Il volto dell’Europa dei nazionalismi. Intervista a Eva Giovannini

 

Schermata 2015-09-20 alle 20.04.22La drammatica vicenda dei migranti ha fatto scoppiare una grave crisi del sogno Europeo. Egoismi e nazionalismi sono riemersi in maniera prepotente. Ci sono movimenti politici che soffiano contro l’ideale europeo. Chi sono e quale è il loro volto? Ne parliamo con Eva Giovannini, inviata del programma di Rai 3 “Ballarò”, autrice di un libro-inchiesta, uscito in questi giorni per i tipi di Marsilio, dal titolo: “Europa anno zero. Il ritorno dei nazionalismi” (pagg. 208, € 16,00)

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In questi mesi del 2015 il sogno Europeo ha subito una grave battuta d’arresto: dalla crisi della Grecia alla vicenda tragica e drammatica dei migranti che fuggono dalle guerre e dalla fame. Insomma lo spirito europeista di Spinelli è tramontato?

Non so se sia tramontato, ma sicuramente non attraversa il suo periodo migliore. La “creazione di un solido Stato internazionale”, per usare le parole del Manifesto, non sembra mai essere stata così lontana. Eppure non dovremmo gettare la spugna, perchè è proprio nei momenti più drammatici che spesso avvengono i cambi di paradigma, come insegna la scienza. Questo anno di crisi per l’Unione Europea potrebbe anche essere l’anno della sua rinascita. Ma per costruire gli Stati Uniti d’Europa, per rinunciare a un pezzo importante della propria “sovranità” il progetto politico deve essere chiaro, omogeneo, lungimirante. Non possiamo condividere il pareggio di bilancio senza preoccuparci di condividere anche i valori, non possiamo essere una comunità monetaria e non anche umanitaria.

Nel suo libro analizza il panorama delle “nuove” destre europee (da Alba Dorata alla Lega di Salvini). “Nuove” per modo di dire, visto che nel loro “repertorio” c’è molto di antico (nazismo e fascismo). Le chiedo qual’è la radice della “rinascita” di questa “ideologia” estrema? Quanta responsabilità ha l’Unione Europea in questa rinascita?

Faccio subito una precisazione: nessun leader da me intervistato in questo libro accetta di essere definito come “di destra”. Tutti sfuggono a questa etichetta, da Matteo Salvini ai patrioti di Pegida, passando per Marine Le Pen, che non solo non si considera una donna di destra, ma arriva a dire che la destra oggi non esiste più, “perchè la divisione è tra mondialisti e nazionalisti”. Comunque, credo che la spinta verso queste nuove forme di nazionalismo sia da ricercare nella grave, e non ancora superata, crisi economica che ha attraversato il nostro continente. La paura diffusa di perdere il welfare, il lavoro, il proprio patromnio di valori, ha fatto da brodo di coltura ideale per la rinascita di questi “populismi patrimoniali” che, con declinazioni diverse, si pongono come nemici dell’euroburocrazia e difensori dei popoli sovrani contro i “migranti-invasori”. L’Unione Europea certamente ha alcune responsabilità in questo: ha avuto negli ultimi anni un atteggiamento molto sbilanciato, ha dato un peso eccessivo al rigore economico – che è importante, certamente – dimenticandosi però che una comunità di Stati deve avere anche una visione politica condivisa. La gestione della vicenda migranti, ad esempio, ha colto l’Unione impreparata, come se un asteroide fosse caduto dal cielo.

Secondo Lei qual’è la formazione politica, tra queste, più pericolosa?

Se devo dire la verità, in questo mio viaggio in sei paesi europei – Regno Unito, Francia, Germania, Ungheria e Grecia e Italia – sono due i movimenti che più mi hanno fatto paura. Alba Dorata in Grecia e gli ultranazionalisti di Jobbik in Ungheria. Jobbik in ungherese vuol dire “i migliori”, ma anche “più a destra”: hanno una struttura paramilitare e si richiamano alle croci frecciate delle milizie naziste, odiano gli immigrati e sono antisemiti. Alle ultime elezioni politiche hanno preso oltre il 20% e il loro astro nascente, un giovane deputato di nome Màrton Gyӧngyӧsi, nell’intervista che mi ha rilasciato, ha difeso la formazione di classi speciali per soli bambini rom e la necessità di stilare una lista di tutti gli ebrei nel parlamento ungherese. Orbàn fa politiche sempre più radicali per inseguire il loro elettorato.

Alcuni di questi leader guardano alla Russia di Vladimir Putin come ad un modello a cui ispirarsi. Che ruolo gioca la Russia nella rinascita di questa destra?

La Russia è la grande alleata di questi movimenti. Non so se ha ragione George Soros quando dice che l’obiettivo di Mosca è “destabilizzare l’Europa”, ma sicuramente Putin strizza l’occhio a tutti questi movimenti. Non ci dimentichiamo dei nove milioni di euro dati al Front National di Marine Le Pen da una banca di proprietà di un amico di Putin, dell’investimento di dieci miliardi di euro che Mosca ha fatto per allargare l’unico impianto nucleare ungherese, a Paks, o dei rapporti strettissimi tra la Russia e il piccolo partito nazionalista di Anel, alleato di governo di Tsipras. Ma anche, più banalmente, la simpatia verso i media russi tra i militanti di Pegida, i patrioti contro l’islamizzaione che hanno marciato decine di volte a Dresda: mentre tutti i giornalisti venivano allontanati al grido di “lugenpresse!” (giornalisti bugiardi!), i microfoni blu dell’emittente di Mosca Poccnr venivano accolti dalla folla con il sorriso. 

Parliamo della Lega di Salvini. Il consenso, stando agli ultimi sondaggi, è sul 14%. Le chiedo: pensa che la penetrazione “culturale” (inteso come modo di pensare) leghista sia destinato ad espandersi nella società italiana oppure no?

Non sono in grado di dare una risposta, dovrei avere una sfera di cristallo per vedere che direzione prenderà questo Paese da qui al 2020, almeno. Mi limito però a fare una considerazione, prendendo come esempio un episodio specifico: la famosa sparata della “ruspa” da parte di Matteo Salvini. Dopo che il segretario della Lega tirò fuori quel termine, nonostante il coro quasi unanime di sdegno e critiche, i sondaggi registrarono un boom di consensi, lanciando la Lega quasi al 16%. Ognuno tragga le sue conclusioni.

Ultima domanda: nel suo libro afferma che l’Europa ha bisogno di un nuovo “patto fondativo” per contrastare questa deriva nazionalistica. Su che basi fondare questo nuovo patto?

Credo che servano quanto prima misure più omogenee sul fronte fiscale, una politica estera che parli una lingua comune (ricordate Kissinger quando diceva “a chi devo telefonare per parlare con l’Europa?) e ridare centralità ai Parlamenti, e non solo al Consiglio europeo. In questo senso, la firma di una dichiarazione congiunta tra i presidenti del Parlamento italiano, tedesco e francesce, avvenuta a Roma lo scorso 14 settembre, è un passo importante verso la costruzione degli “Stati Uniti d’Europa”.

 

 

 

 

 

 

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