“Lo Spirito di Stella”: una vita al massimo. Intervista ad Andrea Stella

Andrea-Stella GDL 2014
E’ stato Candido Cannavò, il grande direttore della Gazzetta dello Sport deceduto nel 2009, a scoprirlo qualche anno fa. Nel suo bellissimo libro “E li chiamano disabili”, ci aveva raccontato la storia di Andrea Stella e di altre persone straordinarie.  Ora Andrea presiede una Onlus, “Lo Spirito di Stella”, che ha diversi progetti tra cui i “Sailing Campus”. Una vera e propria scuola di vela itinerante. Una iniziativa , cominciata cinque anni fa, che sta avendo successo. Coinvolge, infatti, persone abili e disabili insieme. Il “Tour” è iniziato a giugno a Desenzano sul Lago di Garda e terminerà a settembre a Savona, dopo aver toccato importanti località come Trieste e La Spezia. Questo ci offre l’occasione per parlare della storia di Andrea e fare un piccolo bilancio della sua attività.

 

Andrea, lei è un bellissimo esempio. Una persona che ha fatto del “limite” una forza che gli ha consentito di rompere le barriere di ogni tipo. Può raccontarci, sinteticamente, l’origine della sua storia?

Avevo 24 anni, mi ero appena laureato in legge e, prima di cominciare a lavorare, sono andato a Miami per una vacanza. Volevo divertirmi e studiare un po’ di inglese, ma una sera dei malviventi  mi hanno sparato per rubarmi un’auto presa a noleggio. Non avevo reagito in alcun modo, probabilmente erano tossicodipendenti… Non sono mai stati presi…

Dopo il grave ferimento che accadde?

Sono stato in coma indotto per 35 giorni. La ferita al fegato era molto grave. Mi hanno salvato per un pelo. La pallottola, però, ha colpito il midollo spinale e non ho più potuto camminare.

Ha mai pensato di non farcela a superare il bruttissimo momento?

Certo che ci ho pensato, ho passato momenti tremendi. All’inizio è stata durissima, come essere stati catapultati in un’altra vita, ma una vita che non avrei mai voluto vivere. La prima reazione alla carrozzina è stata di rifiuto totale. “Piuttosto mi ammazzo”, pensavo.

La persona che più l’aiutata, nel superare il suo pessimismo, è stato suo padre. Perché?

Mio padre ha cercato di farmi reagire, mi ha proposto moltissime cose che potevo fare anche in carrozzina. Ha cercato gli ausili adatti. Mi ha spinto ha riprendere il mare e a tornare in barca a vela. Per me è stato fondamentale.

Il catamarano è stata la svolta della sua vita.  Essere riuscito a realizzare una imbarcazione, così imponente,  e renderla funzionale a persone con problemi motori non è cosa da poco. Questo induce ad un’altra considerazione: se è stato possibile rendere funzionale un mezzo inaccessibile ad un certo tipo di persone, allora la stessa “filosofia” della progettualità integrata può essere utilizzata per rendere accessibili per tutti le nostre città. Eppure, per il nostro Paese, sembra una Utopia… 

Ciò che mi ha spinto a far sì che la barca avesse una vita pubblica oltre che privata è stato proprio questo messaggio: “Se si può fare su una barca perché non si può fare in una città?”.
Per progettare una città, un servizio, un oggetto, bisogna partire dalle esigenze reali delle persone. Se un architetto progetta una cucina e non sa cucinare quella cucina non sarà mai funzionale! Deve chiedersi quale sarà l’utilizzo finale di quella cucina per studiarla bene. Per costruire il catamarano abbiamo fatto proprio questo: abbiamo studiato la mia situazione, che poi è quella di moltissime altre persone. E costruirlo ci ha fatto capire che  gli oggetti pensati per le persone con disabilità possono essere più funzionali anche per gli altri. Il telecomando per la televisione, ad esempio, è stato pensato per un disabile, ma è oggi usato da tutti. È questo il cuore del “ Design for all” o “ Progettare per tutti”: progettare senza barriere va a vantaggio della persona disabile, ma anche della mamma con passeggino o della persona anziana.

Nel 2003 fonda una Onlus, “Lo Spirito di Stella”, che ha diversi progetti. Può dirci i principali?

L’Associazione “lo Spirito di Stella” è impegnata in una campagna di sensibilizzazione sul problema delle barriere architettoniche e in iniziative volte a favorire l’inserimento dei disabili nella società. I progetti principali in corso sono i Sailing Campus, scuola vela itinerante per persone con e senza disabilità insieme, e i Corsi di sci per persone disabili che organizziamo a Folgaria in collaborazione con Scie di Passione.

Può spiegare meglio i “Sailing Campus” ? Quante persone sono state coinvolte?

Si tratta di una scuola vela itinerante che consente a ragazzi e adulti con e senza disabilità di cimentarsi, individualmente e in squadra, nel condurre le imbarcazioni della gamma Hansa. I partecipanti partecipano a lezioni teoriche e pratiche seguiti da istruttori professionisti, in un ambiente accessibile e inclusivo.
Ad ogni corso sono ammessi massimo 10 iscritti e ogni anno si svolgono sei campus per un totale di circa 60 partecipanti. Sono molte di più, però, le persone che ruotano intorno ai campus: istruttori FIV, volontari delle associazioni locali, Marina Militare…
I Sailing Campus vogliono avere una ricaduta positiva reale sui territori interessati: si controlla l’accessibilità del luogo dove si tiene il campus, ma si mappano anche gli alberghi della zona per dare sostegno ai partecipanti nella ricerca di strutture accessibili per il pernottamento. Dallo sport alla città, quindi, per creare accessibilità e integrazione.

Torniamo alle “barriere” che una persona “disabile” (bruttissimo termine) incontra. Qual è la più grande, secondo lei, che deve affrontare nel nostro Paese?

Il problema che vivo ogni giorno è la difficoltà, se non impossibilità, di muovermi liberamente. Le barriere fisiche sono le più dure. La Florida, luogo della sparatoria, è per me oggi paradossalmente un luogo di vacanza perché sono quasi completamente assenti le barriere architettoniche.  Lì posso scegliere un ristorante in base al cibo, non perché posso utilizzare i servizi igienici!
Barriere fisiche, ma anche mentali. I due concetti sono purtroppo intimamente legati. Il nostro Paese è impreparato ad accogliere le persone con disabilità. Mentre nel Nord Europa ci sono ragazzi che circolano liberamente in carrozzina senza che nessuno ci faccia caso o si stupisca, qui ti guardano come se fossi sceso da Marte. Ci sono troppe barriere e, a causa di queste, le persone disabili faticano a relazionarsi e ad integrarsi.

Ultima domanda: Andrea se dovesse sintetizzare in poche battute lo “spirito” di Stella, cosa direbbe?

Direi che Lo Spirito di Stella è una realtà che cerca di dare il proprio piccolo contributo per abbattere alcune delle troppe barriere, mentali e fisiche, che ostacolano la vita di molte persone, e cerca di farlo con progetti pratici concreti, come i corsi di sci e di scuola vela aperti a tutti, cercando di dare a tutti le stesse opportunità.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *