ILVA: “LA POLITICA HA SBAGLIATO TUTTO, MA SI PUÒ ANCORA RIMEDIARE”. INTERVISTA A GIUSEPPE SABELLA

Come noto, meno di 48 ore fa, la multinazionale dell’acciaio Arcelor Mittal – che ha rilevato la ex Ilva – ha fatto sapere di aver notificato ai commissari straordinari e ai sindacati la volontà di rescindere dall’accordo per l’affitto con acquisizione delle attività di Ilva Spa e di alcune controllate. La scelta di Mittal segue naturalmente alla cancellazione dello scudo penale, azione che ancora oggi resta anomala nella gestione della vicenda. Tuttavia, le anomalie sono tante. Ne abbiamo parlato con chi segue il caso dall’inizio, Giuseppe Sabella(direttore di Think-industry 4.0 e esperto di relazioni industriali).

Sabella, cosa sta succedendo alla ex Ilva?

La vicenda sta attraversando una fase per certi versi drammatica e per altri incredibile. Difficile a questo punto escludere colpi di scena anche se mi risulta difficile credere ad un disimpegno totale da parte di Arcelor Mittal, al di là di come l’azienda si sta comportando. Resta però il fatto che la politica ha giocato di fronte al più importante investimento degli ultimi trent’anni: un affare da 5 miliardi di euro, che vale il rilancio della nostra siderurgia e della nostra industria, non può ridursi a oggetto di campagna elettorale e di regolamento di conti dentro i partiti.

Ieri a Taranto l’ad Lucia Morselli ha incontrato i sindacati territoriali confermando la decisione di interrompere entro 30 giorni il contratto d’affitto. Alle parole di Morselli risponde il governo, prima il Ministro Patuanelli e poi il premier Conte. Come le pare si stia comportando l’esecutivo?

Sia Patuanelli che Conte si mostrano intransigenti… in realtà dovrebbero scusarsi con gli italiani e con i lavoratori della ex Ilva per la grande opportunità che stanno facendo perdere al Paese. Naturalmente non possono permettersi di ammettere le loro responsabilità perché lo Stato rischia un contenzioso giudiziale con Mittal che vale montagne di denaro. In sintesi, solo dichiarazioni di facciata e oltremodo arroganti.

Cosa rischia di perdere il nostro Paese oltre all’acciaieria più grande d’Europa?

L’acciaio e la siderurgia sono il cuore dell’industria pesante: la ex Ilva, in un paese manifatturiero come l’Italia, è questo cuore; in secondo luogo, l’Italia sta offrendo una pessima immagine del suo sistema agli investitori di tutto il mondo, all’estero c’è chi non vuole credere a quello che sta succedendo in Italia, pensa che sia un’invenzione dei giornali… terzo punto, secondo i calcoli di Svimez, perdere Ilva significa perdere l’1,4% del nostro Pil. L’impatto sulla nostra economia di questi tre fattori sarebbe devastante, soprattutto per il Sud.

Può spiegare meglio questo punto, soprattutto per il Sud…

Quel che resta dei grandi insediamenti industriali nel nostro Paese è oggi prevalentemente al Sud, dove la questione sociale è particolarmente delicata. Si pensi al rapporto Svimez presentato in questi giorni: vi sono indicatori molto negativi su mancata crescita, povertà, crollo degli investimenti, crisi demografica. Negli ultimi venti anni gli abitanti sono aumentati di 81mila unità, rispetto ai 3.300.000 del Centro-Nord; la popolazione autoctona è diminuita di 642.000 persone, mentre al Nord è aumentata di 85.000. Al crollo di nascite si somma l’emigrazione dei giovani: 2 milioni dal 2000, di cui il 20% laureati. Ciò vuol dire che il Sud si sta deprimendo, non vi è sviluppo, non vi è crescita demografica e i giovani fuggono. Quale futuro se non ci sono lavoro e sviluppo? Il Nord sta un po’ meglio ma questi disastri industriali fanno male anche al più prospero Settentrione.

Perché questa azione di forza? Secondo lei Mittal lascerà davvero l’Italia?

Nella lettera che ha inviato ai commissari, Mittal comunica il suo disimpegno e indica tre cause: 1) il venir meno dell’immunità penale sul piano ambientale col decreto Imprese, da pochi giorni convertito in legge; 2) il rischio di veder spento l’altoforno 2 per la mancata adozione delle prescrizioni di sicurezza e, a seguire, anche degli altiforni 1 e 4 per le stesse ragioni; 3) il generale clima di ostilità che rende impossibile la gestione dell’azienda. Lucia Morselli ribadiva ieri che già da oggi Arcelor Mittal avvierà le procedure per restituire gli impianti all’amministrazione controllata. A ogni modo, il problema vero secondo me è un altro; e credo che una soluzione possa essere trovata.

Quale sarebbe questo problema?

C’è un andamento del mercato che sta seriamente stressando i conti di Mittal, secondo i ben informati l’azienda starebbe perdendo 2 milioni al giorno. Federacciai stima che nel 2018 in Italia si sono prodotte 24,5 milioni di tonnellate di acciaio: siamo il secondo produttore europeo e decimo tra quelli mondiali. Nel settore, che rappresenta il 2% dell’occupazione manifatturiera italiana con un fatturato di oltre 40 miliardi di euro, ci sono 34mila addetti nella siderurgia primaria e 70mila considerando anche l’indotto. Da gennaio ad agosto 2019 l’Italia ha avuto un calo del 4,5% della produzione di acciaio rispetto allo stesso periodo del 2018, attestandosi a 15,4 milioni di tonnellate e uscendo dalla classifica dei primi dieci produttori mondiali. Un calo generalizzato di oltre 700mila tonnellate, dovuto da una parte alla crisi del settore auto e, dall’altra, alla forte concorrenza cinese e turca.

Quindi le ragioni del disimpegno di Mittal sarebbero queste?

Oggi vi è un primo faccia a faccia tra governo e azienda, vediamo cosa succede. Secondo indiscrezioni, Conte offrirebbe all’azienda la reintroduzione dello scudo penale e la sua estensione oltre l’area di Taranto. Auguriamoci che si possa giungere a qualche apertura. Non è tuttavia impensabile che si possa riportare sui giusti binari una vicenda segnata dal cinismo della politica e dalla sua inadeguatezza: serve necessariamente quella serietà da parte dell’esecutivo che ad oggi è mancata, cosa che va al di là del problema dell’immunità penale. La sensazione è che Mittal chiederà di rivedere l’accordo complessivo che ha fatto con Governo e sindacati, anche circa i livelli occupazionali. La nomina di Lucia Morselli, per chi conosce bene le cose, è chiaro che prelude a un’iniziativa d’assalto da parte dell’azienda. E ho qualche dubbio che questa iniziativa d’assalto sia il disimpegno. Mittal secondo me vuole rinegoziare gli accordi, anche sul piano sindacale e occupazionale.

C’è chi sostiene che il governo stia cercando una cordata alternativa, si fa il nome della Jindal che lo scorso hanno ha rilevato le acciaierie di Piombino. Mittal non ha proprio nulla da perdere?

Il coinvolgimento di un grande player come Arcelor Mittal era più un affare per noi che per l’azienda, anche in ragione di ciò che poteva restituirci a livello internazionale. Per Mittal non sarebbe un grande danno restituire l’Ilva, anche perché oramai ne ha acquisito soprattutto il portafoglio clienti. Tuttavia, come dicevo prima, la situazione è tale che non possiamo escludere nulla, anche perché potrebbe sfuggire di mano, soprattutto quando la politica è rappresentata da chi non ha praticamente nessuna esperienza nella gestione della complessità.

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