“È tempo di scuotere la polvere dai vostri calzari. Lettera ai fratelli e alle sorelle espulsi da Bose”. Un testo di Riccardo Larini e un comunicato di Enzo Bianchi

Enzo Bianchi (Ansa)

La vicenda della Comunità di Bose, e del suo Fondatore (Enzo Bianchi), ha segnato, nei giorni scorsi, un’altra tappa molto dolorosa per Enzo Bianchi. Infatti alla vigilia della partenza per il viaggio apostolico in Iraq, nel corso dell’udienza, avvenuta due giorni fa, a padre Amedeo Cencini, delegato Pontificio per la Comunità monastica di Bose, con il Priore della medesima, Fr. Luciano Manicardi, papa Francesco “ha manifestato la sua sollecitudine nell’accompagnare il cammino di conversione e di ripresa della Comunità secondo gli orientamenti e le modalità definite con chiarezza nel Decreto singolare del 13 maggio 2020, i cui contenuti il Papa ribadisce e dei quali chiede l’esecuzione”, riferisce un comunicato della Santa Sede. Il Pontefice ha pertanto confermato che il fondatore Enzo Bianchi deve lasciare la Comunità. La reazione, al provvedimento Vaticano, è stata, per i tanti amici di Enzo Bianchi, di profonda amarezza e dolore. La vicenda ha, ancora, lati non chiari. Di seguito pubblichiamo, per gentile concessione di Riccardo Larini, il testo di una lettera aperta a Enzo Bianchi scritta dallo stesso Larini (teologo ed ex monaco di Bose). Pochi minuti fa Enzo Bianchi, sul suo sito, ha pubblicato un comunicato in cui da la sua spiegazione dei fatti. Lo pubblichiamo, in fondo alla lettera di Larini, per completezza d’informazione

Caro Enzo,
inizio col rivolgermi a te, non per fare graduatorie di merito o ignorare (come hanno fatto in troppi) gli altri fratelli e sorelle che sono stati, inutile usare un eufemismo, espulsi da Bose, ma perché è palese che è soprattutto a causa tua (il che non vuol dire per colpa tua) che si sono riversati anche sugli altri l’odio e la furia dei parabolani/talebani che hanno preso in mano i destini della comunità che tu hai fondato, supportati da un’istituzione ecclesiale che sembra aver dimenticato ormai del tutto il vangelo e che ha optato palesemente per il ricorso a strumenti totalitari, degni dei peggiori regimi al mondo. Il tutto, infine, sotto gli occhi compiacenti e in larga misura complici di una stampa cattolica che conferma l’attuale abbandono della traiettoria conciliare da parte della chiesa italiana.

Non intendo con questa lettera aperta gettarmi in ulteriori analisi delle divisioni occorse e delle tue eventuali corresponsabilità, che mai ho negato e che non sono il punto fondamentale della questione. Già mi sono espresso con molta chiarezza dalle pagine del mio blog e non solo, e da persona franca e libera quale sono non ho nascosto nulla mentre imperversavano in rete le fazioni, e soprattutto ho sempre detto direttamente in faccia a tutti (te compreso, come ben sai) quelle che ritenevo essere deviazioni dal vangelo, esortando tutti e ciascuno unicamente alla carità, al dialogo e alla riconciliazione.
Voglio dirti innanzitutto che ammiro profondamente la lealtà alle vostre chiese di appartenenza che tu, Antonella, Goffredo e Lino avete sempre mostrato, confermandola anche in questa occasione. Siete cattolici, alla chiesa cattolica avete dedicato sempre in primis la vostra appassionata opera di testimonianza e di riflessione, e ad essa avete deciso di appellarvi anche in questi travagliatissimi mesi.

Come sai io non mi riconosco da oltre un decennio in alcuna chiesa, e pur avendo sperato che il Vaticano II avesse avviato un cammino di risanamento dell’enorme vulnus inferto al vangelo dal Vaticano I, mi sono convinto da tempo che una vera riforma sia intrinsecamente impossibile nel cattolicesimo istituzionale, e che si possa essere pienamente cristiani anche senza appartenere formalmente a una confessione o senza fare riferimento ad alcuna autorità ecclesiale.

Il mio essere “diversamente cristiano” non mi porta tuttavia mai a fare “il tifo contro” nessuna chiesa o comunità, ma soltanto a cercare di favorire i semi di vangelo e di riconciliazione sparsi ovunque. Ciò nonostante, se un tempo ritenevo, con il grande teologo anglicano Richard Hooker, che si potesse parlare di infallibilità della chiesa “eventually”, prima o poi (dunque senza alcuna certezza o strumento incrollabile), sono ormai convinto che l’unica cosa che sia veramente infallibile è il vangelo, e l’unica figura umana pienamente degna di fiducia sia Gesù di Nazareth.

Caro Enzo, non so se posso chiamarti “amico”, nel senso che l’amicizia è fatta di intimità, di rapporti preferenziali, di complicità che non so se ho mai intrattenuto con te. Sicuramente, però, ti posso e ti voglio chiamare “fratello”. Sei fratello perché da te ho imparato molte delle cose più importanti in assoluto per la mia vita, in primis il primato del vangelo e l’importanza della misericordia, oltre alla passione per la conoscenza e la fatica del pensare. E con me hanno imparato queste cose dalla tua testimonianza personale decine di migliaia di persone, in Italia e non solo.

Carissimi Antonella, Enzo, Goffredo, Lino,
e voi tutti fratelli e sorelle di Bose che vi riconoscete ancora nei valori fondamentali del vangelo ma ora vi sentite contraddetti, avviliti o perfino umiliati, io non ho e non avrò mai l’ardire di dirvi: “Fatevi carico di questa croce”. Come ho già scritto altrove, solo il Signore può dirvelo, e solo voi potete riconoscere la sua voce e decidere cosa sia e cosa non sia una sua croce da portare. Se altri cercano di identificare per voi le vostre croci, oltre a essere superficiali e inumani, sono molto vicini alla bestemmia. Dio vuole che viviamo, non che moriamo, oppure è un idolo in cui non bisogna credere neppure un istante.

Posso solo ricordarvi, umilmente, come vostro fratello, ciò che Enzo stesso ci ha insegnato e ha spesso ripetuto, e cioè che nessuno può impedirci di vivere il vangelo, neppure la chiesa. Voglio perciò innanzitutto ringraziarvi pubblicamente per avere cercato un dialogo, da veri cristiani, con chi vi colpiva in maniera potenzialmente mortale. La ragione, infatti, non sta mai da una parte sola, e pur compiendo anche voi i vostri errori sono pienamente cosciente della vostra costante ricerca e attesa di soluzioni più umane e cristiane alla crisi profonda che ha colpito la vostra (oso dire “nostra”) comunità.

Voglio ringraziarvi per avere cercato una ricomposizione in primo luogo per vie ecclesiali e non per tribunali. Si tratta di una scelta per nulla scontata. Il diritto a un processo equo è infatti uno dei capisaldi della Dichiarazione Fondamentale dei Diritti Umani del 1948, e il diritto canonico contiene (e fa uso di) strumenti in chiarissimo contrasto con questo documento fondamentale dell’umanità. La vostra decisione è ancor più degna di rispetto perché sicuramente, in sede civile, risulterebbe impossibile privarvi di ciò che avete largamente contribuito a realizzare sul piano materiale. E aggiungo che se anche decideste di appellarvi in futuro ai tribunali secolari, compirete un atto legittimo che non cambierà certamente la mia considerazione per voi.

Giunti a questo punto, però, visto che dall’altra parte si è voluta sancire antievangelicamente la definitività dell’allontanamento di alcuni di voi o l’inaccettabilità delle vostre posizioni o addirittura dei vostri dubbi in generale, credo che l’unico modo che avete per continuare a vivere il vangelo sia, come dice Gesù, prendere congedo da Bose “scuotendo la terra di sotto i vostri piedi a testimonianza per loro” (Mc 6,11).
Scuotendo la polvere si affermano infatti due cose fondamentali.

Innanzitutto è un gesto che avviene dopo che si è annunciato e chiesto di condividere uno stile evangelico e si è ricevuto in risposta un diniego. Perciò non solo è lecito ma è anzi un bene andare a vivere altrove il vangelo, senza sprecare energie in logiche di distruzione o di morte, o anche solo di tristezza e di impoverimento spirituale.

Ma è anche una chiara presa di distanza, in cui si dice: vi lasciamo anche la polvere di questo suolo, perché è suolo arido che non sentiamo più nostro.
Il monachesimo ha portato splendori ma anche talvolta oscurantismi nella storia umana e dello spirito. Ha prodotto figure meravigliose e gruppi di fanatici pronti a lacerare una donna straordinaria come Ipazia sull’altare delle loro chiese.

C’è un modo altro, però, di vivere il radicalismo cristiano, carissimi fratelli e sorelle. Il “siamo semplici cristiani” è l’intuizione forse più cruciale di chi ha dato vita all’esperienza di Bose, sulla scia di esperienze esemplari come quella di sorella Maria a Campello, a cui vi invito a tornare come fonte e ispirazione, pur con i tratti tipici delle vostre ricche personalità.

Sono certo che saprete continuare a essere semplici cristiani e a testimoniare il vangelo. Io sarò sempre al vostro fianco, perché sono vostro fratello nel Signore

Riccardo Larini

Dal sito: https://riprenderealtrimenti.wordpress.com/2021/03/06/e-tempo-di-scuotere-la-polvere-dai-vostri-calzari-lettera-ai-fratelli-e-alle-sorelle-espulsi-da-bose/?fbclid=IwAR3oxM73IfWNKDluDqDPnamTEHWFdsjU1E3A4r4YObHguT_VjL6FnpxAEZs

Comunicato di fr. Enzo Bianchi, fondatore di Bose

Questo comunicato è stato redatto per essere pubblicato il 9 febbraio 2021 in risposta al comunicato dello stesso giorno del delegato pontificio e a quello apparso sul sito di Bose. Tuttavia, per obbedienza, e ripeto solo per obbedienza, ho continuato a mantenere il silenzio fino ad oggi.

Silenzio sì, assenso alla menzogna no!

Nel Decreto del Segretario di Stato consegnatoci il 21 maggio 2020, veniva chiesto a me, a due fratelli e a una sorella l’allontanamento da Bose a causa di comportamenti a noi mai indicati e spiegati che avrebbero intralciato l’esercizio del ministero del priore di Bose, fr. Luciano Manicardi. Pur non avvallando le calunnie espresse nel Decreto, coscienti che non ci era consentito l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa (come sancito dalla Carta dei diritti umani e dalla Convenzione europea) abbiamo obbedito al Decreto.

Ho immediatamente iniziato la ricerca di un’abitazione adatta a me e alla persona che mi assiste, dove poter anche trasferire la vasta biblioteca necessaria al mio lavoro e l’ampio archivio personale. Dopo mesi di ricerca condotta anche da agenzie specializzate, ricerca complicata altresì dall’emergenza sanitaria del Covid-19, non ho trovato nulla di confacente alle mie esigenze. I costi per l’acquisto di una casa in campagna (sempre superiore a 500.000 euro) o di un affitto di un alloggio in città restavano eccessivamente elevati rispetto alle mie possibilità economiche e alla scelta di una vita sobria che ho sempre condotto.

A queste difficoltà si aggiungono la mia età avanzata e le precarie condizioni di salute: gravissime difficoltà di deambulazione causata da una seria sciatalgia, una grave insufficienza renale che non permette alcun intervento chirurgico risolutivo, ai quali si aggiunge una patologia cardiaca. É a seguito di questa situazione e non per altre ragioni, che non ho potuto lasciare l’eremo nel quale vivo da più di quindici anni e si trova dietro alla collina della Comunità di Bose. Alla consegna del Decreto ho da subito interrotto ogni rapporto con i membri della Comunità, incontrando soltanto un fratello incaricato dal priore per la mia assistenza quotidiana. Pertanto, l’allontanamento concreto l’ho realizzato ma non abbastanza lontano come indicato dal Decreto.

Nell’ottobre 2020, direttamente dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin mi è giunta la proposta di trasferirmi presso la fraternità di Bose a Cellole, sita in S. Gimignano (Si), insieme ad alcuni fratelli e sorelle che si sarebbero resi disponibili, così da attuare pienamente il Decreto e trovare una soluzione per la mia residenza fuori comunità.

A questa proposta, il priore di Bose, l’economo della comunità e il delegato pontificio hanno da subito posto alcune condizioni, tra le quali la perdita di tutti i diritti monastici per i fratelli e le sorelle che si sarebbero trasferiti a Cellole nella condizione di extra domum. Fu mia premura informare il Segretario di Stato che la condizione alla quale venivano ridotti questi fratelli e sorelle era in aperta contraddizione con il can. 665 com. 1 del Diritto canonico vigente, avvalorato dall’interpretazione data dal documento “Separazione dall’Istituto. Extra domum, esclaustrazione e secolarizzazione” redatto dal Gruppo Segretari/e di Roma del 12 novembre 2013.

Il 13 novembre del 2020, il Cardinale Parolin, in una lettera a me indirizzata, accoglieva le mie osservazioni, chiedendomi di trasferirmi a Cellole con alcuni fratelli e sorelle disponibili, da me scelti in intesa con il priore di Bose, i quali avrebbero vissuto come monaci extra domum ma conservando tutti i loro diritti monastici. Cellole non sarebbe stata più una fraternità di Bose ma comunque una fraternità monastica in cui era possibile la presenza di un fratello presbitero per la celebrazione eucaristica.
Tuttavia, l’8 gennaio 2021 mi giungeva il decreto del delegato pontificio con le disposizioni per il trasferimento a Cellole, e in allegato un contratto di comodato d’uso gratuito precario che avrei dovuto firmare immediatamente. Il contratto, ideato e redatto dell’economo di Bose fr. Guido Dotti e approvato del priore di Bose fr. Luciano Manicardi e del delegato pontificio, poneva le seguenti condizioni:

1. Il decreto del delegato pontificio ingiunge a fr. Enzo Bianchi di trasferirsi a Cellole senza sapere né identità né numero dei fratelli e delle sorelle che sarebbero andati a vivere con lui.
2. Nel contratto di comodato si prevede che l’Associazione Monastero di Bose, nel suo rappresentante legale fr. Guido Dotti, può cacciare da Cellole in ogni momento, su semplice richiesta e senza motivarne le ragioni, fr. Enzo Bianchi e quanti vi risiedono con lui.
3. Il contratto di comodato d’uso concede gli edifici del priorato di Cellole stralciando però intenzionalmente i terreni annessi all’edificio e necessari per la coltivazione, per l’orto e per la provvigione dell’acqua durante l’estate.
4. Si dichiara che ai monaci e alle monache di Bose che vivranno a Cellole è vietato non solo fare riferimento a Bose, ma anche affermare di condurre vita monastica o cenobitica: potranno semplicemente definirsi come coloro che danno assistenza a fr. Enzo Bianchi, pertanto ridotti a meri “badanti”.

Anche alla mia richiesta che a Cellole ci fosse un fratello idoneo designato a guidare la comunità, il delegato pontificio ha risposto che “non c’è alcun priore, né responsabile, né presidente del gruppo a Cellole, né vita monastica né vita cenobitica”. Ai monaci e alle monache di Bose presenti con me a Cellole ai quali erano riconosciuti dal Segretario di Stato tutti i diritti monastici era tuttavia espressamente vietata la vita monastica. Con tutta evidenza, questa imposizione risulta lesiva della dignità personale e dei diritti monastici fondamentali di questi fratelli e sorelle che vivono a Bose anche da quarant’anni. Se a Cellole è loro vietato di condurre vita monastica, essi cosa vivono? Vengono loro riconosciuti i diritti monastici ma è loro espressamente vietata la sostanza della vita monastica.

A queste condizioni, che non sono mai state rese note alla comunità, io non ho mai dato il mio assenso, perché mi sembrano disumane e offensive della dignità dei miei fratelli e delle mie sorelle. Il decreto del delegato pontificio pone con tutta evidenza me e quanti con me vivono a Cellole in una condizione di radicale precarietà, obbligandoci a vivere perennemente nell’angoscia di essere cacciati in ogni momento e per qualsiasi ragione. Se alle indicazioni del Segretario di Stato avrei sempre potuto ubbidire, alle modalità di realizzazione dettate in particolare da fr. Guido Dotti non ho mai potuto dare il mio assenso.

Per queste ragioni, per la quarta volta, il 2 febbraio scorso ho comunicato al delegato pontificio e al priore, tramite lettera consegnata nelle sue mani, la mia decisione di non trasferirmi a Cellole alle condizioni poste da loro. Inoltre, per amore della Chiesa e in particolare della diocesi di Volterra, del suo vescovo Alberto Silvagni padre veramente premuroso, di tutte le persone che da otto anni frequentano l’eucaristia domenicale e la liturgia delle ore quotidiana e che hanno tessuto vincoli ecclesiale e spirituali con la fraternità di Cellole, non posso in coscienza accettare che una fraternità di così grande valore monastico fosse chiusa al semplice scopo di diventare una casa privata destinata a me e a chi mi assiste. Ribadisco tutto il mio dolore per una chiusura decisa improvvisamente e in questa modalità e non certo per volontà mia. Il delegato pontificio e il priore di Bose, ignorando questa mia decisione a loro tempestivamente comunicata per iscritto di non trasferirmi a Cellole, hanno ugualmente pubblicato il 9 febbraio 2021 i rispettivi comunicati ufficiali, omettendo gravemente di rendere nota la mia decisione, anzi dicendo che io avevo accettato di trasferirmi a Cellole, alterando in tal modo la verità dei fatti.

Per questo, dall’inizio di febbraio, ho ricominciato la ricerca di una dimora in cui poter vivere la vita monastica e praticare l’ospitalità come sempre ho fatto tutta la mia vita a Bose: alla mia vocazione non intendo rinunciare.

Non ho nulla in più da comunicare almeno PER ORA. GIUDICATE VOI!

Di quanto qui scritto sono disposto a mostrare i documenti che lo provano.

Fr. Enzo Bianchi
fondatore di Bose

DAL SITO.
https://www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/114743/comunicato-di-fr-enzo-bianchi-fondatore-di-bose?fbclid=IwAR0TpzKcLfrAuYLf-6e99dHeO_krXkJcUbUS3fiwFWX9mZxg8wkco0fjQ3c

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