Dove vanno le Acli? Intervista ad Andrea Olivero

Si svolgerà nei prossimi giorni a Castel Gandolfo (1-4 settembre) il tradizionale Convegno annuale  di studio delle Acli. Il Tema di  quest’anno è il “Lavoro scomposto” . Al Convegno saranno presenti esponenti della gerarchia cattolica, leader sindacali, ministri e leader dell’opposizione. Su questo abbiamo intervistato Andrea Olivero, Presidente Nazionale dell’associazione.

Presidente Olivero, quest’anno il tema del vostro  tradizionale Convegno di Studio, che si terrà a Castel Gandolfo i primi di settembre, è il lavoro. Un tema centralissimo per le Acli. “Il lavoro scomposto” è il titolo che avete voluto dare a queste giornate di riflessione. Ci spiega il senso di questo titolo?

Negli ultimi anni il lavoro ha conosciuto cambiamenti inimmaginabili: a livello individuale da elemento di sicurezza e di identità è divenuto fonte di ansia e di alienazione, a livello sociale ha perso capacità aggregativa – si pensi alla forte riduzione dei contratti collettivi e al declino del concetto di “classe lavoratrice”, a livello economico è divenuto variabile di nessun contro nel quadro della finanziarizzazione dei mercati. Per chi cerca di rappresentare questo mondo è quindi necessario rivedere quasi tutti i parametri di valutazione e gli strumenti di azione.

In questi giorni il dibattito della politica italiana è tutto concentrato sulla “manovra” finanziaria del governo. “Manovra” molto discussa dalle parti sociali.  Qual è il giudizio che le Acli, in quanto associazione di lavoratori, danno su  questo documento? Avete delle controproposte?

Il giudizio non può che essere negativo, in quanto ad alcune buone intenzioni – tassazione delle rendite, riduzione dei costi della politica, contrasto all’evasione fiscale – non sono seguiti fatti convincenti, mettendoci di fronte all’ennesimo salasso nei confronti delle famiglie e dei lavoratori salariati. Colpire enti locali e spesa assistenziale è un modo per favorire la disgregazione sociale del Paese e cancellarne i vincoli di solidarietà. Le Acli propongono che si vada con determinazione su tre strade: tassazione dei grandi patrimoni, tassazione delle transazioni finanziarie, contrasto all’evasione. Se di una tantum si deve parlare allora venga fatta con un taglio alle spese militari: sono certo che anche senza i nuovi caccia F-35 la sicurezza nazionale non sarà in pericolo.

Lavoro e manovra. C’è una parte della manovra che rischia di abolire l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori . Le Acli, che sono state tra i protagonisti di quella  stagione difficile ma ricca di successi per il mondo del lavoro italiano, non hanno nulla dire al riguardo?

Il testo del governo è nella formulazione attuale pericoloso e scorretto, perché va contro gli accordi siglati il mese scorso dalle parti sociali. Continuare a riproporre il tema dell’articolo 18 è segno della demagogia imperante nel dibattito politico attuale. Piuttosto sarebbe utile occuparsi di come rendere esigibile il diritto formulato in tale norma – la possibilità di avere un lavoro stabile – per tutti i lavoratori, anche quanti sono oggi esclusi. L’articolo 18 non è intangibile, dobbiamo esserne coscienti, ma lo è il diritto che esso sancisce: le Acli su questo vogliono fare proposte, a partire dall’introduzione di un contratto di lavoro prevalentemente a tempo indeterminato, con vincoli, ma anche incentivi, alle aziende che vogliono – e possono – stabilizzare i lavoratori.

Il Movimento Sindacale italiano è diviso. Nonostante che ci siano stati momenti, esempio con l’accordo del 28 giugno, di ritrovata unità. Le Acli che fanno della fedeltà al mondo del lavoro, oltreché fedeltà alla Chiesa e alla democrazia, l”elemento costitutivo della loro “ragion d’essere” come intendono operare perché si raggiunga un minimo d’unità sindacale?

Il nostro compito, anche in questa difficile stagione, è quello di tener desta l’attenzione sulle grandi sfide di senso sottese ai problemi contingenti. Tutte le organizzazioni rischiano l’autoreferenzialità e la chiusura in opzioni obsolete ma rassicuranti. Fondamentale è mettere sempre davanti agli occhi di tutti i volti, le storie, i bisogni dei lavoratori, a partire dai più deboli, affinché da questi si parta per costruire la progettualità comune. Per questo le Acli non possono seguire la CGIL sulla strada dello sciopero generale indetto per soli motivi politici contro il governo, ma neppure accettare la linea di chi vorrebbe un sindacato solo lobby degli iscritti. Il nostro spazio di azione è limitato, ne siamo coscienti, ma siamo convinti che ridare un’anima, una visione al mondo del lavoro sia il presupposto a qualsiasi processo di rinnovata unità.

Al riguardo come giudica il comportamento del Ministro Sacconi?

Il ministro ha una profonda conoscenza delle relazioni sindacali e ha per questo voluto giocare un ruolo diretto nei rapporti tra le Confederazioni. A tratti questo è stato un pungolo utile sulla strada del cambiamento, a tratti, al contrario, ciò ha provocato solo tensioni. Credo che in futuro sarà necessaria una maggiore autonomia tra governo e parti sociali, superando anche in questo ambito l’anomalia italiana.

Torniamo alle Acli. Sono state protagoniste della democrazia italiana,  anzi in alcuni periodi della storia repubblicana hanno anticipato i processi della politica italiana. L’impressione che si ha è che le Acli siano diventate “introverse”, cioè che abbiano perso quella capacità di “estroversione” tipica di una associazione di frontiera.  Nel passato le Acli ponevano “inquietudini” , anche dolorose, alla politica e alla chiesa. Oggi, si nota, una certa timidezza. Non è così?

Le Acli sono parte integrante della società, e vivono dunque sia gli stimoli che i limiti che ogni stagione porta con sé. Se la politica e la società civile hanno perso rispetto al passato parte della loro “passione”, questo non può non avere ripercussioni anche sulla nostra organizzazione.  Detto questo, ogni stagione ha poi le sue “inquietudini”. Se il grande limite dei nostri tempi è la chiusura individualistica, in tutti gli ambiti, la nostra frontiera è rappresentata dall’impegno caparbio di mantenere aperti e vivi gli spazi di discussione e socializzazione all’interno della società, sia a livello nazionale che territoriale. Confronto, dialogo, collaborazione e speranza sono oggi parole scomode, che generano “inquietudine”.

Una battuta su “cattolici e politica”: nei mesi scorsi si è tanto parlato di rifare una “cosa bianca”.  E’ questo il “futuro”?

 

Io non credo. E’ vero che il mare si muove, ma all’orizzonte non vedo nessuna balena bianca. La realtà è più complessa e ben più interessante: associazioni, movimenti, organizzazioni sociali, economiche e sindacali di ispirazione cristiana sono davvero in movimento e fortemente interessate a dare un contributo ad uscire dalla drammatica situazione politico sociale attuale. Ma il tema non è la nascita di un nuovo grande partito dei cattolici. Sostanzialmente per due motivi. Primo. Perché la soluzione non è tanto un nuovo partito, ma nuovo modo di fare politica. Il nodo centrale è la selezione dei gruppi dirigenti, la capacità di visione, la partecipazione dei cittadini. Secondo. Un partito che ha l’ambizione di  guidare il Paese deve poter tenere insieme diverse culture politiche, certo senza rinunciare a una visione comune di futuro.

 

Per finire: Siete tra le più antiche associazioni del nostro paese e siete eredi della tradizione del cattolicesimo sociale italiano. Questo significa, come  diceva livio labor, un grande riformismo sociale. come si esprimerà, in futuro, questo riformismo?

 

In questo frangente, di fronte a una crisi che non è congiunturale né solo economica, a noi aclisti – eredi della grande tradizione del cattolicesimo democratico e sociale – è chiesto di mettere in campo un nuovo riformismo, che ci consenta di portare i valori della solidarietà, sussidiarietà e partecipazione nell’attuale contesto sociale e politico.
Senza un pensiero strategico si rischia di difendere un modello che non ha possibilità di reggere e di non accorgersi che qualcosa di nuovo si potrebbe proporre. Dobbiamo contrastare, nella società come in noi stessi, la logica della difesa dell’esistente che porta a un continuo arretramento, più o meno repentino, per passare alla strategia della proposta e dell’innovazione, consci che i nostri valori, radicati nella Dottrina sociale e non in una ideologia, non debbono temere il mutare dei tempi.

Riformisti, quindi, non per astratte collocazioni politiche, ma per stare concretamente dalla parte degli ultimi.

Commenti (3)

  1. la crisi di sistema che sta devastando ancora e solo coloro che da sempre sono le vittime di questo modo di produrre e di consumare, impone la presa di coscienza che ormai c’è poco da salvare e per i poveri di tutte le latitudini l’unica possibilità è che questo iniquo sistema imploda. non sono mai stato tentato dal ‘tanto peggio tanto meglio’, tuttavia credo che i ‘figuri che dominano il mondo’ non sono minimamente interessati ad altro che ai loro criminali interessi sulla pelle della povera gente. Enrico.

  2. L’intervista al Presidente Olivero, certamente tratta argomenti e situazioni del nostro paese in questo drammatico momento storico; per certi aspetti, è stata troppo fiacca,quasi indulgente, sulle risposte del Governo di fronte al dramma in cui vive il paese.Non scordiamoci che la responsabilità di questo stato di cose, è anche dei Governi di centrosinistra e di molte amministrazioni periferiche. Il paese è fermo, per i giovani non ci sono speranze, tra circa 20/30 anni, ma forse anche prima, ci saranno problemi sociali ed economici enormi, poichè ora le pensioni sono quelle che sono, ma ci sono, ma coloro che andranno in pensione negli anni futuri cosa si aspetteranno? Non dovremo o non dovranno meravigliarsi i cittadini di domani se poi si verificheranno atti di violenza, non voglio pensare ad un nuovo terrorismo, ma se la classe politica, non oserà pensare al futuro e soprattutto non oserà mettersi le mani in tasca, unitamente agli imprenditori evasori, e agli evasori totali, compresi gli intoccabili appartenenti alle varie mafie, non potremo arrestare la rabbia dei poveri, sia quelli del terzo mondo e sia quelli della nostra Italia. Quindi dobbiamo cavalcare la protesta, l’indignazione e promuovere qualsiasi atto che possa scalfire i privilegi dei “soliti” tra i soliti ci metto anche i nostri amici onorevoli o senatori che non si sono degnati in questi anni di alzare la loro voce in difesa dei “poveri”

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