Con droni armati e missili Cruise l’Italia cambia faccia. Intervista a Maurizio Simoncelli

Missili Cruise (LaPresse)

Missili Cruise – immagine d’archivio (LaPresse)

In questi ultimi giorni sono uscite due notizie, nell’ambito delle dotazioni dei sistemi d’arma delle nostre Forze Armate, che faranno cambiare il profilo militare dell’Italia. Ci riferiamo ai droni armati e ai missili Cruise. Dotazioni che pongono problemi di ordine tattico-strategico e di controllo politico assai rilevanti. Cerchiamo di approfondire, in questa intervista con Maurizio Simoncelli, alcuni di questi nodi.


Maurizio Simoncelli è Vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo.
Storico ed esperto di geopolitica, oltre ad aver realizzato numerose ricerche sull’industria militare, sulle forze armate italiane e sulla geopolitica dei conflitti, ha collaborato come docente in diversi master universitari e corsi d’istruzione superiore. E’ membro del CISRSM – Centro interuniversitario di studi e ricerche storico–militari e coordina l’attività documentaria del sito www.archiviodisarmo.it.

 

SIMONCELLI, l’uso dei droni armati, in recenti scenari di guerra, ha fatto sempre discutere l’opinione pubblica per molteplici ragioni che approfondiremo tra poco. Intanto guardiamo all’Italia. Pare, secondo un comunicato della Rete Italiana Pace e Disarmo, che il Ministero della difesa sia intenzionato ad investire su questo sistema d’arma. Su che basi si può affermare questo? 
L’Italia si è già dotata da oltre un quindicennio di 6 droni militari, utilizzati in missioni di intelligence, sorveglianza, ricognizione e acquisizione del bersaglio in diversi contesti, soprattutto in varie missioni all’estero (Iraq, Afghanistan, Libia, Corno d’Africa ecc.). I droni sono in dotazione al 32° Stormo di Amendola (Foggia). Il Documento Programmatico Pluriennale 2021 del Ministero della Difesa prevede un investimento di 168 milioni di euro con una prima tranche finanziata di 59 milioni distribuiti in 7 anni.

Che tipo di drone?
I droni che l’Italia acquistò a suo tempo dagli Stati Uniti sono gli Apr classe Male (Medium Altitude Long Endurance), Mq-1A Predator e Mq-9 Reaper, prodotti dalla General Atomics, e nel Parlamento si parlò allora solo di un utilizzo non armato. Successivamente nel 2011 si è richiesto agli USA l’autorizzazione ad armarli ed ora lo stiamo facendo con la loro approvazione, dato che servivano determinati componenti tecnologici per questo utilizzo aggressivo.
Il Reaper (mietitore), capace di operare per 27 ore da un’altezza di 15 km in ogni condizione di tempo in ambiente diurno o notturno, è lungo 11 metri ed ha un’apertura alare di 20 metri, potendo viaggiare ad una velocità di 450 km all’ora, guidato satellitarmente senza rifornimenti per 2.000 km in missioni di ricognizione e per 1.200 qualora fosse armato di missili. Può portare quattro missili aria-terra Agm Hellfire, nonché due bombe a guida laser GBU-12 Paveway o due bombe a guida Gps CPU 38 Jdam. Il costo unitario si aggira sui 10,5 milioni di dollari.

C’è un progetto di LEONARDO? Come si svilupperebbe il programma? Con quali costi?
In ambito europeo è stata lanciata sin dal 2013 una cooperazione industriale e politica in questo ambito tra Germania, Francia , Italia e Spagna per un drone europeo per sorveglianza e difesa, detto «Male Rpas» o «Eurodrone». Capofila è la Germania con Airbus, poi la Francia con la Dassault e l’Italia con la Leonardo, che ha una quota del 25%. Airbus opera nell’ambito della struttura, mentre Dassault si occupa del sistema e Leonardo dell’equipaggiamento. Oltre alle funzioni di ricognizione e di controllo, sarà anche armato e dotato di doppio motore. Dovrebbe essere capace di operare ognitempo 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il programma dovrebbe costare sui 7 miliardi di euro. All’Italia dovrebbero giungere cinque di questi sistemi, ognuno composto da 3 velivoli e 2 stazioni di controllo a terra.

L’utilizzo di questo Sistema d’arma ha cambiato parecchio il volto della guerra. Quali sono le opacità e rischi nel loro utilizzo?
Attraverso l’uso militare dei droni è possibile monitorare il territorio, sorvegliarlo rispetto ad eventuali pericoli ed evitare determinati rischi per le nostre truppe, usufruendo di un vantaggio significativo rispetto ad un eventuale avversario che non ne sia dotato. In tal modo si evita l’esposizione fisica dei soldati e si controlla, anche a notevole distanza, comunque uno spazio critico. Se poi si ha l’utilizzo armati dei droni, si può condurre un attacco senza alcun rischio vitale per le nostre truppe, dato che l’equipaggio che li controlla risiede lontano in una plancia di comando, utilizzando anche informazioni provenienti da altre fonti (satelliti, intelligence ecc.). Si possono condurre azioni di guerra senza intervenire fisicamente con proprie truppe sul territorio interessato, potendo evitare di conseguenza anche di rendere noto all’opinione pubblica e ai mass media l’intervento stesso. Gli Stati Uniti, che da anni li stanno usando massicciamente, sono un esempio di questa opacità anche rispetto alle conseguenze letali. Non si sa ufficialmente il numero esatto né delle missioni né delle vittime, tra le quali non di rado sono coinvolti civili innocenti, dato che i cosiddetti bombardamenti chirurgici non sono innocui per chi ne è estraneo. Nello studio Droni militari: proliferazione o controllo? che abbiamo condotto nel 2017 con l’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo avevamo già rilevato da un lato la difficoltà enorme nel determinare il numero esatto di vittime civili e dall’altro la quasi totale assenza d’informazione ufficiale sul loro uso. Per di più a volte vengono usati in situazioni non di guerra per eliminare supposti avversari senza che vi sia stata una condanna a morte da parte di un tribunale regolare, cioè si hanno veri e propri omicidi extragiudiziali, estremamente discutibili dal punto di vista del diritto.

Dal punto di vista strategico per l’Italia cosa significherebbe questo Sistema d’arma? È necessario?
L’uso di questi sistemi d’arma presuppone l’intervento armato a grande distanza nell’ambito di una proiezione di forza su scenari sempre più ampi, coerentemente con l’assetto che da anni le nostre FF.AA. stanno prendendo con sistemi d’arma non difensivi ma aggressivi come le nuove portaerei, i cacciabombardieri nucleari F35 e quant’altro, per operare a distanza dal nostro territorio nazionale, nonostante il famoso articolo 11 della Costituzione. D’altronde il “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa” del Ministero della Difesa nel 2015 confermava questa crescente proiezione della nostra azione su teatri anche assai lontani (l’Afghanistan lo conferma, peraltro con risultati disastrosi).

Una scelta del genere dovrebbe essere analizzata dal Parlamento. Vi sono infatti grossi problemi di trasparenza e di controllo che l’utilizzo (del drone) pone. In particolare per le morti illegali e gli impatti negativi. È così?
In effetti l’utilizzo di questi sistemi d’arma pone numerosi problemi e servirebbero delle precise linee guida determinate dal Parlamento: dove usarle, come, perché, contro chi, ecc. Analogamente è necessaria una massima trasparenza nell’uso affinché si conoscano gli eventuali danni collaterali. Si potrebbero condurre azioni di guerra in teatri anche lontani e con conseguenze negative nella totale insaputa dell’opinione pubblica e dei mass media, nonché del Parlamento stesso. I paesi utilizzatori non di rado hanno compiuto per errore o per sottovalutazione stragi di civili, esacerbando ulteriormente l’ostilità della popolazione locale e avvantaggiando gli oppositori, terroristi compresi: vedi il recente caso del raid statunitense del 29 agosto a Kabul in cui sono stati uccisi 3 adulti e 7 bambini in cui è stata chiesta semplicemente “scusa per l’errore”!

Come controllare la proliferazione? Un controllo ONU?
Si calcola che attualmente siano oltre 100 i paesi che utilizzano droni militari di varie dimensioni e con varie capacità. Anche formazioni terroristiche e la criminalità organizzata ne dispongono, data la tecnologia ormai ampiamente diffusa e relativamente poco costosa. Il controllo che si può esigere nei paesi democratici, come già detto, può essere su due piani: il Parlamento deve indicare alle forze armate le linee guida fondamentali per il loro utilizzo in caso d’attacco e contemporaneamente esigere un’adeguata trasparenza ed informazione sul loro uso, affinché anche l’opinione pubblica e i mass media ne siano al corrente. Per questo si sta muovendo da tempo anche la società civile che nel nostro continente ha costituito il Forum europeo sui droni armati (EFAD), una rete di organizzazioni della società civile che lavorano per promuovere i diritti umani, il rispetto dello stato di diritto, il disarmo e la prevenzione. L’ONU, sistematicamente depotenziata e emarginata nel corso di questi anni, può far poco, se non approvare delle norme generali circa la responsabilità dell’uso nei confronti dei civili. Ma è difficile che le grandi potenze e i loro alleati le approvino e le rispettino.

Ultima domanda. È uscita, nei giorni scorsi, la notizia che la nostra Marina vuole dotarsi di missili Cruise. Un sistema d’arma assai particolare. Cosa significa questo e soprattutto se era così necessario?
I missili Cruise non seguono una traiettoria balistica (dal basso verso l’alto e poi i nuovo verso il basso contro l’obiettivo), ma viaggiano seguendo l’orografia dello spazio terrestre mediante un apparato GPS coordinato con sistemi satellitari, divenendo di difficile intercettazione con conseguenze significative sul clima d’insicurezza internazionale. Dal costo stimato di un milione di dollari ognuno, possono essere armati convenzionalmente o nuclearmente, con un raggio d’azione che negli ultimi modelli supera i 1.500 km. La collocazione su navi e sottomarini aumenta enormemente il raggio d’azione e la nostra proiezione di potenza militare cresce in modo significativo. Sarebbe utile sapere se il nostro Parlamento e il nostro Governo abbiano discusso di questa ulteriore dotazione di armamenti utile per una presenza armata in teatri sempre più lontani e per quali scopi. Ci stiamo preparando per uno scontro con il nostro alleato turco per le acque cipriote, per un’azione nel quadrante asiatico o altro? Non siamo più all’interno di un quadro di difesa costituzionale, ma di palese attacco. Sarebbe opportuno avere queste risposte prima che le FF.AA. acquistino tali missili evitando che il Parlamento abdichi al suo ruolo politico d’indirizzo in questo settore così importante.

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