Con Draghi il lavoro torna al centro della politica, in Italia e in Europa. Intervista a Giuseppe Sabella

Subito dopo l’ampia fiducia che si è guadagnato presentando il suo governo al Parlamento, al Premier Mario Draghi è toccato il primo appuntamento internazionale: al G7 – tenutosi in videoconferenza e convocato dal Primo Ministro inglese Boris Johnson – c’era anche Joe Biden, oltre ai leader di Francia, Germania, Canada e Giappone. Presenti anche Ursula von der Leyen e Charles Michel, rispettivamente per la Commissione e per il Consiglio Europeo. Si è discusso in particolare di pandemia e vaccini. Ma anche di clima, di G20 e di sviluppo. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella.

Sabella, la pandemia sembra aver creato nuovi equilibri nella globalizzazione. E a ciò contribuisce sicuramente l’esito delle recenti elezioni americane. Per citare parole di quel grande intellettuale che è Giulio Sapelli, “dove va il mondo?”

Anzitutto, il mondo in questa fase è chiamato a delineare una strategia comune che ci porti fuori dall’emergenza sanitaria. Questo è stato uno dei punti chiave del G7 di ieri. Inoltre, dal 2017 il commercio mondiale ha subito un potente rallentamento e ha generato condizioni per mercati sempre più regionalizzati – Europa, USA e Asia – in prossimità di quelle che sono le grandi piattaforme produttive, appunto Europa, USA e Cina. Ai dazi dell’amministrazione Trump, la UE ha risposto col suo Green New Deal, ovvero con un programma che oltre a innovare l’industria vuole consolidare il mercato interno, per il momento ancora senza forme di protezionismo diretto che non è escluso vi saranno in futuro. Naturalmente, la pandemia ha accelerato questo processo e la UE ha così rafforzato le sue misure di intervento creando il più ampio Recovery Fund o Next Generation EU. Nel frattempo, Biden riporta gli USA dentro gli accordi di Parigi (da ieri è ufficiale), la UE negozia con la Cina un accordo commerciale importante e a Davos Angela Merkel attacca Xi Jinping per la gestione poco trasparente del covid-19; e non dimentichiamo che la Germania è il più importante partner commerciale della Cina. In sintesi: siamo all’inizio di un nuovo multilateralismo che vede un riavvicinamento importante di Europa e USA. Lo stesso Draghi, nel suo discorso alle Camere, si è richiamato in modo netto ai valori dell’atlantismo.

Considerando che a maggio 2021 proprio in Italia vi sarà il G20, qual è il ruolo che potrà recitare il nostro Paese dentro questo nuovo multilateralismo?

Come dicevo, il mondo si sta riconfigurando a partire dalla capacità produttiva delle singole macroregioni. Questa è una cosa importantissima, significa restituire centralità al lavoro dopo trent’anni in cui al centro dell’agenda politica vi erano scambi e finanza. Venendo a noi, l’Italia è non solo il secondo Paese manifatturiero in Europa ma è anche fortemente integrata con la grande piattaforma tedesca, cuore dell’industria europea. Direi che con i 209 miliardi del Recovery Fund possiamo fare cose importanti. Consideriamo anche il fatto che Angela Merkel sta uscendo di scena e la leadership di Mario Draghi sarà importante non solo in casa nostra ma anche in Europa. E già lo è stata, non solo negli anni in cui era Presidente della BCE. In sintesi, l’Italia da fanalino di coda può ritrovarsi a recitare un ruolo egemone in Europa che significa nel mondo. Cosa possiamo portare noi italiani all’interno del nuovo multilateralismo? Per richiamarci alle 5 P dello sviluppo sostenibile, direi in particolare persone, pace e pianeta, valori che sono inequivocabilmente usciti dai primi discorsi istituzionali di Mario Draghi,

A cosa si riferisce quando allude alla leadership di Draghi?

Mario Draghi sta contribuendo al cambiamento dell’Europa. In primis, se esiste il Quantitative Easing, dobbiamo dire grazie a lui. Non dimentichiamoci che a suo tempo, Draghi aveva contro Wolfgang Schäuble e gran parte dell’establishment europeo. E la recente sentenza della Corte di Karlsruhe – che contesta fortemente il QE – è la reazione di una parte di quell’establishment che in Germania ha sempre avuto importanti fondamenta. Questo ci dice anche quanto Angela Merkel sia stata molto abile nel portare la Germania al fianco dei Paesi del sud Europa nella trattativa sul Recovery Fund. Inoltre, proprio Mario Draghi il 25 marzo 2020 pubblicava un editoriale sul Financial Times in cui spiegava che per rispondere all’evento epocale della pandemia non restava altra soluzione che il debito. Il giorno dopo, 26 marzo, si riuniva l’eurogruppo che, in tre mesi, è giunto all’accordo del Next Generation EU. Un grande risultato che cambia l’Europa e le sue politiche economiche, superando l’austerity. E, ancora una volta, Draghi è uno degli artefici del cambiamento.

Ma l’Italia riuscirà realmente a far ripartire l’economia?

Ora o mai più. Consideriamo però che dopo lo shock dei mesi di marzo e aprile 2020, il terzo e quarto trimestre per l’Italia hanno voluto dire tra i livelli migliori di produzione industriale in Europa. Certo, abbiamo una parte del Paese che è ferma, mi riferisco in particolare alla polveriera della microimpresa. Vi è ancora il blocco dei licenziamenti, al momento prorogato fino a luglio, che non può durare in eterno. Draghi si è già pronunciato abbastanza esplicitamente: serve una strategia di sostegno all’impresa, ma non si può sostenere indistintamente ogni azienda. Ve ne sono alcune che non hanno futuro, dai grandi casi ai casi meno grandi. Non possiamo lasciare sole le persone, la rete delle protezioni e delle politiche del lavoro (attive in particolare) deve funzionare al massimo; è però venuto il momento di distinguere le good companies dalle bad companies. I lavoratori possono essere riqualificati e orientati verso nuovi investimenti. È necessario però che il sistema lavori nella medesima direzione.

Da questo punto di vista, i sindacati hanno mandato segnali interessanti. Saranno realmente capaci di collaborare con il governo in questa complessa transizione?

Nel sindacato sanno che non si può andare avanti con il blocco dei licenziamenti ad libitum. È importante che le Parti sociali siano coinvolte nel progettare gli investimenti per lo sviluppo: non a caso, ieri Landini ha detto che serve un confronto imprese-sindacati sul futuro. Ciò significa progettare la transizione, le nuove competenze, le nuove protezioni sociali, rafforzare la presenza di giovani e donne nel mercato del lavoro, raccordare sempre di più istruzione-lavoro e rendere la pubblica amministrazione più capace di essere eco-sistema, ovvero partner dello sviluppo. È necessario conciliare innovazione e giustizia sociale, anche per evitare nuove forme di disgregazione. E poi, il Paese va riformato partendo soprattutto dalle sue infrastrutture, di cui la burocrazia è parte essenziale.

A proposito di riforme, quali saranno le priorità del governo Draghi?

Al di là delle parole e della retorica – che sono comunque fondamentali per governare – quando Draghi dice “sarà un esecutivo ambientalista” è chiaro che non dobbiamo intenderlo come lo potrebbe intendere un attivista dei Fridays for future. Qual è il punto? Che la lotta al climate change, che contraddistingue la spinta europea dentro il multilateralismo nascente, si fa attraverso l’innovazione tecnologica, digitale ed energetica. Non a caso vi è il Ministero per la Transizione ecologica alla cui guida è stato chiamato Roberto Cingolani, manager di Leonardo e responsabile dell’Innovazione tecnologica del gruppo, che guiderà anche un costituendo Comitato interministeriale per la Transizione ecologica. Ma lo stesso Enrico Giovannini a capo delle Infrastrutture è un segnale che questo governo vuole modernizzare il Paese. E modernizzazione è sinonimo di sostenibilità. Vedremo quindi come saranno affrontati i gangli storici di giustizia e fisco, ma sono convinto che questo governo farà qualcosa di importante per quanto riguarda le reti infrastrutturali, condizione per rendere più produttiva la nostra manifattura, cuore della nostra economia.

Per tornare alla nostra industria, che consiglio darebbe al neoministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti?

Al Mise vi sono oltre 100 crisi aziendali da risolvere. E, come dicevo, il blocco dei licenziamenti prima o poi finirà e renderà più sensibile questo numero. Io direi a Giorgetti di condividere una linea di intervento insieme alle Parti sociali, in modo tale che si possa gestire ciascuna crisi con dei criteri di azione a monte. Non solo, insieme alle Parti sociali andrei a individuare quali sono player e segmenti di mercato in grado di generare sviluppo, che significa occupazione e nuove competenze. La componentistica, la meccanica di precisione, il chimico, il farmaceutico e l’energia sono i comparti che ci faranno vedere le cose più interessanti, in particolare per la grande rivoluzione dell’energia e della mobilità. In particolare nella mobilità, l’Europa – e soprattutto Germania, Francia e Italia – saranno protagoniste del cambiamento: l’operazione Stellantis va letta in questo senso. Siamo all’inizio di un mondo nuovo, dobbiamo consolidarne le fondamenta.