Pubblichiamo, in esclusiva per l’Italia, la prima parte di una riflessione di Leonardo Boff, teologo brasiliano, sulla fraternità umana. Una prospettiva, quella della fraternità, lanciata da Papa Francesco nella sua ultima enciclica sociale. Un testo denso, questo di Boff, che propone una vera e propria etica della fraternità universale. La seconda parte della riflessione sarà pubblicata nei prossimi giorni.
Nell’enciclica sociale Fratelli tutti (2020) Papa Francesco presenta il suo “sogno” di una nuova umanità fondata sulla fraternità universale e sull’amore sociale (n.6), ispirato alla figura e all’esempio di san Francesco d’Assisi, il fratello universale.
Questo tema della fraternità universale è stata la preoccupazione insistente di uno dei migliori conoscitori degli ideali di Francesco di Assisi: il francese Eloi Leclerc in molte delle sue opere, specialmente nella Saggezza di un povero (Parigi 1959) e Il Sole nasce ad Assisi (Parigi 1999). Non parla in modo teorico ma da una terrificante esperienza personale. Giovane frate francese, anche se non ebreo, fu portato in Germania precipitando nell’inferno dei campi di sterminio nazisti a Buchenwald e Dachau. Ha conosciuto la banalità del male, le uccisioni compiute dalle SS per il semplice gusto di uccidere, le torture e le umiliazioni che segnavano la sua anima come ferro rovente.
Dopo la Shoah è possibile la fraternità umana?
Scosso nella fede nell’essere umano e dubitando dell’intero ideale di una fraternità umana, cercò disperatamente un raggio di luce che provenisse dal nulla. Anche dopo la sua liberazione per opera degli Alleati nel 1945, iniziò ad avere paura di ogni essere umano. Confessa: “di notte, mi svegliavo di soprassalto, il sudore colava e la mia anima si riempiva di paura; quelle immagini di orrore ritornavano sempre e mi perseguitavano; non potevo cancellarle” (p.33). E continua: “Che il Signore mi perdoni, se a volte di notte, questo vecchio che sono diventato, alza gli occhi inquieti al cielo, cercando un poco di luce” (p.31).
Caricava dentro di se i carnefici nazisti che lo perseguitavano e li suscitavano terrificanti domande sul destino umano e la sua capacità di distruggere vite indifese. Lo stesso trauma, più che psicologico, che invade e distrugge ogni essere umano dentro e fuori, è stato vissuto dal domenicano brasiliano padre Tito Alencar, che è stato barbaramente torturato dal delegato di polizia Fleury. Ha interiorizzato la sua immagine perversa in una forma tale da sentirsi sempre perseguitato da lui fino a quando, non sopportandolo più, ha posto fine alla sua vita, preferendo morire piuttosto che vivere una tortura permanente. Questa terribile esperienza è stata vissuta anche da padre Eloi Leclerc che, dopo una lunga e dolorosa riflessione, ci ha donato una piccola luce tremula indicando la possibilità di una fraternità universale, ispirata nei poverelli di Assisi.
In mezzo all’agonia: il Cantico delle Creature
È stato l’incontro con questa figura e con il suo esempio che ha fatto sì che alcuni raggi di sole apparissero nella sua anima ossessionata, facendogli sopportare le immagini dell’inferno umano. Narra di un fatto misterioso accaduto sul treno scoperto e carico di prigionieri che per 28 giorni da Buchenwald viaggiò da un luogo a un altro fino a fermarsi a Dachau, alla periferia di Monaco. C’erano tre confratelli, uno dei quali agonizzante. Nel mezzo dell’inferno irruppe qualcosa dal cielo. Senza sapere perché, mossi da un impulso superiore, iniziarono a cantare con voci quasi impercettibili il Cantico delle Creature di San Francesco. La fitta oscurità non poteva impedire la luce del Signore e del fratello Sole e la generosità della madre e della signora Terra. Nel Cantico si celebrano l’incontro dell’ecologia interiore con l’ecologia esteriore e il rapporto tra Cielo e Terra, da cui nascono tutte le cose. La domanda che sempre attraversava la sua gola: è possibile la fraternità tra gli esseri umani e con gli altri esseri della creazione? Questa esperienza tra agonia e abbaglio non potrebbe contenere un’eventuale risposta piena di speranza? Almeno si è aperto un tremulo lampo. Tale shock esistenziale lo motivò a studiare e ad approfondire quella che sarebbe stata la singolarità di questa figura assolutamente eccezionale nell’insieme delle agiografie.
La scoperta della fraternità nel volto del Crocifisso
Leclerc descrive, allora, il processo di costruzione della fraternità universale nella storia di Francesco di Assisi. Figlio di un ricco mercante di stoffe, considerato il re della gioventù dorata della città che viveva di feste e abbuffate, cominciò improvvisamente a rendersi conto della futilità di quella vita. Passava ore nella cappella di San Damiano, contemplando il volto dolce e tenero di un crocifisso bizantino. Qualcosa di simile faceva Dostoievsky: una volta l’anno viaggiava fino a Dresda in Germania per contemplare in una chiesa, per ore, la bellezza di un quadro di Maria straordinariamente sbalorditivo. Aveva bisogno di questa contemplazione per placare la sua anima tormentata. Nel romanzo I fratelli Karamasov ha lasciato questa frase stimolante: “la bellezza salverà il mondo”.
Così fu la dolcezza e lo sguardo misericordioso del Cristo bizantino che, similmente a Dostoevskij, conquistò quel giovane in profonda crisi esistenziale, cambiando il destino della sua vita. Lo convinse la fede nel Creatore che creò una fraternità fondamentale, facendo sì che tutti gli esseri, piccoli e grandi, inclusi gli umani e lo stesso Gesù di Nazareth, fossero tutti originati dalla polvere, dall’humus della Terra. Tutti hanno la stessa origine, formano una fraternità terrena.
In questo contesto di umiltà vale la pena ricordare ciò che San Paolo scriveva ai lettori della sua lettera agli Efesini: “Abbiate gli stessi sentimenti che aveva Cristo. Essendo Dio, non faceva caso alla sua condizione divina; si fece ultimo e assunse la condizione di servo per solidarietà con gli esseri umani; si presentò come un uomo semplice; si umiliò obbedientemente fino alla fine e alla morte in croce” (la più umiliante delle pene imposte ai sovversivi: Flp 2,5-8).
Alla luce di queste intuizioni, Francesco dimenticò la sua condizione di figlio di un ricco mercante, scoprì l’origine comune di tutti gli esseri, dalla polvere della terra, dal suo humus e contemplò l’umiltà di Cristo ritratto nel sereno e dolce volto del crocifisso bizantino. Siccome era concreto e risoluto in tutto ciò che si proponeva, ne trasse subito una conclusione: mi unirò solidariamente a coloro che sono più vicini al Crocifisso: i lebbrosi e con loro vivrò quello che ci fa, per la creazione, fratelli e sorelle e creerò una fraternità radicale con loro. Confessa nel suo testamento: “quella che prima mi sembrava amarezza ora emerge come dolcezza”. Conosciamo il resto della saga del Sole di Assisi come la chiama Dante nella Divina Commedia.
Tuttavia, Eloi Leclerc non si accontentò con l’esperienza illuminante del Cantico delle Creature. Una domanda angosciante non gli dava tranquillità: qual è l’ostacolo maggiore che impedisce la fraternità umana e con tutte le creature? Quale energia perversa è questa che produce i massacri e l’eliminazione sommaria di persone, considerate inferiori o subumane, come avvenne nei campi di sterminio? È giunto a questa conclusione: è la volontà di potenza.
Dove predomina il potere, non c’è né amore né tenerezza
Come aveva già percepito C.G. Jung, questa volontà di potenza costituisce l’archetipo più pericoloso dell’essere umano, perché gli dà l’illusione di essere come Dio, disponendo a suo piacimento della vita e della morte degli altri. E concludeva: “dove predomina il potere non c’è tenerezza né amore”. Quando diventa assoluto, il potere si rivela micidiale ed elimina tutti quelli che fanno sentire un’altra voce (p.30). Ora, le nostre società storiche (con l’eccezione dei popoli originari) sono strutturate intorno alla volontà del potere-dominio e di sottomissione di tutto ciò che si presenta: l’altro, i popoli, la natura e la vita stessa. Egli introduce la grande divisione tra quelli che hanno potere e quelli che non l’hanno.
Finché prevarrà il potere-dominio come asse strutturante di tutto, non ci sarà mai fraternità tra gli esseri umani e con il creato. Poiché quest’archetipo è umano, è latente dentro ciascuno di noi. In noi si nascondono un Hitler, uno Stalin, un Pinochet e un Bolsonaro. Lo stesso Leclerc confessa: “Mi sono sentito risvegliare in me stesso, la bestia assetata di vendetta” (p.32). Dobbiamo mettere sotto un severo controllo questa figura funesta che vive in noi, se vogliamo mantenere la nostra umanità. Se ci consegniamo alla seduzione del potere-dominio, rompiamo tutti i legami e l’indifferenza, l’odio e la barbarie possono occupare l’intero spazio della coscienza, come sta accadendo in diversi paesi del mondo, specialmente tra noi in Brasile. Allora emergono le sinistre figure, persino necrofile, menzionate.
Questo fatto drammatizza ulteriormente la domanda audacemente proposta da Papa Francesco in Fratelli tutti: l’urgenza della fraternità universale e dell’amore senza frontiere. Saranno possibili o costituiscono una mera e santa ingenuità? O forse sia un appello tra disperante e speranzoso, comprensibile di fronte a quanto più volte ripetuto da Papa Francesco: “O ci salviamo tutti o nessuno si salva”. Può darsi che ci sia offerta dalla Terra stessa, chissà, dall’universo stesso, una definitiva chance: o cambiamo e così ci salveremo o la Terra continuerà a girare intorno al sole, ma senza di noi.
Due anni fa, nel febbraio 2019, Papa Francesco, in visita negli Emirati Arabi Uniti, firmò ad Abu Dahbi un importante documento con il Grande Imam Al Azhar Amad Al-Tayyeb “Sulla fraternità umana in favore della pace e della comune convivenza”. In seguito, l’ONU ha stabilito il 4 febbraio come la Giornata della fraternità umana.
Sono tutti sforzi generosi che mirano, se non a eliminare, almeno a minimizzare le profonde divisioni che prevalgono nell’umanità. Aspirare a una fraternità universale sembra essere un sogno lontano, ma sempre desiderato.
Il grande ostacolo alla fraternità: la volontà di potere
L’asse strutturante delle società mondiali e del nostro tipo di civiltà è la volontà di potere come dominio, chiaramente presente nei padri fondatori della modernità nel XVII secolo, Decartes, Francis Bacon e altri.
Non ci sono dichiarazioni sull’unità della specie umana e della fraternità universale, né la più nota Dichiarazione dei Diritti Umani del 1948 dell’ONU, arricchita dei diritti della natura e della Terra, che riescono a imporre limiti alla voracità del potere.
La sua ragione è acutamente denunciata da Thomas Hobbes nel suo Levitan (1615): “Indico, come tendenza generale di tutti gli uomini, un desiderio perpetuo e irrequieto di potere e più potere che cessa solo con la morte; la ragione di ciò sta nel fatto che il potere non può essere garantito se non cercando ancora più potere ”. Gesù fu una vittima di quel potere e fu assassinato giudizialmente sulla croce. La nostra cultura moderna ha padroneggiato la morte, perché con la macchina di sterminio totale già creata, può eliminare la vita sulla Terra e se stessa. Come controllare il demone del potere che ci abita? Dove trovare la medicina?
Rinuncia a tutto il potere mediante un’umiltà radicale
Qui San Francisco ci ha aperto una strada: la rinuncia a tutto il potere attraverso l‘umiltà radicale e la pura semplicità. L’umiltà radicale implica porsi insieme all’humus, alla terra, dove tutti s’incontrano e si fanno fratelli e sorelle perché provengono tutti dallo stesso humus. Il cammino per questo consiste nello scendere dal piedistallo, dove ci collochiamo come signori e proprietari della natura e operare un radicale spogliamento di qualsiasi titolo di superiorità e potere. Consiste nel farsi veramente poveri, togliendo tutto ciò che si frappone tra l’io e l’altro. Là si nascondono gli interessi. Questi devono essere allontanati poiché sono ostacoli all’incontro con gli altri, occhi negli occhi, a faccia a faccia, con le mani vuote per abbracciarci come fratelli e sorelle, non importa quanto siamo diversi.
La povertà non rappresenta alcun ascetismo. È il modo che ci fa scoprire la fraternità, tutti insieme sullo stesso humus, sulla sorella e madre Terra. Quanto più povero, tanto più fratello del Sole, della Luna, del miserabile, dell’animale, dell’acqua, della nuvola e delle stelle.
Francesco ha calpestato umilmente questa strada. Non negò le origini oscure della nostra esistenza, l’humus (da cui deriva homo in latino) e in questo modo fraternizzò con tutti gli esseri, chiamandoli con il dolce nome di fratelli e sorelle, persino il feroce lupo di Gubbio.
Un altro tipo di presenza nel mondo
Abbiamo a che fare con una nuova presenza nel mondo e nella società, non come chi immagina che la corona della creazione sia in cima a tutti, ma come chi è allo stesso livello e insieme agli altri esseri. Attraverso questa fraternità universale il più umile ritrova la sua dignità e la sua gioia di essere, sentendosi accolto e rispettato e per avere il suo posto garantito nell’insieme degli esseri.
Leclerc ripete ostinatamente la domanda, come se non fosse del tutto convinto: “Sarà che è possibile la fraternità tra gli esseri umani?”. Lui stesso risponde: “È possibile solo se l’essere umano si pone con grande umiltà, tra le creature, all’interno di un’unità della creazione (che comprende l’essere umano e la natura nel suo insieme) e nel rispetto di tutte le forme di vita, anche le più umili; allora lui potrebbe sperare un giorno di formare una vera fraternità con tutti i suoi simili. La fraternità umana passa per questa fraternità cosmica” (p.93).
La fraternità è accompagnata dalla semplicità. Questa non è un atteggiamento banale. Si tratta di un modo di essere, rimuovendo tutto ciò che è superfluo, tutti i tipi di cose che andiamo accumulando, che ci rendono ostaggi, creando disuguaglianze e barriere contro gli altri, impedendoci di convivere in solidarietà con loro e di vivere con il sufficiente, condividendolo con gli altri.
Questo percorso non fu facile per Francesco. Si sentiva responsabile per il cammino della radicale povertà e fraternità. Al crescere, a migliaia, del numero di quanti lo seguivano, s’impose la necessità di un’organizzazione minima. C’erano bellissimi esempi del passato. Francesco aveva una vera antipatia per questo. Arriva a dire: “Non parlatemi delle regole di Santo Agostino, di San Benedetto o di San Bernardo; Dio voleva che fossi un nuovo pazzo in questo mondo (novellus pazzus)”. È la chiara affermazione dell’unicità del suo modo di vita e del suo stare nel mondo e nella Chiesa, come un semplice laico, in mezzo e insieme ai poveri e invisibili e non come un chierico della potente Chiesa feudale.
La grande tentazione di San Francesco
Tuttavia, a un certo punto della sua vita, entrò in una crisi travolgente, poiché vide che il suo cammino evangelico di radicale povertà e fraternità stava essendo spazzato via dai suoi stessi seguaci. Profondamente sopraffatto, si ritirò in un eremo e nei boschi, per due lunghi anni, accompagnato dal suo intimo amico fra Leone “la pecorella di Dio”. È la grande tentazione cui le biografie danno poca rilevanza, però essenziale per comprendere l’unicità della proposta di Francesco.
Infine, si spoglia di questo istinto di possesso spirituale. Accetta un cammino che non è il suo, ma che era inevitabile. Dove dormiranno i frati? Come si sosterrebbero? Preferisce salvare la fraternità piuttosto che il proprio ideale. Accoglie con letizia la logica ferrea della necessità. Già non pretende più nulla. Si è spogliato totalmente persino dei suoi desideri più intimi, nonostante fosse, come scrisse il suo biografo San Bonaventura, un vir desideriorum (un uomo dei desideri).
Ora, completamente spogliato del suo spirito, si lascia guidare da Dio. Lo Spirito sarà il padrone della sua vita e del suo destino. Lui stesso non si propone altro. Sta alla mercé di ciò che la vita gli chiede, vedendola come volontà di Dio. In ciò sente la massima libertà di spirito possibile, che si esprime in una gioia sfrenata al punto da essere chiamato “il fratello sempre allegro”. Non occupa più il centro. Il centro è la vita guidata da Dio. E questo basta.
Ritorna tra i confratelli e ritrova la convivialità e la piena gioia di vivere. Ma seguendo la chiamata dello Spirito, come all’inizio, torna a convivere con i lebbrosi, che chiama “i miei cristi” in profonda comunione fraterna. Non abbandona mai la comunione profonda con sua sorella e Madre Terra. Quando muore, chiede di essere collocato nudo sulla Terra per l’ultima carezza e la comunione totale con lei.
(Continua)
(Traduzione dal Portoghese di Gianni Alioti)