La copertina del libro di Roberto Muradore (realizzata dal fotografo/musicista Flaviano Miani) e il titolo scelto “L’uomo che camminava sui pezzi di vetro” – a prima vista – richiamano più un romanzo noir che a un libro in cui si racconta di sindacato. Anche la quarta di copertina non svela del tutto il contenuto: “[…] C’è un sentire inadeguato e malato. Prevale l’indifferenza al disastro ambientale e alle povertà crescenti. Ci si disinteressa dell’altro e addirittura del proprio futuro. L’educazione sentimentale è importante. Sì, ci vogliono buoni sentimenti per fermare la barbarie culturale e sociale, per evitare di perderci nell’individualismo […]. In giro ci sono troppi cinici che, per dirla con Oscar Wilde, «conoscono il prezzo di tutto e il valore di niente»”.
Solo aprendolo e iniziandone l’impegnativa lettura, si scopre il valore intrinseco di questo ricco volume per quanti continuano a manifestare interesse e curiosità sulle vicende sindacali dagli anni ’70 ad oggi. Non solo per le 343 pagine che raccolgono numerose testimonianze sull’autore, alcuni saggi e una vasta selezione di articoli e interventi scritti da Roberto Muradore negli ultimi decenni. Ma perché, come scrive Angelo Floramo (storico e scrittore nato a Udine) nella postfazione: “Abbiamo bisogno di testimoni. Oggi più che mai, in questa nostra società liquida, che riscrive il passato adattandolo ogni volta alla convenienza del presente, la memoria è uno strumento rivoluzionario”.
E se la memoria è uno strumento rivoluzionario, oltre che un “fondamentale e insostituibile elemento costitutivo delle singole persone, delle comunità e pure delle organizzazioni” come scrive Roberto Muradore, diventa imprescindibile in uno o più libri “fissare per non perdere” situazioni, fatti, riflessioni e proposte che attraversano l’esperienza sindacale. Nel caso dell’autore, un lungo percorso vissuto da operaio a sindacalista nella Fim e Cisl di Udine (dal 1976 al 1999), la parentesi alla Fim di Gorizia (dal 1999 al 2004) il ritorno alla Cisl di Udine (nel 2004) di cui sarà leader autorevole dal 2007 al 2017 e, infine, gli ultimi anni vissuti nella segreteria confederale regionale a Trieste e da semplice pensionato (a partire dagli ultimi mesi del 2019).
La struttura del libro risulta, a questo scopo, alquanto complessa. Dopo la prefazione di Piero Ragazzini (attuale segretario generale della Fnp Cisl) e l’introduzione, c’è il primo capitolo cheraccoglie le testimonianze su Roberto Muradore come persona e come sindacalista. Il secondo contiene, invece, un breve saggio di contesto scritto da Bruno Tellia sulle trasformazioni economiche e politiche degli ultimi 40 anni. Per il docente di sociologia industriale nelle università
di Trieste, Trento e Udine il lavoro e le dinamiche socio-culturali ed economiche del Friuli Venezia Giulia hanno costituito uno dei temi costanti di studio e di ricerca, oltre che di proficua cooperazione con la Cisl udinese.
Il quinto capitolo contiene, invece, un altro saggio: «Il tempo di “ecopolis” dopo il crollo di “cosmopolis”», scritto da Sandro Fabbro, capace e affermato professore universitario in materia di pianificazione territoriale, di politiche urbane e territoriali, di tecnica urbanistica nei corsi di laurea in Ingegneria dell’Ambiente e in Scienze dell’Architettura all’Università di Udine.
Nel terzo e quarto capitolo del libro, come nel sesto, settimo e ottavo sono, invece, raccolti gli articoli e gli interventi di Roberto Muradore riorganizzati in base ad altrettanti temi, che ne preservano l’interesse anche a distanza di tempo:
Valori, contenuti e formula organizzativa dell’azione sindacale
Unità sindacale, ma di diversi e uguali
La multiforme centralità della realtà locale
Il confronto continuo con la realtà produttiva locale
La lotta continua.
Infine, prima della postfazione già citata di Angelo Floramo, un capitolo 9 che contiene una lunga e interessante intervista di Roberto Muradore rilasciata, nell’aprile del 2021, a Giuseppe Liani, giornalista della redazione di Udine della RAI.
La lettura del libro, per come è strutturato, può non seguire necessariamente l’ordine delle pagine, ma procedere “disordinatamente” seguendo le proprie curiosità. Personalmente ho letto per prima cosa, divorandole piacevolmente, le tante testimonianze raccolte. E nel farlo mi sono divertito a contare alcune parole chiave e/o valutazioni ricorrenti. Ebbene, la parola usata di più per definire Roberto Muradore è quella di “sindacalista eretico”. E conoscendo Roberto, penso che a lui la cosa non dispiaccia per nulla… Anzi!
Riferendosi alle relazioni e alle dinamiche interne alle organizzazioni, tra cui i sindacati, è solito affermare “[…] che sono più utili gli eretici costruttori che gli yes men. Le sollecitazioni, le inquietudini e i contributi degli uni aiutano la propria organizzazione a progredire, migliorandola […]. L’accondiscendenza dei secondi la frena, addormentandola in senso conservativo”.
La società, non solo le organizzazioni come i sindacati, ha bisogno sempre e costantemente di eretici. Pena l’immobilismo, l’apatia, l’impoverimento sociale, culturale, economico… L’eretico quasi sempre sta fuori dai grandi movimenti, ma in diversi casi vi sta dentro in modo critico e stimolante.
E Roberto sia nella sua esperienza nel sindacato metalmeccanici, sia nella Cisl non sempre era allineato, specie su tanti temi delicati e controversi come l’ambiente, la precarietà del lavoro, la globalizzazione, la democrazia, le istituzioni europee, la sussidiarietà, il neoliberismo ecc. Diverse testimonianze, proprio per questo, gli riconoscono una libertà di pensiero e di animo, oltre che la serietà, la passione e l’impegno che metteva nel suo lavoro. Caratteristiche che, giunte alla capacità di analisi e alla coerenza, gli fecero conquistare rispetto e credibilità, oltre che tra i lavoratori e in ambito sindacale, anche nelle controparti imprenditoriali e nei diversi interlocutori istituzionali e universitari.
A questo punto inserisco una mia personale testimonianza, una chiave interpretativa. D’altronde con Roberto, tre anni più giovane di me, ho molte cose in comune. Entrambi, siamo entrati in fabbrica come operai, condividendo le tensioni ideali e l’utopia proprie dei movimenti libertari figli del “maggio francese” del ’68. E, per molti aspetti esistenziali, influenzati dalle idee, dalle letture, dalla musica e dalle inquietudini legate alla cultura underground di quegli anni di ribellione…
Si può dire, in altro modo, che in gioventù ci siamo innamorati di un’idea “esagerata” di libertà. E a questa idea abbiamo cercato di restare fedeli nella nostra traiettoria sindacale, non senza contraddizioni, imperfezioni e inevitabili compromessi. La libertà come valore supremo della persona, la forma stessa dell’agire etico. Nell’anarchismo – per definizione un’ideologia sincretica – la libertà, l’uguaglianza, la diversità, la solidarietà sono valori inscindibili, a differenza del liberalismo e del socialismo che interpretano i valori della libertà e dell’uguaglianza in modo indipendente e separato.
Il pensiero di un mondo senza dominio e senza privilegio ha sicuramente permeato il nostro modo di essere anche negli anni a venire. Specie nel nostro lavoro sindacale che, per sua natura, deve saper mediare – con una dose sufficiente di pragmatismo – tra utopia e realtà, tra obiettivi e risultati. Senza rinunciare, però, a vivere la politica in chiave etica, attraverso l’esercizio pratico della coerenza tra mezzi e fini. Nel caso specifico dell’azione sindacale l’impronta anarchica (come quella cristiana) si traduce, al di là dell’ideologia o della fede religiosa, in un forte sentimento di giustizia sociale.
Eravamo appena ventenni quando abbiamo iniziato da operai l’impegno sindacale unitario nella FLM. Io avevo solo vent’anni quando nel 1972 sono stato eletto – su scheda bianca – delegato di gruppo omogeneo nel Consiglio di Fabbrica della Galante di Genova Isoverde. Roberto ne aveva 23 quando è stato eletto nel 1978 nel Consiglio di Fabbrica della Safau di Udine. E, più tardi, nello stesso anno il 1986, ci siamo ritrovati per la prima volta a ricoprire il ruolo di segretari generali. Io in Fim Cisl Liguria, lui in Fim Cisl Udine. Percorsi di vita paralleli, ma per tanti versi convergenti, usando il paradosso delle “convergenze parallele” attribuito ad Aldo Moro… in realtà inventato da Eugenio Scalfari in un articolo sul settimanale L’Espresso.
Ci siamo ritrovati a fare delle cose insieme solo dalla seconda metà degli anni ’90, quando lui era in segreteria della Cisl di Udine con delega all’industria e io, dopo l’esperienza in Brasile e nel cono-sud dell’America Latina – rientrato in Italia – collaboravo a tempo parziale con la Fim Cisl nazionale sui temi dell’ambiente e della salute-sicurezza sul lavoro… Temi molto cari a Roberto
Muradore, sin dalla sua esperienza in fabbrica alla Safau. In quegli anni fui invitato spesso a Udine come relatore a diversi convegni, seminari e attività di formazione promossi dalla Fim e Cisl. Con Roberto, come con la struttura sindacale della Fim di Udine guidata da Paolo Mason, si creò un buon rapporto e si avviò nei metalmeccanici un proficuo lavoro di coordinamento degli Rls, anche grazie a Pietro Moos delegato storico della Fim Cisl nel gruppo Pozzo (ora gruppo Bosch). Conobbi anche Bruzio Bisignano (storico delegato del Consiglio di Fabbrica della Safau e della FLM) e il suo spettacolo “Ocjo”, veicolo straordinario di sensibilizzazione delle persone in piazza sui temi della salute e sicurezza sul lavoro… Spettacolo utilizzato, poi, anche nei corsi nazionali Fim Cisl ad Amelia e in eventi pubblici in altre città.
Il rapporto di reciproca stima e amicizia con Roberto è proseguito con il suo rientro in Fim a Gorizia e Monfalcone (dove abbiamo gestito insieme la problematica dell’esposizione dei lavoratori all’amianto) e non si è mai interrotto negli anni a venire con il suo ritorno nella Cisl a Udine e neppure con la pensione. Tra noi c’è stato sempre un comune sentire. Non ci sentivamo spesso e, ancora meno, sono state le occasioni per incontrarci di persona. Ma, quando succedeva, qualsiasi fosse il motivo della telefonata o la circostanza dell’incontro, ci trovavamo quasi sempre in perfetta sintonia. Anche per questo ho letto con molta curiosità e qualche nostalgia il suo libro, prestando molta attenzione alle testimonianze, ma anche alle cose da lui sostenute negli articoli e negli interventi raccolti. Quando si conosce l’autore e/o si sono vissuti molti dei fatti di cui si parla, è naturale che nella lettura si cerchino conferme o smentite sull’idea che uno si è fatto.
E non nascondo il piacere di aver ritrovato nel libro un riconoscimento a Roberto Muradore e alla “sua” Cisl di Udine di essersi sempre mostrata curiosa e attenta verso la realtà locale e la specificità regionale friulana… Investendo, con ostinazione e continuità, energie e risorse per produrre conoscenza, partecipazione, dibattito. Un’impostazione cislina attenta al bene comune, al principio di sussidiarietà e all’autogestione. Senza sudditanze di pensiero e azione.
Valorizzazione della dimensione locale e “comunitaria”, ma in una società aperta e accogliente… Autonomismo, come migliore strumento per prendersi cura della propria terra e dei giovani friulani costretti a emigrare, ma riconoscendo l’apporto economico e culturale degli immigrati al benessere della comunità… Centralità del lavoro, come fondamento della dignità della persona, ma mai a scapito dell’ambiente e degli eco-sistemi. Come nella lotta contro l’elettrodotto Udine-Redipuglia, nella difesa dei beni comuni come l’acqua e nel contrasto al consumo di suolo, alla cementificazione del territorio, alle grandi opere inutili.
Fuori dagli schematismi e dalle soluzioni “facili”, diffidando dei nuovi “demagoghi” e della personalizzazione della politica. Smascherando l’“egocentrismo” di leader indifferenti a ciò che li circonda, che non si mettono mai in discussione e non si pongono domande. Un “leaderismo” che fa breccia anche in un movimento per sua natura collettivo come il sindacalismo.
Il contrario di come Roberto Muradore ha esercitato il suo ruolo di dirigente sindacale. Coltivando la virtù del dubbio, ascoltando sempre gli altri pur avendo le proprie convinzioni, usando l’autoironia come antidoto al potere di natura gerarchica insita nella parola “capo”… Lo ha fatto sì anche con tratti d’intransigenza e rigore morale, ma prima di tutto verso se stesso.
In quest’ottica, nel concludere queste righe, penso che l’amico Roberto sia stato un sindacalista all’antica. Non certo nella sua accezione negativa, riferita a quanti non sanno cogliere i cambiamenti e interpretare la “modernità”. Ma, al contrario, nel suo significato profondo e positivo, rivolto a coloro che, affondando le radici nel passato più autentico ed etico dell’organizzazione operaia, attraversano le generazioni e sanno riproporsi – senza mai desistere – nel presente. Senza subire un processo di snaturamento e deformazione dei valori fondativi. E il merito del libro è un pò questo. Non riproporre un “antico” superato. Ma al contrario, offrire al lettore attento e appassionato una potente narrazione, utile per il futuro.