“La competizione tra Salvini e Meloni c’è ma sull’Europa (e non solo) sono ambigui entrambi”. Intervista a Sofia Ventura

La competizione tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni è sempre più presente nella destra italiana. Come si evolverà questa competizione? Ne parliamo, in questa intervista, con la professoressa Sofia Ventura, docente di Scienza della Politica all’Università di Bologna.

Si è parlato, in questi giorni, della vittoria, nelle elezioni di Madrid, della popolare Isabel Ayuso. Che tipo di destra è quella della Ayuso? Si è parlato di un modello Trump…

È presto per dirlo. In Spagna l’analogia con Trump è stata fatta, ma Ayuso non ha mai negato né minimizzato la pandemia. Ha proposto, in particolare dopo la prima ondata, un modello diverso da quello del governo centrale, meno orientato alle chiusure generalizzate e più ai tracciamenti e alle chiusure ‘chirurgiche’. Con certamente anche un approccio più fatalista, questo bisogna ammetterlo. Con la sua pretesa di una destra senza complessi mi ricorda Sarkozy, del quale mi pare però più spregiudicata, nel rincorrere le diffidenze verso la politica e il crescente individualismo che interessa un po’ tutte le società europee. Ma il trumpismo è altra cosa.

Può essere un riferimento per la destra italiana?

Se guardiamo alla destra dominante in Italia, quella di Salvini e Meloni, Ayuso in fondo è moderata, nonostante la brutta, recente, uscita sugli immigrati, che avrebbero ‘comportamenti’ meno responsabili di fronte alla pandemia. Ma Salvini e Meloni sono oltre. E comunque non so se ha senso parlare di modelli. In fondo anche lei intercetta frustrazioni diffuse attraverso la dicotomia amico/nemico, ha basato la sua campagna sulla contrapposizione tra il socialismo – del quale ha fatto uno spauracchio – e la libertà: mi piacerebbe pensare che la politica, a destra come a sinistra, possa essere anche altro. E poi per quale destra dovrebbe essere modello? Per quella estrema no, quella guarda a Vox, come dicevo, è ‘oltre’. E tutto sommato è molto più legata ad una visione ‘assistenziale’ del ruolo dello Stato. Non è solo ‘oltre’, è proprio ‘altro’. Per quella più moderata, forse, pur proponendo uno stile polarizzante e spregiudicato del quale in Italia abbiamo già pagato i costi.

Guardiamo, appunto, alla destra italiana. L’unico partito che è in crescita, da più di un anno, è Fratelli d’Italia. Eppure nei temi identitari di destra (o per meglio dire di estrema destra) sono sovrapponibili. Cosa rende Meloni più di successo rispetto a Salvini?

È una professionista, più capace di adattarsi alle situazioni, ma al tempo stesso in grado di mandare un messaggio di coerenza. Pur avendo posizioni della destra estrema – basta guardare i suoi messaggi social e la sua ossessione nel contrapporre gli italiani agli immigrati, anche se lei aggiunge sempre ‘clandestini’, come se poi non fossero donne e uomini come gli altri, sino a rappresentarli come potenziali untori nella fase attuale di circolazione del virus – , ha l’abilità di mostrarsi come donna di buon senso e persona comune, ma non nel senso un po’ grottesco di Salvini, con i suoi improbabili piatti di pasta esibiti su Instagram. Questo avvicina le persone e fa dimenticare le sue posizioni più radicali, oltre che la natura del suo partito. Credo che il suo ultimo libro in uscita, almeno stando alle anticipazioni, punti a rafforzare questo aspetto.

Nonostante la Meloni sia a capo di un raggruppamento che siede nel Parlamento Europeo, non sembra che questo sia di conforto per chi si richiama ai valori fondativi dell’Unione Europea. E questo fa il paio con il gruppo sovranista di Salvini Orban. Chi temere di più?

Tra Salvini e Meloni? Oggi ho l’impressione che a sinistra si guardi con una certa condiscendenza a Meloni in funzioni anti-Salvini, la cui presenza al governo è probabilmente considerata disturbante. Ma credo sia un errore. Entrambi hanno costruito la loro fortuna sulle contrapposizioni forti, sull’individuazione dei nemici e la paura dell’ ‘altro’. Entrambi guidano partiti nei quali trovano spazio personaggi discutibili e nostalgici di una destra estrema e non fanno molto – uso un eufemismo – per liberarsene. Entrambi esibiscono simpatia e amicizia verso leader di governo che stanno stravolgendo il carattere liberale e quindi democratico dei rispettivi Paesi, parlo naturalmente di Orbàn e Morawiecki, dell’Ungheria e della Polonia. Entrambi flirtano con l’integralismo cattolico. Entrambi ogni volta che spiegano che non sono contro l’Europa, hanno sempre un MA da aggiungere che li rende perlomeno ambigui e poco affidabili. Ossessionati, poi, come sono, da un ‘patriottismo’ identitario escludente. Come si fa ad essere europeisti se accanto all’amore per il proprio Paese non si cura e coltiva con altrettanta determinazione l’identità europea? Sono da temere entrambi.

Spesso la Meloni si richiama a De Gaulle. Non trova azzardato questo richiamo?

È un vezzo che ha anche Marine Le Pen. Ricordo solo che de Gaulle fu il leader della Resistenza francese e combatté contro il nazismo e il fascismo di Vichy, il partito di Meloni ha nel proprio simbolo la fiamma tricolore. E i simboli contano. Ho sentito che ha richiamato l’idea dell’Europa delle patrie attribuita a de Gaulle (ma lui stesso negò di avere mai usato questa espressione, avendo invece parlato di un’Europa degli Stati). Ma chissà se Meloni avrebbe condiviso con il Generale l’idea che Dante, Goethe, Chateaubriand, pur essendo divenuti grandi nelle loro rispettive lingue, appartenevano a tutta l’Europa? E poi, de Gaulle parlava dell’Europa degli Stati, di una Europa confederale, quella che Meloni dice di volere, sessant’anni fa. Il mondo cambia, va avanti. Ciò detto, eviterei di richiamare visioni di grandi uomini per la propria piccola propaganda.

A ben vedere siamo ben lontani da una destra repubblicana ed europeista. Chi poterebbe essere un costruttore?

Oggi? In Italia? Nessuno. In questi decenni è stata fatta tabula rasa.

Ultima domanda: come si sta comportando Enrico Letta?

Lo dico con rammarico, perché è una persona che stimo: costringendo la sua azione dentro al perimetro di una alleanza con i 5 stelle credo che si precluda ogni possibilità di rivitalizzare un partito ormai senza bussola. Ma sinceramente, fare ritrovare la bussola al Pd, a questo stadio della sua crisi, temo sia ormai una impresa titanica.