piuttosto anomala e netta nei confronti di Xi Jinping: “la Cina non è trasparente sul covid e sulla gestione dell’emergenza sanitaria” ha detto la cancelliera tedesca. Se consideriamo che la Germania è il più importante partner commerciale della Cina, va da sé che queste non sono parole, per dir così, ordinarie. Inoltre, in queste ore il neo presidente americano Joe Biden ha firmato un pacchetto di 17 ordini esecutivi che segnano un cambio di linea rispetto all’amministrazione Trump. In particolare, il piano del presidente americano prevede 2 mila miliardi per affrontare la crisi climatica e creare nuovo lavoro; inoltre, lo stesso pacchetto porterà al blocco delle nuove concessioni per estrazione di combustibili fossili. In una battuta, il Green New Deal non è più soltanto europeo.

E questo cosa significa? E, soprattutto, cosa c’entra con le nostre vicende?

Teniamo conto che, sempre a Davos, Xi Jinping è stato molto duro contro gli USA e contro gli “isolazionismi arroganti”, parole sue. E sappiamo bene che, nei confronti della Cina, Biden non può che andare in continuità con quanto fatto da Trump, salvo nei toni. Ecco perché le dichiarazioni di Merkel sono significative, perché danno evidenza di quel riavvicinamento tra Europa e USA che Biden ha annunciato non appena eletto, riportando gli USA dentro gli accordi di Parigi sul clima. Tutto questo è premessa al nuovo multilateralismo che sta nascendo, in cui la questione climatica e gli investimenti connessi sono centrali. Ora, il Recovery Plan o Next Generation EU che dir si voglia, sono la grande scommessa europea di rilancio delle filiere produttive in un’ottica di sostenibilità ambientale e sono il pretesto – che a mio modo di vedere non è solo un pretesto – che ha creato questa crisi di governo.

In che senso non sono solo un pretesto?

Vi è un intento diffuso, che tocca tutti gli ambienti politici, di rinnovare il governo italiano e che trova sponde in Europa e anche negli USA, da un lato in ragione del fatto che dall’altra parte dell’Oceano inizia un nuovo corso politico e non dispiacerebbe vedere un governo italiano più orientato a ovest e meno verso il Sol Levante. Non è un caso che Giuseppe Conte, nel suo intervento alla Camera, abbia definito gli USA “il partner più importante”. Dall’altro lato, l’Europa ci ha messo a disposizione 209 miliardi di euro: è chiaro che a Bruxelles, e a Berlino soprattutto, vi è interesse che il Recovery Plan in Italia funzioni, per più ragioni. Non pare che in Europa siano stati contenti dopo aver visionato la bozza che il governo italiano ha inviato, anche se il piano definitivo è atteso per la fine di aprile. Da qui le preoccupazioni europee, in particolare tedesche. E il malcontento dei Paesi nordici, che del tutto d’accordo con questo programma non sono mai stati.

Cosa ha scontentato in Europa del Recovery Plan italiano e perché l’Italia è osservato speciale in questo importante investimento europeo?

L’Italia è paese strategico in questa ricostruzione non solo perché gli investimenti in particolare franco-tedeschi sono tanti nel nostro paese ma anche per altre ragioni: in primis, il commissario Gentiloni ha sempre detto che l’Italia è la vera scommessa del Next Generation EU, anche perché siamo il paese che più beneficia dei fondi europei; in secondo luogo, la Germania ha rinnegato la sua posizione sull’austerity accogliendo le richieste dei Paesi dell’area mediterranea, Francia e Italia in particolare: al di là che il Recovery Fund interessava anche a loro – per rilanciare la loro industria – per i tedeschi sarebbe uno smacco se in Italia non desse frutto. Consideriamo inoltre che l’industria italiana è fortemente integrata con quella tedesca e, anche per questo, a Berlino auspicano che noi sappiamo approfittare dei fondi. Ciò premesso, questa prima bozza era colpevolmente incompleta, di idee e di analisi. Per fare qualche esempio, siamo un Paese che per caratteristiche può contribuire in modo importante alla produzione dei vaccini: le previsioni del governo prevedono, invece, fondi solo per acquisti e per la ricerca; inoltre, tutti i ragionamenti abbozzati sono manchevoli rispetto ai ritorni occupazionali ad esempio. È un piano debole, ma penso che al governo ne fossero consapevoli. È quello che sono riusciti a fare dopo un paio di mesi di forte immobilismo. Tuttavia, è questa una fase troppo importante per essere azzoppata dall’immobilismo politico. Ecco perché sono convinto che in particolare da Bruxelles sono molto attenti e vigili sulla nostra crisi e perché il Presidente Mattarella, al quale toccherà prendere una decisione importante, dovrà tener conto anche dei fattori non solo di casa nostra.

Il Recovery Plan italiano è quindi debole lei dice. Cosa dovremmo fare secondo lei?

Anzitutto, abbiamo bisogno di un governo che abbia contezza di quelle che sono le leve per rilanciare l’economia: da una parte le infrastrutture, l’innovazione digitale, la semplificazione, insomma ciò che possiamo chiamare riforme strutturali che sono problemi annosi, quindi noti a tutti; dall’altra, però, abbiamo bisogno di persone capaci di leggere e di entrare nei processi dell’economia, che vuol dire sapere quali sono quegli asset in grado di generare valore e ricchezza: in particolare, il chimico-farmaceutico, la meccanica di precisione, il tessile, elettronica e computer, ottica, apparecchiature in legno… ma attenzione alle energie rinnovabili, al riciclo, e alla mobilità elettrica che sta per svilupparsi in modo dirompente.

L’industria dell’auto è stata il simbolo dei processi di industrializzazione più recenti. Lo sarà anche stavolta?

Sono cambiate molte cose, un po’ in ragione dell’accesso e non del possesso – si pensi in particolare a car sharing e car pooling – ma anche in ragione del fatto che i più giovani, così sensibili alla questione ambientale, vedono nell’auto un soggetto dell’inquinamento. Ma sono convinto che la mobilità elettrica rappresenterà la grande transizione ecologica ed energetica a cui l’Italia darà un contributo importante. Proprio in questi giorni, la stampa inglese parlava di “punto di non ritorno” per quanto riguarda l’auto elettrica, dell’utilizzo di massa in virtù del crollo del costo delle batterie che ha già portato a un boom delle vendite nel 2020 stimato in un +43% a livello globale. Sempre in queste ore, l’Unione Europea ha infatti approvato un programma che prevede 2,9 miliardi di euro a sostegno della ricerca e sviluppo per le batterie a case e aziende che operano nel Vecchio Continente, da Stellantis, a BMW, a Tesla, assieme a operatori energetici come EnelX e altri grandi nomi come Solvay. Un’iniezione di liquidità che permetterà all’Europa di poter competere con gli altri big del settore, cinesi in testa (che detengono l’80% della produzione mondiale) e giapponesi, raggiungendo l’indipendenza nel ramo della produzione di batterie. L’investimento sull’elettrico, da parte dell’Europa, era evidente già dall’ultimo anno della commissione Juncker. E, sempre secondo gli inglesi, la svolta è vicina: tra il 2023 e il 2025 i veicoli a zero emissioni diventeranno più economici di quelli

Documento dei leader della Chiesa Cattolica sullo stop alle armi nucleari

Pubblichiamo il Documento firmato da alcuni leader della Chiesa cattolica di tutto il mondo, che accolgono con favore l’entrata in vigore, il 22 gennaio 2021, del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari.

Noi, leader della Chiesa cattolica di tutto il mondo, accogliamo con favore l’entrata in vigore il 22 gennaio 2021 del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari.
Siamo incoraggiati dal fatto che la maggioranza degli Stati membri delle Nazioni Unite sostenga attivamente il nuovo trattato attraverso l’adozione, le firme e le ratifiche. È giusto che la Santa Sede sia stata tra i primi Stati ad aderire all’accordo nel 2017. Inoltre, i sondaggi dell’opinione pubblica mondiale dimostrano la convinzione globale che le armi nucleari debbano essere abolite. La peggiore di tutte le armi di distruzione di massa è stata da tempo giudicata immorale. Adesso è anche finalmente illegale.
Siamo preoccupati per il continuo rischio per l’umanità che possano essere utilizzate armi nucleari e per le conseguenze catastrofiche che ne deriverebbero. È incoraggiante che questo nuovo Trattato si basi su un crescente corpo di ricerca sulle catastrofiche conseguenze umanitarie ed ecologiche di attacchi nucleari, test e incidenti. Due esempi che parlano a tutte le persone sono gli impatti sproporzionati delle radiazioni su donne e ragazze e i gravi effetti sulle comunità indigene le cui terre sono state utilizzate per i test nucleari.
Noi sottoscritti sosteniamo la leadership che Papa Francesco sta esercitando a favore del disarmo nucleare. Durante la sua storica visita alle città bombardate di Hiroshima e Nagasaki nel novembre 2019 il Papa ha condannato sia l’uso che il possesso di armi nucleari da parte di qualsiasi Stato. La pace non può essere raggiunta attraverso «la minaccia dell’annientamento totale», ha detto. Papa Francesco ha sollecitato il sostegno per «i principali strumenti giuridici internazionali di disarmo nucleare e non proliferazione, compreso il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari». Prima della sua visita, le Conferenze dei Vescovi Cattolici in Canada e Giappone hanno esortato i loro governi a firmare e ratificare il nuovo Trattato.
Come loro, alcuni di noi provengono da paesi alleati con una potenza nucleare o che dispongono di arsenali nucleari. Sicuramente, in quest’epoca di crescente interdipendenza e vulnerabilità globale, la nostra fede ci invita a cercare il bene comune e universale. «Siamo tutti salvati insieme o nessuno si salva», dice la nuova enciclica del Papa Fratelli tutti. «È possibile per noi essere aperti ai nostri vicini all’interno di una famiglia di nazioni?», chiede Francesco. La cooperazione internazionale è essenziale per affrontare la pandemia Covid-19, il cambiamento climatico, il divario tra ricchi e poveri e la minaccia universale delle armi nucleari.
Non importa da dove veniamo, ci uniamo ad esortare i governi a firmare e ratificare il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari. Ringraziamo coloro che lo hanno già fatto e li esortiamo a invitare anche altri paesi ad aderire al Trattato.
Invitiamo i colleghi leader della Chiesa a discutere e deliberare sul ruolo significativo che la Chiesa può svolgere nel costruire il sostegno per questa nuova norma internazionale contro le armi nucleari. È particolarmente importante per le conferenze episcopali nazionali e regionali, nonché per le istituzioni e le fondazioni cattoliche, verificare se i fondi relativi alla Chiesa vengono investiti in società e banche coinvolte nella produzione di armi nucleari. In tal caso, intraprendere azioni correttive ponendo fine ai rapporti di finanziamento esistenti e cercare modi per il disinvestimento.
Crediamo che il dono della pace di Dio sia all’opera per scoraggiare la guerra e superare la violenza. Pertanto, in questo giorno storico, ci congratuliamo con i membri della Chiesa cattolica che per decenni sono stati in prima linea nei movimenti di base per opporsi alle armi nucleari e ai movimenti per la pace cattolici che fanno parte della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, vincitrice del Premio Nobel (Ican).

Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme
Jean-Claude Höllerich, Cardinale, Arcidiocesi di Lussemburgo, Presidente di Pax Christi Lussemburgo
Gualtiero Bassetti, Cardinale, Arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
Malcolm McMahon, Arcivescovo di Liverpool, Presidente di Pax Christi di Inghilterra e Galles
Giovanni Ricchiuti, Arcivescovo, Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, Presidente di Pax Christi Italia
Antonio Ledesma, Arcivescovo di Cagayan de Oro, Presidente di Pax Christi Filippine
Joseph Mitsuaki Takami, Arcivescovo di Nagasaki, Presidente della Conferenza Episcopale Giapponese
González Nieves, Arcivescovo di San Juan, Porto Rico
José Domingo Ulloa Mendieta, Arcivescovo di Panama
Mare Stenger, Vescovo Emerito della Diocesi di Troyes, Francia, Co-presidente di Pax Christi Internazionale
Hubert Herbreteau, Vescovo, Diocesi di Agen, Presidente di Pax Christi Francia
Peter Kohlgraf, Vescovo, Diocesi di Mainz, Presidente di Pax Christi Germania
Gerard de Korte, Vescovo, Diocesi di Den Bosch, Paesi Bassi
Lode Van Hecke, Vescovo, Diocesi di Gand, Belgio
Luigi Bettazzi, Vescovo Emerito, Diocesi di Ivrea, ex Presidente di Pax Christi International e Pax Christi Italia
William Nolan, Vescovo, Diocesi di Galloway, Scozia
Brian McGee, Vescovo, Diocesi di Argyll e delle Isole, Scozia
Joseph Toal, Vescovo, Diocesi di Motherwell, Presidente dello Scottish Catholic International Aid Fund
John Stowe, Vescovo, Diocesi di Lexington, Presidente di Pax Christi Usa
Robert McElroy, Vescovo, Diocesi di San Diego, Stati Uniti
Terry Brady, Vescovo, Arcidiocesi di Sydney, Australia
Peter Cullinane, Vescovo Emerito, Diocesi di Palmerston North, Presidente di Pax Christi Aotearoa Nuova Zelanda
Alexis Mitsuru Shirahama, Vescovo, Diocesi di Hiroshima, Giappone
Wayne Berndt, Vescovo, Diocesi di Naha, Giappone
Bernard Taiji Katsuya, Vescovo, Diocesi di Sapporo, Giappone
Paul Daisuke Narui, Vescovo, Diocesi di Niigata, Giappone
Timothy Yu, Vescovo, Arcidiocesi di Seul, Corea del Sud
Allwyn D’Silva, Vescovo, Arcidiocesi di Bombay, India
Kevin Dowling, Vescovo, Diocesi di Rustenburg, Ex Co-Presidente di Pax Christi International, Sudafrica
Segue una lunga lista di firme di laici, religiosi e religiose di una ventina di Paesi.

22 Gennaio 2021

Dal sito: https://www.chiesacattolica.it/documento-dei-leader-della-chiesa-cattolica-sullo-stop-alle-armi-nucleari/

Governo: “Cinque giorni per evitare la ‘guerriglia’ permanente”. Intervista a Fabio Martini

 

dibattito per la fiducia al Senato (Ansa)

Sono giorni di fibrillazione per la politica italiana. Come si svilupperà il quadro politico? Ne parliamo, in questa intervista, con l’inviato della Stampa Fabio Martini.

 

Fabio Martini (AUGUSTO CASASOLI/A3/CONTRASTO)

Fabio Martini, il governo ha ottenuto la fiducia del Senato. Una fiducia molto problematica, che non rende facile la vita al governo. Ma davvero Conte è uscito vincitore nel duello con Renzi?

«I fatti per ora parlano chiaro. Matteo Renzi voleva far cadere Giuseppe Conte e il governo ha ottenuto due fiduce. Per non entrare in contraddizione con la propria battaglia, Renzi aveva deciso di  votare no  e invece, per non perdere gran parte dei suoi parlamentari, ha fatto astenere Italia Viva. Il primo round lo ha vinto Conte.  Sul piano dell’immagine, che non è più un optional come ai tempi della Prima Repubblica ma qualcosa che viene messo in discussione ogni giorno e ogni ora dal martellamento di vecchi e nuovi media, l’esito della “partita” è ‘più controverso: Renzi, grande affabulatore, non è riuscito a farsi capire e la sua “manovra” a molti è parsa più pretestuosa che spassionata. Il presidente del Consiglio, per puntellare la propria maggioranza, si è impegnato in una caccia al volenteroso che non è un tonico per un’opinione pubblica sempre più disincantata. Per restare alla metafora agonistica, per capire l’esito finale dello scontro, occorre attendere ancora qualche settimana e la risposta ad una domanda che appare banale mentre la risposta non lo è: il presidente del Consiglio e i due partiti di governo sapranno trasformare una crisi nata per caso, in un’opportunità per potenziare il governo e dunque consentire agli italiani di stare un po’ meglio?»

Continua a leggere