Sono giorni di tensioni sociali. Il ribellismo sta attraversando il Paese. Un Paese, però, che sta rispondendo alla Pandemia meglio di altri. Restano, comunque, fragilità che attendono risposte.
In questo quadro la politica è in una fase di movimento. I risultati, delle elezioni amministrative, ci consegna un quadro politico in evoluzione (con tensioni nel centrodestra uscito sconfitto dalle urne). Di tutto questo parliamo, in questa intervista, con Fabio Martini , inviato del quotidiano “La Stampa”.
Fabio Martini, stiamo vivendo mesi complicati, molto complicati. Il Paese è attraversato da tensioni, anche fomentate da gruppi neofascisti. L’assalto alla Cgil è l’esempio di questa infiltrazione neofascista trovi terreno fertile nel malcontento di una certa parte della popolazione. La risposta democratica è stata decisa (vedi la manifestazione dei sindacati di sabato scorso a Piazza San Giovanni). Ti chiedo: vedi un pericolo di rinascita del neo fascismo?
«I tanti commenti di questi giorni e le manifestazioni di protesta contro l’assalto alla sede della Cgil paradossalmente hanno finito per ignorare la gravità specifica di quel che è accaduto: l’ irruzione in casa altrui e la devastazione di uno spazio interno sono due “muri” letteralmente inviolabili per una convenzione democratica non scritta ma di lunga data: fenomeni di questo tipo in tutto il mondo sono tipici di forze violente, fasciste, o autoritarie di segno diverso. Messo questo paletto concettuale, è difficile dar credito all’ipotesi di un diffuso pericolo fascista per iniziativa di una organizzazione, Forza Nuova, che conta un centinaio di militanti in tutta Italia, che ha preso pochissimi voti quando si è presentata alle elezioni. Altro conto ancora sono le manifestazioni concrete ma anche esteriori di altre sigle: non possono oltrepassare un certo limite ma sarebbe delittuoso reprimerle quando si limitano alla manifestazione del libero pensiero. O ad una nostalgia che non può essere negata a nessuno. Gli avversari del centrodestra hanno cavalcato l’emozione, sfruttando anche espressioni infelici e ambigue (il meloniano «non capisco la matrice») e conducendo una campagna battente all’insegna contro un pericolo fascista che appare sovrastimato. E che è stato utilizzato a fini elettorali. Raramente il presidente Mattarella si è espresso con altrettanta efficacia: l’assalto alla Cgil ci ha turbato ma non ci preoccupa».
Veniamo alle elezioni. I ballottaggi ci hanno consegnato almeno quattro messaggi. Il primo riguarda l’alto astensionismo. Il secondo è la crisi del sovranismo, il terzo riguarda il PD. Partito dal telaio ancora solido, il quarto messaggio riguarda Movimento 5stelle e il duo Calenda Renzi… Incominciamo dall’astensionismo che ha toccato livelli di guardia. Ma è solo disaffezione o invece qualcosa di più profondo?
«Una somma di motivazioni. Una cosa sembra acclarata: a disertare di più sono stati gli elettori di centrodestra. Una parte dei quali, i meno intransigenti, non si sono riconosciuti nella campagna ansiogena e allarmistica dei due principali leader di quell’area politica. E’ presto per dire se sia aperto un ciclo progressista in Occidente, ma qualcosa è in atto e per il momento sembra premiare leader rassicuranti e ansiolitici: Biden, Scholz, Letta. Chi non li ama, a destra, non va a votare. E si astiene dall’appoggiare una destra che tiene gli elettori in tensione in una fase nella quale gli italiani amerebbero allentare il pressing mentale, liberarsi dallo stress, anziché esservi ricacciati».
Veniamo ai sovranisti. Salvini e Meloni hanno mancato i loro obiettivi, Milano e Roma, per incapacità nella selezione dei candidati (una cosa inaudita per gente esperta), per errori politici gravi (fascismo e rincorsa sfrenata verso i no vax e dintorni), per la loro competizione interna. Forse per una volta ha ragione Guido Crosetto che, in uno slancio di sincerità, afferma in un tweet “Se i tuoi potenziali elettori si astengono, la colpa non è dei tuoi avversari: se vai vai al bancomat e cerchi di prelevare con il conto in rosso, non puoi imprecare contro lo sportello…”L’ironia è pesante (detto da colui che “definisce Giorgia Meloni la sua migliore amica”). Come svilupperà la dinamica tra i due leader sovranisti?
«Giorgia Meloni e Matteo Salvini in questi giorni per la prima volta hanno capito che potrebbero – entrambi! – ridimensionare le proprie ambizioni di leadership. Le uniche alle quali rischiano di poter coltivare sono quelle per il proprio partito, perché negli ultimi mesi entrambi hanno faticato ad esprimere una vocazione e una cifra da leader nazionali. Per evitare il “Papa straniero” nei prossimi mesi potrebbero persino spalleggiarsi, secondo il vecchio adagio che se non stai in piedi assieme, rischi di cadere assieme»
Una parola su Berlusconi. È l’unico del centrodestra ad aver vinto. Come giocherà Berlusconi le sue carte in questa fase?
«Con un’ unica idea in testa: quella di essere il candidato del centrodestra nelle prime tre votazioni per il Quirinale. Rischia di sfuggirgli un dato essenziale: negli ultimi anni su di lui si è ricomposto un sentimento abbastanza diffuso di simpatia ma appena sarà chiaro che vuole diventare Capo dello Stato, diventerà oggetto di una campagna forsennata. In parte giustificata. Come può fare il presidente della Repubblica un condannato in via definitiva e anche in attesa di processo? Non può e questa speranza di risarcimento postumo costerà carissima a Berlusconi, se insisterà: dissiperà il credito riconquistato».
Mentre stiamo ragionando sul dopo elezioni, ecco arrivare la notizia di un accordo tra Matteo Renzi e Miccichè in Sicilia. Cose siciliane o preludío di un qualcosa?
«Matteo Renzi, il personaggio più ricco di talento politico apparso sulla scena italiana negli ultimi 10 anni, dopo aver commesso alcuni errori esiziali, sembra essere motivato soprattutto dalla prospettiva di un buon tenore di vita: per questo non sembra più puntare ad essere leader e sembra attratto maggiormente da attività professionali diverse dalla politica».
Per Enrico Letta si tratta di una bella vittoria. La sua linea è uscita vincente. Ma sappiamo della estrema volatilità del voto. Come dovrà investire il prezioso tesoretto di queste amministrative?
«Come investire il successo ovviamente lo deciderà il Pd. Sicuramente dovranno ricordarsi del 1993: il Pds e i progressisti avevano vinto a Roma e Napoli, pochi mesi dopo persero le Politiche. E tenendo presente un dato che è più impressionistico che misurabile. Il Pd vince, anzi stravince, ma non convince. Finché vivrà di “rendita”, senza esprimere una linea da “partito della nazione”, il Pd vincerà ma non convincerà. E questo è destinato a pesare negli orientamenti degli elettori».
Pensi che reggerà la linea pro Pd di Conte nel movimento 5stelle?
«Reggerà. Anche a costo di diventare irrilevanti a medio termine. Virginia Raggi ha dimostrato che i voti ci sono ancora ma su una linea “contro”, di chi è capace di predicare alterità anche stando al governo. A breve il Movimento è destinato a diventare una corrente esterna del Pd. Di Maio si è “imborghesito” e ama restare al governo, Conte non ha la stoffa per reinventarsi il M5s. L’unica vera scossa, e anche forte, potrebbe arrivare se Di Battista per davvero metterà su un movimento tipo gilet gialli. Per non sparire in pochi mesi, i Cinque stelle potrebbero essere costretti ad un ritorno, pur tardivo, alle origini».
Cosa dobbiamo aspettarci da qui all’elezione del nuovo presidente della Repubblica? Un “Bailamme”?
«Si, il rischio bailamme esiste. Al netto di un appuntamento di complicata gestione come il rinnovo della presidenza della Repubblica, alcuni dati, e non le impressioni, sono eloquenti. Il Pd ha stravinto nei Comuni ma centro-destra e Cinque Stelle hanno straperso. Sin qui nulla di trascendentale ma il tutto è reso più instabile da una clamorosa asimmetria: 8 dei 10 comuni più popolosi del Paese sono guidati dal centrosinistra, le Regioni sono a stragrande maggioranza di centrodestra e in Parlamento la forza di maggioranza relativa sono i Cinque Stelle!Ora , dobbiamo saper aspettare. Se ai primi di gennaio la “pratica” non sarà stata ben lavorata potrebbe accadere di tutto».
E se la conclusione di tutto questo fosse : Mario Draghi candidato Premier per una coalizione Ursula? Troppa grazia?
«Al momento è soltanto un legittimo sogno per chi apprezza Draghi. Ma sono tanti…»