ABOLIRE IL CARCERE?

 

Abolire il carcere_ManconiUna ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini in un libro di “chiarelettere”

Non ci appare stupefacente che in tanti secoli l’umanità che ha fatto tanti progressi in tanti campi delle relazioni sociali non sia riuscita a immaginare nulla di diverso da gabbie, sbarre, celle dietro le quali rinchiudere i propri simili come animali feroci?” Dalla postfazione di Gustavo Zagrebelsky

 IL LIBRO  

Non è una provocazione. Certo in tempi come questi sicuramente può sembrarlo. Eppure nel 1978 il parlamento italiano votò la legge per l’abolizione dei manicomi dopo anni di denunce della loro disumanità. Ora dobbiamo abolire le carceri, che, come dimostra questo libro, appena uscito in libreria, servono solo a riprodurre crimini e criminali e tradiscono i principi fondamentali della nostra Costituzione. Tutti i paesi europei più avanzati stanno drasticamente riducendo l’area del carcere (solo il 24 per cento dei condannati va in carcere in Francia e in Inghilterra, in Italia l’82 per cento). Nel nostro paese chi ruba in un supermercato si trova detenuto accanto a chi ha commesso crimini efferati. Il carcere è per tutti, in teoria. Ma non serve a nessuno, in pratica. I numeri parlano chiaro: la percentuale di recidiva è altissima. E dunque? La verità è che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani non ha idea di che cosa sia una prigione. Per questo la invoca, ma per gli altri. La detenzione in strutture in genere fatiscenti e sovraffollate deve essere quindi abolita e sostituita da misure alternative più adeguate, efficaci ed economiche, capaci di soddisfare tanto la domanda di giustizia dei cittadini nei confronti degli autori di reati più gravi (solo una piccola quota dei detenuti) quanto il diritto del condannato al pieno reinserimento sociale al termine della pena, oggi sistematicamente disatteso. Il libro indica Dieci proposte, già oggi attuabili, per provare a diventare un paese civile e lasciarci alle spalle decenni di illegalità, violenze e morti.

 GLI AUTORI

Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l’università Iulm di Milano. È parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Nel 2001 ha fondato A Buon Diritto. Associazione per le libertà.

Stefano Anastasia è ricercatore di Filosofia e sociologia del diritto presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Perugia, dove coordina la Clinica legale penitenziaria. È stato presidente dell’associazione Antigone.

Valentina Calderone è direttrice di A Buon Diritto. Associazione per le libertà e autrice di saggi sul tema della detenzione.

Federica Resta è avvocato, dottore di ricerca in Diritto penale e funzionario del Garante per la protezione dei dati personali.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un estratto della Postfazione di Gustavo Zagrebelsky _ Carcere e Costituzione

Questo bel libro di Manconi, Anastasia, Calderone e Resta costituisce una importante occasione per affrontare un tema generalmente ignorato. Partiamo da un primo assunto. Nel suo nudo concetto, il carcere e amputazione dalla vita sociale tramite restrizione della libertà e soggezione a una disciplina speciale in appositi luoghi a ciò predisposti. Poiché da una tale segregazione nascono sofferenze, si dice che il carcere e una pena e che la pena e una sanzione giustificata dalla violazione della legge. Questo e il nudo concetto che corrisponde a una concretissima realtà che percepiamo con turbamento ogni volta che mettiamo piede in uno stabilimento penitenziario o anche, soltanto, passiamo a fianco di muraglioni, grate e bocche di lupo (dove ancora esistono) e pensiamo al mondo che esiste al di la, segregato da quello in cui ci muoviamo. Ma il carcere come tale – prima ancora del regime carcerario, cioè delle condizioni della detenzione più o meno avvilenti – non chiama in causa solo sentimenti e risentimenti, ma solleva anche fondamentali interrogativi di natura costituzionale. Non è facile parlare del carcere, del carcere come tale, senza avvertire tutta la contraddizione ch’esso introduce nel più venerato tra i principi dell’attuale nostro vivere civile. Si dirà: pero, i detenuti se lo sono meritato. Cosi dice il senso comune: prima di dedicarci a pensare ai delinquenti e alla loro condizione, c’e ben altro di cui dobbiamo preoccuparci. Ci sono i problemi della gente per bene, quali noi amiamo considerarci. E difficile far comprendere a chi ragiona cosi che la questione carceraria riguarda si i detenuti, ma solo in seconda istanza, come conseguenza della rappresentazione che la società dei liberi e rispettati cittadini da di se stessa,quali noi ci compiacciamo di essere. Insomma: se le carceri sono un problema, lo sono innanzitutto per noi, che ci interroghiamo sui caratteri della società in cui vogliamo vivere e sui principi ai quali diciamo di essere affezionati. Che vi sia un rapporto di derivazione diretta tra struttura sociale e sistema delle pene e una verità che, dal celebre studio di Michel Foucault,1 non può essere messa in dubbio. Parlando del carcere non parliamo solo dei carcerati: parliamo in primo luogo di noi stessi. Non ce ne si rende conto facilmente. Di solito si ragiona come se ci fossimo noi e loro, distanti gli uni dagli altri. E facile cedere all’illusione e al preconcetto.

Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone, Federica Resta ABOLIRE IL CARCERE. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini (Prefazione di Gustavo Zagrebelsky), Ed. Chiarelettere, Milano 2015, pagg. 128. € 12,00

 

 

 

 

 

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