“Liberazione o Morte”. Una riflessione su Camilo Torres a cinquant’anni dalla morte. Intervista a Padre Sergio Bernal Restrepo (S.J)

(Wikipedia)

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Cinquant’anni fa, il 15 febbraio del 1966, nella regione colombiana di Santader, venne ucciso da una raffica di mitra, durante un combattimento contro le truppe governative, il sacerdote colombiano Camilo Torres. In quegli anni l’America Latina, sull’onda lunga della Rivoluzione cubana, era attraversata dalla lotta di liberazione dei movimenti guerriglieri contro i regimi sanguinari e corrotti delle oligarchie politiche-economiche. La vita di Camilo Torres, così, divenne da subito un punto di riferimento, l’ispiratore, per quei cristiani che, in situazioni di estrema ingiustizia, scelsero la lotta armata per la rivoluzione sociale e politica del Continente latinoamericano. Cosa resta, cinquant’anni dopo dell’esempio di Padre Camilo Torres? Ne parliamo, in questa intervista, con il Padre gesuita Sergio Bernal Restrepo, decano del “Medio Universitario”, della Pontificia Universitad Javeriana di Bogotà. Padre Bernal, sociologo è uno studioso autorevole della Dottrina Sociale, è stato per anni Decano della Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Padre Bernal, a cinquant’anni dalla sua morte (Camilo Torres venne ucciso durante un combattimento nella regione di Santander) forse è venuto il tempo di guardare con occhi nuovi, da parte della Chiesa, alla figura di padre Camilo Torres. E’ possibile questo? Cosa sta facendo al riguardo la Chiesa cattolica in Colombia?

Certo, si può guardare, anzi, si deve. Ma, quali occhi? Tant’acqua è passata sotto i ponti, come si dice fra noi. Camilo visse un momento di idealizzazione del Marxismo e della sua analisi della realtà, quando si pensava che la rivoluzione era la via di uscita per i grandi problemi dell’ingiustizia nell’America Latina e Cuba si presentava come il modelo che non soltanto ispirava, ma fatticamente offriva l’appoggio ai movimenti rivoluzionari del Continente. La storia di Cuba, Nicaragua, Salvador, Venezuela, più recentemente, hanno dimostrato che, come ben diceva Paolo VI nella Populorum progressio, la rivoluzione, di fatti, porta con se più male che bene. “E tuttavia lo sappiamo: l’insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande” (PP 31). La storia di cinquant’anni di lotta rivoluzionaria nel Paese, hanno dimostrato che non è questa la strada per la trasformazione sociale e politica.

È doveroso ammettere che la Chiesa non ha saputo gestire il caso Camilo Torres. Anche se non possiamo giudicare l’arcivescovo di Bogotá di allora con i criteri di oggi, l’atteggiamento rigido e autoritario, per niente pastorale, non era la via corretta e, in un certo modo, spinse Camilo alla scelta sbagliata. Camilo realizzava un lavoro pastorale molto valido in un ambiente universitario assai ostile alla Chiesa, nel quale un buon numero di studenti e docenti accoglieva la proposta rivoluzionaria di buon occhio e, parte di questa visione, era considerare la Chiesa Cattolica come un nemico da combattere, dato il suo coinvolgimento con lo stabilimento (establishment). Oggi, direi che non si può parlare della Chiesa in genere, fra l’altro perché all’interno della gerarchia vi sono atteggiamenti assai contrastanti. Alcuni vescovi hanno offerto visioni molto moderate riconoscendo aspetti positivi nel caso Camilo, mentre altri continuano a mantenere una posizione di assoluta condanna.

Andando più in profondità: quali sono le radici su cui si basò l’impegno di Padre Camilo Torres? Torres parlava di “prassi “dell’amore efficace”. Cosa intendeva con questo termine? 

A mio avviso, questa frase è molto ambigua. Certo, l’amore cristiano deve tradursi nella prassi quotidiana e di questo amore veremmo giudicati nell’ultimo giorno (Matteo 25). Ma la domanda è se la violenza contro chi che sia, è conciliabile con l’amore cristiano. Questo, mi pare, fu il grande errore di Camilo anche se condiviso da molti in quel momento. Dinanzi alle situazioni d’ingiustizia prevalenti nel Paese, ad un primo sguardo potrebbe sembrare che la rivoluzione sia la via più eficace, ma, come ho accennato sopra, la storia ha dimostrato il contrario. Forse negli ultimi giorni Camilo ha ceduto alle lusinghe dei piccoli partiti di sinistra che sembravano aprirgli la strada ad una possibile candidatura alla lizza per la presidenza della repubblica. Comunque, si deve vedere Camilo come un sognatore, più che come un malfattore come vorrebbero alcuni.

Parlando di sé Camilo Torres affermava: «Sono un rivoluzionario , come colombiano, come sociologo, come cristiano e come sacerdote. Come colombiano, perché non posso estraniarmi dalle lotte del mio popolo. Come sociologo, perché grazie alla mia conoscenza scientifica della realtà, sono giunto alla convinzione che le soluzioni tecniche ed efficaci non sono raggiungibili senza una rivoluzione. Come cristiano, perché l’essenza del cristianesimo è l’amore per il prossimo e solo attraverso una rivoluzione si può ottenere il bene della maggioranza. Come sacerdote, perché dedicarsi al prossimo, come la rivoluzione esige, è un requisito dell’amore fraterno indispensabile per celebrare l’eucarestia». Qui si tocca il rapporto tra cristianesimo e rivoluzione. E’ un punto fondamentale nell’azione e nel pensiero di Torres. C’è, dunque, una “teologia della rivoluzione” (oppure della liberazione) in Torres? 

In un certo senso, si potrebbe dare una risposta affermativa alla domanda. Tuttavia vi erano tante sfumature nella teologia della liberazione che passavano da approcci compatibili con la Rivelazione, fino a quelli che predicavano la violenza, anzi, la lotta di classe, come la sola via di uscita. Non pochi sacerdoti in Colombia si schieravano nel “movimento Golconda” che era assai vicino al Marxismo, ma non sono arrivati a degli impegni concreti di lotta. Esistevano pure alcuni tentativi di elaborazione di una teología della rivoluzione, ma non saprei dire fino a che punto Camilo faceva parte di questi movimenti.

Come si sa Camilo Torres, dopo essere stato ridotto allo stato laicale (comunque lui si sentì sempre sacerdote), entrò nell’ ELN (Esercito di Liberazione Nazionale, un gruppo di impostazione marxista diverso dalle Faarc). E qui si pone il punto del rapporto tra Torres e i gruppi comunisti. Come si è sviluppato questo rapporto? 

Dare una risposta a questa domanda richiederebbe uno studio approfondito cercando le fonti che io ignoro. In un certo senso penso che quanto detto sopra potrebbe offrire alcune piste.
Ai tempi di Camilo Torres la Chiesa cattolica della Columbia era su posizioni conservatrice. Oggi che ruolo gioca oggi la Chiesa nella società colombiana?

Purtroppo la Chiesa oggi ha perso molto della sua capacità di “liderato” (cioè di leadership ndr), la quale era assai evidente ai tempi di Camilo. Come accennato sopra, penso che in parte, ciò sia dovuto alle divisioni interne nella Conferenza Episcopale. Ci vorrebbe una posizione molto più chiara e coraggiosa, davanti al processo di pace in corso, per esempio.
Si arriverà, con Papa Francesco, alla riabilitazione della figura di Camilo Torres?

Non mi pare. Dire questo, sarebbe travisare il pensiero di Francesco il quale vorrebbe portare la Chiesa alla radicalità evangelica che, però non è compatibile con la scelta per la rivoluzione violenta. Anzi, la sua strada è quella della misericordia e del dialogo. Qui, forse, viene bene stabilire un contrasto fra Camilo e Romero. Chi ha avuto un impatto più forte nel Continente? Eppure, sono due modi assai diversi di leggere, anzi, di vivere il Vangelo in una situazione di violenza istituzionalizzata e di ingiustizia schiaciante.

Una parola sulla situazione attuale della Colombia. Come stanno andando i colloqui di Pace tra il governo e la guerriglia?

Si tratta di una situazione troppo complessa, spesso semplificata dai Media e da tanti che non riescono a campirne la complessità. Abbiamo vissuto più di cinquanta anni di guerra, negata sistematicamente dai goveri precedenti. Questa è, in parte, il risultato di un Paese dominato da una piccola elite di potere economico e politico che possiede più della metà del territorio e che mantiene in una situazione di esclusione alla maggioranza della popolazione. Per un verso si può dire che la Colombia è uno Stato moderno dove, per esempio abbiamo introdotto technologie di spico e, per un altro, ancora muoiono bambini per causa della denutrizione. Esiste un cultura di violenza ad ogni livello che ha caratterizzato la nostra storia. La guerriglia domina in una buona parte del territorio dove lo Stato non ha mai fatto una presenza reale. Il problema è diventato ancora più complesso con il commercio della droga che è un caso tipico della economía di mercato dominante. A ciò forse dovremmo aggiungere una oposizione irrazionale che cerca di presentare la realtà in maniera tropppo semplice, a proprio vantaggio, ribadendo che il Presidente Santos vuole consegnare il Paese al socialismo di stampo cubano.
Ultima domanda: Cinquant’anni dopo la sua tragica fine, cosa ha ancora da dirci Camillo Torres?

Semplicemente che occorre un cambio radicale nelle strutture economiche, politiche e sociali, ma che dobbiamo trovare la nostra strada, non cercando di adottare modeli ormai falimentari. Inoltre, che il Vangelo va preso sul serio come punto di ispirazione, ma non alla maniera di Camilo, ma piuttosto a quella di Francesco.

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