L’aforisma è un genere prezioso. Lo usavano i greci e i romani. Nel secolo scorso è stato uno strumento, anche, di critica al potere costituito. Su questo punto lo scrittore austriaco Karl Kraus è l’esempio tra i più geniali. Ed oggi, nel tempo di. Internet, il tempo della velocità ma non della profondità, cosa ha da dire a noi questo genere letterario? Ne parliamo, in questa intervista, con Dino Basili, già cronista parlamentare per la Rai, aforista tra i più importanti a livello internazionale, insignito, recentemente, di un premio alla carriera per gli aforismi.
Basili, lei è un maestro dell’aforisma italiano. L’aforisma è un genere letterario antico, era usato dai greci e dai romani. Oggi in Italia è un genere letterario misconosciuto, eppure ha avuto grandissimi aforisti: Ennio Flaiano, Leo Longanesi e Alda Merini, per citare alcuni a mò di esempio. Come spiega questo atteggiamento della cultura letteraria italiana nei confronti di questo genere?
Un’analisi abbastanza difficile. Io credo che ci sia un pò la crisi della definizione, perché aforismo viene dal greco e significa “definizione”. Andando un pò più a fondo sono d’accordo con Robert Musli che ritiene che sia il più piccolo intero possibile. Tutto sommato è più facile scrivere un libro di 200-300 pagine che una trentina di ottimi aforismi. Certo l’aforisma può scadere nella banalità o, come dice Magris, nella “presunzione sibillina”, ma Hannah Arendt racconta che Walter Benjamin avrebbe anteposto l’aforisma al saggio voluminoso, se non fosse che veniva retribuito per il numero delle righe prodotte.
Lei, recentemente, ha preso un premio alla carriera per gli aforismi. Insomma “Tagliar corto” le è sempre piaciuto. Perché “aforista” e non romanziere?
Non è stata una scelta, io ho cominciato a scrivere piccole frasi sul giornalino dei Boy Scout “squadriglia castori” a sant’Agnese a Roma. Poi è capitato di fare una rubrica su un quotidiano romano, c’era comunicazione con i lettori. Io poi sono innamorato di Epitetto, filosofo greco che ho conosciuto nell’ultimo anno di liceo, poi di Guicciardini, cioè di tutta quella che è stata la scrittura breve. Ho iniziato a scrivere presto gli aforismi, poi ci sono i libri e numerose interviste sull’argomento. Il fatto che più mi ha rallegrato è stato il riferimento sul Meridiano di Mondadori sugli scrittori italiani di aforismi del Novecento.
Quindi insomma aforisti si diventa. Immaginando una possibile “cassetta” degli attrezzi del “buon aforista” cosa non può mancare?
Quello che non può mancare è una penna o una matita, anzi la matita più che la penna. Karl Krauss osservava che un aforisma non si può dettare su nessuna macchina da scrivere, figuriamoci su un computer!
L’aforisma non è solo esercizio letterario, scrivere una massima su alcuni aspetti della vita, ma è anche, in passato così è stato ,uno strumento di critica della società (vedi ad esempio Karl Krauss) usando “magicamente” l’ironia. Se lei, da aforista, dovesse scrivere un aforisma sulle paure, vere o presunte, della nostra società cosa scriverebbe?
Di paure ce ne sono molte, però mi rimetto proprio all’attualità. Proprio ieri ho scritto un articolo sulla paura della valanga dei numeri che ci piovono addosso ogni giorno instancabilmente, numeri di ogni genere – rosa, grigi ecc. – che ci confondono completamente la testa.
Lei è stato giornalista parlamentare, ai tempi della I Repubblica, chi era il politico più aforista? Andreotti? Martinazzoli?
Indubbiamente Andreotti aveva uno spirito particolarmente tagliente e una conoscenza del vocabolario eccellente. Mino Martinazzoli, come dice Guicciardini, ci metteva le sue risposte di “molta borra”. Un perfetto aforista è invece Altan.
Cosa scriverebbe su Di Maio e Salvini?
Su Di Maio direi che “c’è de mejo” alla romana; riguardo a Salvini dico che ancora deve mostrare il suo vero volto.
Alla fine, cos’è per lei un aforisma?
Direi che mi riconosco su una frase che mi dedicò Giulio Nascimbeni, un “corrierista” degli anni scorsi, l“aforisma è una carta vetrata sui nostri lati deboli”.
Dicono che un aforisma deve essere “sottile”…
Riguardo all’essere “sottile” o non esserlo, io non esagererei tanto nella perfezione. Perché non esiste la frase perfetta. Le racconto la mia esperienza: diedi le bozze di un mio libro di aforismi alla fine degli anni 70, a un mio collega di Rai, Raffaele La Capria, che aveva sempre il tavolo di lavoro sgombro senza neanche un foglietto aveva però il pacchetto di sigarette e l’accendino e allora cominciò a leggere i miei aforismi e con l’accendino accendeva e spegneva e diceva “questo si accende questo non si accende”, così ho imparato a valutare i miei aforismi.